LASCIA TUTTO, E SEGUITI! (F. Battiato) Dove tutto è enigma (storia, natura, cosmo) la certezza dell'insolubilità pone un invisibile seme di speranza. (Guido Ceronetti)

di-segno di Sacrilegio Tempesta
?
pARTICOLARE DI "Autunno", quadro di Diogene senza l'anima?. Foto di Sacrilegio Tempesta.
Visualizzazione post con etichetta mito. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta mito. Mostra tutti i post
martedì 27 maggio 2014
ANCIENT SHAMANIC ROCK-
IL COMPITO DELL'ARTISTA E' SALVARE L'ANIMA DELL'UMANITA'
SE GLI ARTISTI NON TROVANO LA VIA, LA VIA NON PUO' ESSERE TROVATA.
(Terence Mc Kenna)
(Immagine: Paintbrush Warrior, di Mark Henson, riprodotta con l'esplicito consenso - da me richiesto - dell'autore. Tutti i diritti riservati. Per altri quadri di questo pittore che rappresenta l'oggi in maniera caoticamente visionaria, tra realtà socio-politica violenta tremenda ipertecnologica antropocentrica e sogno incantato spirituale, vedi il suo sito)
(Image: Paintbrush Warrior, by Mark Henson, reproduced with explicit ageement - asked by me - of the author. All rights protected by copyright. If you want to see other paintings by this painter who represent the present in a chaotic, visionary way, between tremendous violent hypertecnological anthropocentric socio-political reality and spiritual enchanted dream, go to his website)
Dire che l'arte (musica, poesia, etc...) debba servire a qualcosa è una bestemmia.
Ciò che caratterizza l'arte è esattamente un essere-fine-a-sé-stessa, un fare libero, un gioco liberato, tremendamente serio ma tremendamente autosufficiente, un fare completamente libero da scopi, un non-fare che ha nel proprio manifestarsi la sua autosufficente ragione di essere.
Tuttavia l'arte ha delle conseguenze (a cui non bisogna pensare nell'atto della libera espressione o della libera fruizione - due cose che poi sono la stessa).
L'arte, il canto, la danza, il proto-teatro, la musica, la poesia sono sempre state nelle culture antiche e nelle culture tribali maniere di curare, non nel senso strumentale di oggi, ma nel senso di riconnettere le identità spezzate e separate degli individui con un'Unità, divina, naturale, spirituale, emotiva, corporea, istintiva, che senza queste storie sacre, questi canti sacri, queste danze, musiche, rituali, simboli, immagini, colori, suoni, rischiava di essere perduta.
Per gli aborigeni d'Australia addirittura la Terra-di-Sogno è tenuta in vita e continuamente ri-creata proprio da rituali artistici in cui in luoghi sacri ciclicamente venivano ridipinte scene di storie mitologiche. Senza questo atto di ri-dipingere la realtà divina, la stessa realtà divina rischiava di estinguersi.
L'arte, la poesia, la musica sono sciamanesimo, ancora oggi, sono la vera più potente forma di sciamanesimo. Non servono a curare, a far star bene, perché non sono serve, ma imperatrici, ma curano, perché fanno vivere, fanno rivivere l'eroe dai mille volti che si contorce dentro di noi e grida per esprimersi, per essere ascoltato, ridanno vita alle parti più nascoste e abissali e profonde e viscerali e paradossali e luminose o oscure e selvatiche di noi stessi, ci riconsegnano alla nostra libertà.
Se la pizzica è (era, o è ancora) un rituale di esorcismo, così lo può essere il rock più selvaggio e autentico o una jam session di percussioni.
Se la danza balinese è una maniera di richiamare e rendere presente, fisico, davanti agli occhi il divino, il mito, reale, ora, qui - così può farci entrare nella stessa dimensione rituale esatta e assoluta, gioiosa o terrificante, la migliore poesia o il migliore teatro d'avanguardia.
Certo, esistono differenze, e radicali, tra un'arte propriamente rituale inserita in un quadro cosmologico, mitologico e religioso definito, condiviso unanimemente da una società o una tribù, e l'impresa individuale di un artista o un poeta che si avventura nella terra di nessuno della notte dell'anima, del caos danzante interiore, avendo come alleati e come rete di simboli solo un deserto squassato di una cultura dilaniata, disorientata, dispersa, cinica, materialista, economicista, idolatrante l'utile la convenienza, la misurazione la quantità l'osservabile lo strumentale tecnico il gioco di un potere abbrutito edonismo dell'illimite con ragnatele di brandelli di sensi di colpa atavici post-cristiani.
Ma in realtà l'artista, come lo sciamano, è sempre stato solo.
Deve partire per il suo viaggio da solo e affrontare il gioco di specchi e labirinti senza soluzione possibile apparente, affrontare i demoni nella prateria dei simboli dove infuriano venti inumani, attraversare il deserto della nientificazione, inerpicarsi su vette rocciose inospitali ed aliene, pericolose, a volte ammalianti, a volte meravigliose, seguire il sentiero avventuroso del suo mito personale, e dipanare forme-talismano con lo scalpello della propria sensibilità, con la lama della propria autenticità, poi deve sapersi rilassare, ridere di tutto questo e di sè stesso, semplificare, alleggerire, togliere importanza, rasserenare, sciogliersi in un lago placido specchio oggettivo del mondo, evaporare in una nuvola bianca che si lascia trasportare dal vento, o un profumo di legna bruciata, o fumo fugace che scompare in pochi secondi, sciogliere il nodo dell'impossibile in una pozzanghera di niente, in una goccia di pioggia che si frantuma nella terra ingravidandola di vuoto fertile, disegnare miniature e arabeschi nell'aria, riagganciare il centro esatto del cuore, farlo rinascere, lasciarlo gridare, cantare, pulsare battere potentemente il proprio vasto Petto-Tamburo, perdersi in un frammento inutile e indescrivibile, poi ribaltare tutto, dimenticare tutto, annientare tutto, perdere di nuovo tutto, e ricominciare da capo da un altro punto di vista, inventare linguaggi strumenti musicali codici preghiere parole magiche ritmi percussivi completamente inediti, e così potrà tornare con in mano una valigia di visioni, sogni, assurde asce sciamaniche disintegra-finzioni, fantascientifiche ali immaginarie impermanenti e orologi a molla sputa-meraviglia da donare ai suoi simili, perché anch'essi trovino le proprie buone piste.
Gli artisti, insieme ai pochi testimoni rimasti di culture orientate da divinità profondamente diverse dal Moloch della Ragione Tecnico-Economica, sono gli unici alchimisti rimasti ancora in grado di riconnetterci con la Ragnatela Cosmica della Vita, con il ventre gravido della Madre Terra, col nostro istinto sano e naturale, saggio, potente di uomini e donne selvatici.
Gli artisti, come gli sciamani, esprimono e aiutano a riprendere contatto con parti di noi o dell'inconscio collettivo rimosse, emozioni represse, dimenticate, negate, cancellate, imprigionate, oscurate, genocidizzate, incatenate, azzittite, schiacciate, mandate al confino, segregate, immobilizzate, paralizzate, uccise, ridicolizzate, annientate, svuotate, desertificate - o con realtà della società e della vita magari violentemente evidenti ma nascoste e messe a tacere - che il poeta, il musicista o il pittore aiutano ad urlare profeticamente la propria innegabilità.
L'arte cioè per esempio può essere la versione contemporanea della caccia all'anima della cultura sciamanica, in cui gli sciamani "cacciavano" pezzi di anima che la persona da curare aveva perso per strada, che erano rimasti impigliati in altrove, altre dimensioni o epoche in seguito a traumi, ferite, sofferenze incapaci di esprimersi.
Mi viene in mente per esempio quel che dice Igor Sibaldi sulle nostre età sconfitte: l'archetipo contemporaneo del Capo Indiano sconfitto, quelle fotografie terribili di questi volti disperatamente tristi e sconvolti, eppure che conservano una dignità assoluta, indiscutibile, non alterabile, impassibile, statuaria, a volte immersa in una sconsolazione infinita ma ancora perfettamente saggia, a volte che guardano nell'obiettivo ancora con sfida, sprezzo guerriero pieno di rabbia e dignità - rappresenterebbero per Sibaldi, nel nostro immaginario, le nostre età sconfitte: infanzia e adolescenza, tutti i loro sogni dimenticati e messi a tacere, messi in riga dal realismo adulto, dal pragmatismo deluso e cinico. L'Arte ci rimette di fronte, se il nostro cuore non è inaridito, con il mondo incantato, popolato da elfi fate gnomi miracoli magie alberi parlanti meraviglia stupore emozioni primordiali capacità innocente di credere all'incredibile e lo spirito eternamente ciclico e atemporale, sognante del Gioco - che appartenevano alla nostra infanzia - e allo spirito guerriero ribelle sognante indomito, non inquadrabile, indomabile, inquieto, impossibile da collocare in confini angusti pensieri dogmatici e ruoli assegnati, capace di spaccare tutto e lottare per i Sogni che pulsano selvaggi nel proprio cuore - che appartenevano alla nostra adolescenza.
L'arte, per concludere dà voce a ciò che nella nostra società e in noi non ha voce: al selvatico, agli animali, al fantastico, all'irreale, al profetico, a ciò che sta sotto il sottile velo della realtà socialmente e politicamente precostituita e accettata, al paradossale, alla sofferenza, alle contraddizioni laceranti della nostra società e all'urlo ribelle dell'urgenza di trovare vie alternative; al misterioso, all'enigmatico, all'impossibile, a tutto ciò che non ha risposta, a tutto ciò che non può essere detto in un linguaggio quotidiano, all'angoscia del vivere in una società irregimentata in maschere e finzioni e costrizioni rigide, oppressive e iper-razionali; alla gioia del semplice essere vivi come animali, con un corpo, un sano istinto, una vocazione alla libertà, un'Anima tribale guerriera sanguigna e sognante; alla Terra e al sentirci suoi figli; all'antico, al non attuale, a logiche incomprensibili per la mentalità imperante del pensiero unico; alla capacità di creare, esprimersi liberamente, e inventare sentieri e logiche extra-ordinarie, assurde, paradossali, nuove, impensate, folli per vivere e affrontare questo caotico presente e tracciare piste imprevedibili e non catalogabili, non inquadrabili dal pensiero binario, per il futuro.
P.s.: per esempio, Mark Henson (vedi quadro sopra) riesce sia a rappresentare espressionisticamente il caos violento e insensato, infetto, distruttivo, cinico, nichilista, ingiusto in cui viviamo ( vedi qui o qui ) oppure l'aspetto folle avido e catastrofico, antropocentricamente distruttore del progresso ( "La marcia del progresso" ) ma anche a dare Visioni serene, sognanti, utopiche del futuro ( bellissimo questo "Risanare il futuro" oppure "Nuovi pionieri" ) ma mira in altri quadri direttamente al cuore del Sogno spirituale, irrelato da condizionamenti sociali ( "Viaggiatori di luce" o questo splendido quadro sull'archetipo del volo) o a una visione magica, animista della natura (per esempio qui ).
Di questo abbiamo bisogno in questi tempi caotici: di riconnetterci col Sogno con la Terra, anche in maniere selvagge nuove e impensate - "Tempi furiosi richiedono danze furiose", e Visioni lucide, e desideri folli, e creazioni coraggiose e inedite, e musica potente e indomita, e una Poesia che travalichi la logica e la rassegnazione.
Come dice Patti Smith: BELIEVE, OR EXPLODE!!!!
Ancient shamanic rock/1
Ancient shamanic rock/2
Contemporary shamanic rock/1
Contemporary shamanic rock/2
Contemporary shamanic rock/3
Contemporary shamanic rock/4
Contemporary shamanic rock/5
ipnosi sciamanica
Riti guerrieri di purificazione
leggere nenie di sottili flauti arcani
Lo Spirito della Danza si s-catena
again
Celebrazione conclusiva
Etichette:
Anima,
animismo,
arte,
Arte come Gioco,
corpo,
culture antiche,
istinto,
libertà,
Madre Terra,
mito,
oltre la linea,
pancia,
potere terapeutico dell'arte,
rock,
sciamanesimo,
sogni,
storie,
Wilderness
martedì 13 agosto 2013
Su donu.
"Una leggenda sarda, molto suggestiva, attribuisce a Dio lo strano nome di Eu-su-primu-cantende, Io-il-primo-che-canta, stabilendo esplicitamente un legame diretto tra il canto e l'atto divino della creazione."
(Michela Murgia, Viaggio in Sardegna)
"Dopo aver parlottato e sputato al centro del cerchio per un paio di minuti, attaccavano il preludio con una specie di accompagnamento cupo: un suono come di cornamusa, con un tocco di calore profondo; a volte mi ricorda il suono dell'organo in chiesa. Dopo un po' il solista sembrava aver trovato l'ispirazione e cominciava la canzone vera e propria. In genere era un baritono o un tenore, con una bella voce vibrante. Ma tra i sardi la voce, per quanto apprezzata, non è la cosa più essenziale. Il cantadore deve possedere prima di tutto su donu, quel qualcosa che gli consente di trascinare gli altri quando è portato dallo spirito della canzone."
(Amelie Posse Brazdova, Interludio di Sardegna, citato nel libro della Murgia)
Etichette:
creazione,
geofilosofia,
leggende,
mediterraneo,
mistero,
mito,
musica,
musica popolare,
poesia,
radicinellaterra,
religione,
ritmi,
Sardegna,
suono,
terra,
tradizioni,
voci antiche
sabato 2 febbraio 2013
Sperimentazioni maieutiche/3.
(seguito di Sperimentazioni maieutiche/1:
http://de-crea-zione.blogspot.it/2013/01/un-amico-scrive-questo-post.html )
Jaspere:
Giuliano se pur in modo adorabile anche questa poesia continua a colpire il mio ego. Ma in modo moltoooooo diverso ! Vedi questa per me è cosa nuova ! Fa sussultare il mio cuore,come a lasciare me stesso libero di volare con le api ! Mi son sentito una di loro ! Ha stimolato la mia fantasia ! Mi ha dato il desiderio di essere ape ! Ma tornando a quello che ho detto all'inizio, stimola la mia parte razionale nella comprensione di queste stupende creature ! A capirle, a renderle importanti per me stesso e per gli altri ! E questo è molto bello ! Ma se parliamo di anima, io penso che si parla di amore e di comprensione emotiva ! Il pensiero, il desiderio,l'immaginazione,non dovrebbero neanche sorgere ! Dovresti non immaginare di essere ape o desiderarlo,ma dovresti sentire le loro vibrazioni in ogni parte di te ! Si tratta di comprensione a livello cellulare ! Lo sò che sto parlando di pseudo scienza,ma io sento queste cose e per me sono reali ! Non sto dicendo che le mie poesie sono miglior o comunque che quel tipo di poesie è migliore,hanno un compito diverso,quello di ricercare archetipi nascosti nel profonfo ! Mi rimane difficile spiegarmi meglio, spero di aver almeno dato l'idea !
Diogene:
è strano. a me la poesia della gualtieri mi ha fatto proprio sentire il ronzio delle api, come se fossi là.
Jaspere:
Chissa ! Forse abbiamo una sensibilità diversa ! Tutto li !
Diogene:
le ho anche immaginate, sì, ma non vedo questa differenza fra immaginare e sentire. immaginazione e emozione sono strettamente intrecciate. quando senti qualcosa stai anche immaginando. e gli archetipi sono appunto archetipi in quanto idee (immagini, se non sbaglio l'etimo di archetipo vuol dire proprio immagine originaria) universali dell'immaginazione.
Jaspere:
Si cio che dici è vero,ma il desiderio è originario dell'ego e l'imaginazione è una diretta conseguenza di quel desiderio. E' almeno secondo me una cosa momentanea. Non cè archetipo ! Rispecchia piu una comprensione a livello razionale ! A livello emotivo la cosa si distiungue,per le emozioni che provi, quelle api diventano parte di te ! E' difficle da spiegare !
Diogene:
penso di capire quello che dici. una cosa è sentire, istantaneamente, realmente, essere e sentire di essere qualcosa. un conto è immaginarsi qualcosa (i pensieri associativi che, secondo molte scuole spirituali, distraggono dal momento presente).
tuttavia secondo me una cosa è l'immaginazione dei pensieri associativi, inutile logorio mentale, e una cosa è invece la Fantasia, l'Immaginazione con la F e la I maiuscole. La Fantasia è uno strumento di liberazione, di verità, di profezia, di indagine, di ricerca, di ascolto dell'essere: è Essere, non surrogato di realtà.
Jaspere:
Esatto !
Su questo siamo daccordissimo
Perdona la mia mancanza di termini adeguati per la conversazione e la mia attuale confusione.....
Diogene:
non preoccuparti, sei in buona compagnia... (per quanto riguarda la confusione!)
http://de-crea-zione.blogspot.it/2013/01/un-amico-scrive-questo-post.html )
Jaspere:
Giuliano se pur in modo adorabile anche questa poesia continua a colpire il mio ego. Ma in modo moltoooooo diverso ! Vedi questa per me è cosa nuova ! Fa sussultare il mio cuore,come a lasciare me stesso libero di volare con le api ! Mi son sentito una di loro ! Ha stimolato la mia fantasia ! Mi ha dato il desiderio di essere ape ! Ma tornando a quello che ho detto all'inizio, stimola la mia parte razionale nella comprensione di queste stupende creature ! A capirle, a renderle importanti per me stesso e per gli altri ! E questo è molto bello ! Ma se parliamo di anima, io penso che si parla di amore e di comprensione emotiva ! Il pensiero, il desiderio,l'immaginazione,non dovrebbero neanche sorgere ! Dovresti non immaginare di essere ape o desiderarlo,ma dovresti sentire le loro vibrazioni in ogni parte di te ! Si tratta di comprensione a livello cellulare ! Lo sò che sto parlando di pseudo scienza,ma io sento queste cose e per me sono reali ! Non sto dicendo che le mie poesie sono miglior o comunque che quel tipo di poesie è migliore,hanno un compito diverso,quello di ricercare archetipi nascosti nel profonfo ! Mi rimane difficile spiegarmi meglio, spero di aver almeno dato l'idea !
Diogene:
è strano. a me la poesia della gualtieri mi ha fatto proprio sentire il ronzio delle api, come se fossi là.
Jaspere:
Chissa ! Forse abbiamo una sensibilità diversa ! Tutto li !
Diogene:
le ho anche immaginate, sì, ma non vedo questa differenza fra immaginare e sentire. immaginazione e emozione sono strettamente intrecciate. quando senti qualcosa stai anche immaginando. e gli archetipi sono appunto archetipi in quanto idee (immagini, se non sbaglio l'etimo di archetipo vuol dire proprio immagine originaria) universali dell'immaginazione.
Jaspere:
Si cio che dici è vero,ma il desiderio è originario dell'ego e l'imaginazione è una diretta conseguenza di quel desiderio. E' almeno secondo me una cosa momentanea. Non cè archetipo ! Rispecchia piu una comprensione a livello razionale ! A livello emotivo la cosa si distiungue,per le emozioni che provi, quelle api diventano parte di te ! E' difficle da spiegare !
Diogene:
penso di capire quello che dici. una cosa è sentire, istantaneamente, realmente, essere e sentire di essere qualcosa. un conto è immaginarsi qualcosa (i pensieri associativi che, secondo molte scuole spirituali, distraggono dal momento presente).
tuttavia secondo me una cosa è l'immaginazione dei pensieri associativi, inutile logorio mentale, e una cosa è invece la Fantasia, l'Immaginazione con la F e la I maiuscole. La Fantasia è uno strumento di liberazione, di verità, di profezia, di indagine, di ricerca, di ascolto dell'essere: è Essere, non surrogato di realtà.
Jaspere:
Esatto !
Su questo siamo daccordissimo
Perdona la mia mancanza di termini adeguati per la conversazione e la mia attuale confusione.....
Diogene:
non preoccuparti, sei in buona compagnia... (per quanto riguarda la confusione!)
Etichette:
archetipi,
caos,
contraddizione,
corrugamento,
coscienza,
dialogo maieutico,
dubbio,
Fantasia,
filosofia,
immaginazione,
Mariangela Gualtieri,
meraviglia,
mito,
pensieri associativi,
poesia,
spiritualità
martedì 29 gennaio 2013
Sperimentazioni maieutiche/2.
Poco prima dell'ultimo Natale Ettore Fobo ha pubblicato questo post:
http://ettorefobo.blogspot.it/2012/12/il-natale-oggi-secondo-umberto.html#comments
Ho risposto così:
http://de-crea-zione.blogspot.it/2012/12/natale-e-deserto.html
Successivamente il dialogo è continuato come commenti al suo post.
Qui riporto lo scambio di idee, perchè mi è sembrato molto proficuo e interessante.
Mi piace immaginarlo come una specie di dialogo socratico post-moderno fra lo spettro di un eroe ormai terrorizzato dal rumore senza anima che sente dappertutto, rumore di macchine in cui non riesce più a riconoscere la voce degli Dei, e il fantasma di un filosofo radicale, anticonformista, eudaimonista, ludico, menefreghista, amico degli animali e nemico delle menzogne, di ogni cosa non strettamente necessaria e di ogni artificio, che non riesce a ritrovare la sua dimensione naturale, spontanea, semplice - la sua anima.
Questo eroe senza Dei e questo cinico senza anima e Natura se ne stanno come ectoplasmi al margine estremo del mondo, osservando la nostra società e commentando con voci fra l'incuriosito e l'attonito le stranezze che ivi vi scorgono - paragonandole a cose antiche e da lungo tempo dimenticate.
Ettore Fobo:
Questa è un’epoca di passaggio. Nuovi valori devono essere creati e i vecchi valori vanno definitivamente sepolti. Come dici tu, non possiamo più riconnetterci con i culti antichi e il cristianesimo è ormai pressoché privo di vita. Non so se sia un effetto di quello che tu chiami il Moloch dei consumi o se il consumismo abbia preso il posto già lasciato vuoto dalla crisi del cristianesimo. Però questa condizione di impasse non può essere eterna, finito un ciclo della storia ce ne sarà un altro con nuove idee e nuovi valori. E’ solo questione di tempo. Come in tutte le epoche di crisi, ci sono profezie di catastrofi imminenti che sono il segno che un mondo sta finendo e un altro mondo sta emergendo. Ormai è chiaro che sarà la Tecnica a determinare questa trasformazione, da qui il pessimismo di molti filosofi, tra cui Galimberti, secondo cui l’uomo non è più il vero soggetto della Storia ma mero funzionario degli apparati della Tecnica. Io non so e come tutti sono in attesa.
Diogene senza l'anima?:
O forse, in fondo, come diceva De Andrè in un'intervista (riporto in parte con parole mie il concetto): nonostante questa apparenza di cambiamento così rapido, radicale, omnipervasivo, "io credo che i problemi fondamentali dell'essere umano resteranno sempre gli stessi, immutati, ancora per molti secoli - e forse per sempre."
...Ah, ecco, mi ricordo le parole esatte: "Io credo che l'uomo potrà anche conquistare le stelle, ma penso d'altra parte che le sue problematiche fondamentali sono destinate a rimanere le stesse per molto tempo, se non addirittura per sempre."
Ettore Fobo:
I problemi dell’uomo saranno gli stessi, ma mai come in quest’epoca essi possono essere ridefiniti attraverso la tecnologia e la scienza (penso soprattutto alla chimica). In proposito la neurologa Susan Greenfield ha scritto un saggio eloquente, “Gente di domani”, in cui descrive un mondo a venire per noi impensabile e forse inquietante. Da più parti si pensa che la tecnologia possa modificare l’umano nella sostanza. Chissà, magari è solo un sogno, di sicuro
per ora la frase di De André non può essere smentita.
Diogene senza l'anima?:
Sicuramente siamo in un periodo di mutazione. Ma gran parte della filosofia insiste sulla fenomenicità apparente di ogni mutamento. L'essenza non muta. Perciò neanche l'essenzialmente umano. L'essere è - come direbbe Parmenide - il divenire è non essere. Perciò l'apparenza di un cambiamento radicale non può che essere un fantasma passeggero. "Allora non si crederà più, come fa l'uomo del volgo, che il tempo possa generare qualcosa di veramente nuovo e di veramente importante; che nel tempo e per via del tempo qualcosa possa attingere ad una realtà assoluta; non si attribuirà più al tempo, come a un tutto, un principio e una fine, un disegno e uno svolgimento; né, seguendo il concetto volgare, si assegnerà come fine allo scorrere del tempo il più alto perfezionamento del genere umano. (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, libro III, paragrafo 35).
Ettore Fobo:
Bello, Diogene, mi hai convinto. L’essenza non muta, ma superficialmente i cambiamenti avvengono. I valori per esempio, nulla di sostanziale, fenomeni passeggeri ma importanti in una data epoca. Maschere se vogliamo, necessarie per la nostra finzione. Cito Oscar Wilde, a memoria: “Le verità della metafisica sono maschere “. Dietro la maschera, che cambia a seconda dei tempi, l’immutabile essenza.
Diogene senza l'anima?:
Fantastico, l'aforisma di Wilde e la tua conclusione sono esattamente in sintonia con quello che volevo aggiungere. La metafisica con Nietszche crolla, e con Heidegger definitivamente l'essere diventa storico, perchè l'essere è linguaggio. Da qui muove l'ermeneutica, orizzonte nel quale a occhio e croce direi si potrebbe probabilmente inscrivere il discorso di Galimberti, e così tutti i discorsi filosofici, che fanno Heidegger e tantissimi altri filosofi, sul destino della Metafisica, il destino del Nichilismo, il destino della nostra civiltà occidentale, il destino del cristianesimo, il destino della Tecnica. Tuttavia, da quello che ho capito, l'autentico pensiero di Heidegger non è riducibile a questa concezione dei suoi epigoni dell'ermeneutica. A me sembra che tutti i grandi filosofi, Heidegger incluso, si siano sempre mossi, nonostante l'estrema varietà e l'estremo variare storico delle "maschere", all'interno di un orizzonte di tipo parmenideo. Anche in Heidegger, il linguaggio e l'essere storici, pur nelle ceneri della Metafisica e dei sistemi, affondano le loro radici in qualcosa di indefinibile, che, sia a livello di Essere, che forse in un certo senso anche a livello di Linguaggio, è Eterno. I valori e le maschere metafisiche mutano, il nocciolo dell'Essere permane eterno nel suo inaccessibile mistero. Mi esprimo in termini generici perchè non conosco in maniera approfondita il secondo Heidegger, ma questa è l'idea che mi sono fatto.
Ettore Fobo:
E’ l’idea che mi sono fatto anch’io Diogene: nessun filosofo, neanche Nietzsche, che è quello che forse ci è andato più vicino, è riuscito a superare la metafisica, gli orizzonti parmenidei rimangono immacolati. Un filosofo contemporaneo molto interessante, che sta provando a superare la metafisica, è John Gray. Ne ho parlato in questo blog a proposito del suo libro “Cani di paglia”. E’ un tentativo di uscire dall’incubo metafisico e antropocentrico. C’è molto da pensare ancora, oltre l’uomo e oltre i suoi orizzonti metafisici. La filosofia è appena iniziata.
Diogene senza l'anima?:
Ho letto l'articolo su Gray. Mi richiama il mio articolo del 29 novembre sullo shivaismo tantrico del kashmir (smettere di avere scopi). In comune, il filo-taoista Gray e l'insegnante di shivaismo tantrico in questione nel mio articolo (Nathalie Delay) hanno questo: l'invito a lasciar perdere, lasciar cadere qualsiasi scopo metafisico, religioso o ideologico; qualsiasi senso. L'incubo, di qualsiasi senso, della ricerca mai soddisfatta, perennemente insoddisfatta, e perciò distruttiva, violenta, nel suo voler a tutti i costi affermare qualcosa. Trovo questo lasciar perdere Dio, scopi, Sensi, visioni chiare e definite, velleità di miglioramento del reale, volontà precise, ispirazioni salvifiche, molto rasserenante. Resta, direbbe Nathalie Delay, la vita, la vita sensibile, "il cuore pulsante della nostra insensatezza" come dici nel tuo post, il fluiresenzaunsensoprecisomapullulantedistorieincidentipersonaggifattiintuizioniombrelucicontraddizionispiraliemotivepensierimicropoesie della vita quotidiana, con la sua noia, la sua sofferenza, le sue emozioni, i suoi preziosi istanti di magia priva di un dio o un disegno - gratuiti.
Ettore Fobo:
Ho riletto il tuo post. Parli della contraddizione fondamentale di un certo pensiero orientale, penso a Krishnamurti: essere un maestro che dice che non ci sono maestri. Però il nocciolo è proprio lì: smettere di proiettare su qualcuno, di essere un seguace, di inseguire speranze trascendenti. Mi sembra che nella semplice accettazione delle vita hic et nunc ci sia abbastanza saggezza.
Diogene senza l'anima?:
Certo. In un certo senso è forse il tema di tutto il mio blog. Ma questa antinomia si estende anche alla filosofia. Anche John Gray è un filosofo che teorizza la fine delle verità filosofiche. Questo è analogo a Krishnamurti che teorizza, da maestro, la fine della sensatezza di seguire un maestro. E' una questione molto sottile. Anche tu rilevi una contraddizione fra una critica radicale al concetto di guru, e più in generale al fatto di accodarsi a una serie di dogmi, riti, credenze - appartenenza religiosa di clan che per Krishnamurti offusca stravolge e compromette in maniera completa le capacità della mente di essere un campo aperto, semplicemente ricettivo, equanime, privo di pregiudizi o preferenze - radar imparziale del reale, una pista aperta sugli indizi della verità, in ricerca viscerale sulla base di una percezione autenticamente scevra da pre-idee e di un esame radicalmente libero (in maniera analoga a quello che diceva Simone Weil quando affermava che appartenere a un qualsiasi partito politico impedisce una sincera analisi del reale e una onesta presa di posizione su di esso; o quando diceva che aderire a qualsiasi religione, filosofia o semplicemente idea, vuol dire chiudere la partita della propria ricerca della verità: si può aderire a un'idea, diceva la Weil, solo in maniera parziale, relativa, limitatamente a quegli aspetti che al proprio esame risultano effettivamente veri; e sempre con la consapevolezza che si tratta solo di un passo parziale e momentaneo della propria ricerca, che quindi bisogna in ogni istante essere pronti a mettere tutto in discussione, sulla base del proprio libero e continuamente, vigilantemente critico esame - quindi qualsiasi "adesione" in senso stretto a una idea qualsiasi, qualsiasi "convincimento", qualsiasi "assenso" a una teoria o una prassi è da rifiutare in quanto uccide la verità) e il porsi comunque di Krishnamurti a suo modo come maestro.
Ma questo chiaramente si estende anche alla filosofia: anche quello di Gray, per esempio, è pur sempre un sistema di pensiero, con un contenuto preciso, un insieme organizzato di idee che richiede un'adesione, un assenso. Non è semplicemente il vivere nell'hic et nunc (del resto anche "vivere nell'hic et nunc" è un preciso concetto filosofico, con una precisa storia): è una filosofia, con concetti inevitabilmente precisi di riferimento, contenuti teorici filosofici che si possono mettere a confronto con qualsiasi altro contenuto filosofico, e possono essere discussi a livello filosofico, ma che non sono il semplice hic et nunc, sono una filosofia precisa con concetti filosofici precisi, collocabili in un contesto filosofico-culturale preciso.
E allora, da un certo punto di vista, che differenza c'è, fra aderire al sistema filosofico di Platone e aderire al "sistema" filosofico di Gray? E' la stessa cosa. E' un assenso a una teoria, della quale ci lasciamo convincere. Le diverse teorie possono essere confrontate e dibattute a livello filosofico, ma sono tutte egualmente "metafisiche", sono tutte, alla pari, delle costruzioni teoriche filosofiche, analizzabili a livello concettuale, o magari filosofico-intuitivo, ma non riducibili all'"accettazione dell'hic et nunc". Qualsiasi filosofia, qualsiasi discorso, qualsiasi concetto è già un'interpretazione.
Come un maestro che critica i maestri è contraddittorio, così è contraddittorio un filosofo che critica le "certezze metafisiche" e si proclama, ma sempre facendo una precisa teoria filosofica, come difensore e garante della semplice vita al di là di qualsiasi senso astratto. Ma anche il suo invece è un senso astratto, concettuale, filosofico, metafisico, e il suo presentarsi come extra o meta-metafisco è contraddittorio e in un certo senso può essere visto anche come un imbroglio.
Sulla base di queste riflessioni, tutte le filosofie della demistificazione, della dissacrazione e della demitizzazione - dall'illuminismo, poi il positivismo, fino a Nietszche, Krishnamurti, Gray e moltissimi altri, potrebbero forse assumere l'inquietante profilo di supreme ingannatrici: proprio in quanto pretendono di insegnare a svelare gli inganni - ma, proprio nel fare questo, si pongono come nuovi Simulacri/Dogmi a cui aderire. Del resto, il caso dell'illuminismo, del positivismo e in generale di tutta la filosofia moderna razionalistica è emblematico: basta vedere cosa ha prodotto.
Ettore Fobo:
Grazie Diogene, bellissima disamina, molto chiara ed esaustiva. Non posso che essere d’accordo. Soprattutto quando scrivi che filosofi come Nietzsche hanno finito per erigere nuovi idoli, laddove cercavano di abbattere credenze (penso al mito dell’oltreuomo). Questa tendenza è avvertibile anche in John Gray, in Heidegger, in Cioran e in tutti i grandi becchini della tradizione filosofica occidentale.
Con l’espressione hic et nunc, ne sono consapevole, sottintendevo una visione (filosofica) del mondo che escludesse l’orizzonte della speranza in un aldilà.
Per quanto riguarda l’illuminismo e il positivismo, penso che la loro tendenza dogmatica sia veramente inquietante e non cessa di gettare la sua ombra sul nostro presente, in cui la scienza ha sostituito la religione come narcotico per le masse. La nostra epoca iper razionale ha molti scheletri nell’armadio, molti orrori ha prodotto e continua a produrre.
Vedo con sospetto e sgomento l’imporsi di un pensiero calcolante, attento unicamente all’utile, la crescente mania dell’efficienza, il mito stesso del progresso, idolo fra i più pericolosi, l’enorme potere conferito all’economia, scienza malefica; cresce la confusione e si fatica a orizzontarsi. Come Ceronetti, il filosofo ignoto, penso che la filosofia possa e debba essere una luce in questo buio che ha tutti i contorni della pazzia.
Cerco così, come tutti, forse, di vivere la mia vita fra le rovine della religione e le nuove cattedrali della scienza. Entrambe mi sembrano fragili, prossime al crollo … Sento inoltre che questo crollo, oltre che catastrofico, può anche essere liberatorio.
P.s.: a parte il dettaglio che è alquanto bizzarro e un po' grottesco immaginare che due spettri possano avere un blog, mi pare che per il resto il dialogo, se immaginato come avvenente fra questi due personaggi post-mitologici, spettri antichi che osservano il mondo d'oggi, sia tutto sommato stranamente coerente, estremamente divertente, e infine, mi sembra che i significati e le interpretazioni messe in gioco nel dialogo assumano un peso e un'aura diverse, un tono più inquietante ma allo stesso tempo più distaccato. Il tutto diventa una specie di semi-coerente racconto filosofico enigmatico.
http://ettorefobo.blogspot.it/2012/12/il-natale-oggi-secondo-umberto.html#comments
Ho risposto così:
http://de-crea-zione.blogspot.it/2012/12/natale-e-deserto.html
Successivamente il dialogo è continuato come commenti al suo post.
Qui riporto lo scambio di idee, perchè mi è sembrato molto proficuo e interessante.
Mi piace immaginarlo come una specie di dialogo socratico post-moderno fra lo spettro di un eroe ormai terrorizzato dal rumore senza anima che sente dappertutto, rumore di macchine in cui non riesce più a riconoscere la voce degli Dei, e il fantasma di un filosofo radicale, anticonformista, eudaimonista, ludico, menefreghista, amico degli animali e nemico delle menzogne, di ogni cosa non strettamente necessaria e di ogni artificio, che non riesce a ritrovare la sua dimensione naturale, spontanea, semplice - la sua anima.
Questo eroe senza Dei e questo cinico senza anima e Natura se ne stanno come ectoplasmi al margine estremo del mondo, osservando la nostra società e commentando con voci fra l'incuriosito e l'attonito le stranezze che ivi vi scorgono - paragonandole a cose antiche e da lungo tempo dimenticate.
Ettore Fobo:
Questa è un’epoca di passaggio. Nuovi valori devono essere creati e i vecchi valori vanno definitivamente sepolti. Come dici tu, non possiamo più riconnetterci con i culti antichi e il cristianesimo è ormai pressoché privo di vita. Non so se sia un effetto di quello che tu chiami il Moloch dei consumi o se il consumismo abbia preso il posto già lasciato vuoto dalla crisi del cristianesimo. Però questa condizione di impasse non può essere eterna, finito un ciclo della storia ce ne sarà un altro con nuove idee e nuovi valori. E’ solo questione di tempo. Come in tutte le epoche di crisi, ci sono profezie di catastrofi imminenti che sono il segno che un mondo sta finendo e un altro mondo sta emergendo. Ormai è chiaro che sarà la Tecnica a determinare questa trasformazione, da qui il pessimismo di molti filosofi, tra cui Galimberti, secondo cui l’uomo non è più il vero soggetto della Storia ma mero funzionario degli apparati della Tecnica. Io non so e come tutti sono in attesa.
Diogene senza l'anima?:
O forse, in fondo, come diceva De Andrè in un'intervista (riporto in parte con parole mie il concetto): nonostante questa apparenza di cambiamento così rapido, radicale, omnipervasivo, "io credo che i problemi fondamentali dell'essere umano resteranno sempre gli stessi, immutati, ancora per molti secoli - e forse per sempre."
...Ah, ecco, mi ricordo le parole esatte: "Io credo che l'uomo potrà anche conquistare le stelle, ma penso d'altra parte che le sue problematiche fondamentali sono destinate a rimanere le stesse per molto tempo, se non addirittura per sempre."
Ettore Fobo:
I problemi dell’uomo saranno gli stessi, ma mai come in quest’epoca essi possono essere ridefiniti attraverso la tecnologia e la scienza (penso soprattutto alla chimica). In proposito la neurologa Susan Greenfield ha scritto un saggio eloquente, “Gente di domani”, in cui descrive un mondo a venire per noi impensabile e forse inquietante. Da più parti si pensa che la tecnologia possa modificare l’umano nella sostanza. Chissà, magari è solo un sogno, di sicuro
per ora la frase di De André non può essere smentita.
Diogene senza l'anima?:
Sicuramente siamo in un periodo di mutazione. Ma gran parte della filosofia insiste sulla fenomenicità apparente di ogni mutamento. L'essenza non muta. Perciò neanche l'essenzialmente umano. L'essere è - come direbbe Parmenide - il divenire è non essere. Perciò l'apparenza di un cambiamento radicale non può che essere un fantasma passeggero. "Allora non si crederà più, come fa l'uomo del volgo, che il tempo possa generare qualcosa di veramente nuovo e di veramente importante; che nel tempo e per via del tempo qualcosa possa attingere ad una realtà assoluta; non si attribuirà più al tempo, come a un tutto, un principio e una fine, un disegno e uno svolgimento; né, seguendo il concetto volgare, si assegnerà come fine allo scorrere del tempo il più alto perfezionamento del genere umano. (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, libro III, paragrafo 35).
Ettore Fobo:
Bello, Diogene, mi hai convinto. L’essenza non muta, ma superficialmente i cambiamenti avvengono. I valori per esempio, nulla di sostanziale, fenomeni passeggeri ma importanti in una data epoca. Maschere se vogliamo, necessarie per la nostra finzione. Cito Oscar Wilde, a memoria: “Le verità della metafisica sono maschere “. Dietro la maschera, che cambia a seconda dei tempi, l’immutabile essenza.
Diogene senza l'anima?:
Fantastico, l'aforisma di Wilde e la tua conclusione sono esattamente in sintonia con quello che volevo aggiungere. La metafisica con Nietszche crolla, e con Heidegger definitivamente l'essere diventa storico, perchè l'essere è linguaggio. Da qui muove l'ermeneutica, orizzonte nel quale a occhio e croce direi si potrebbe probabilmente inscrivere il discorso di Galimberti, e così tutti i discorsi filosofici, che fanno Heidegger e tantissimi altri filosofi, sul destino della Metafisica, il destino del Nichilismo, il destino della nostra civiltà occidentale, il destino del cristianesimo, il destino della Tecnica. Tuttavia, da quello che ho capito, l'autentico pensiero di Heidegger non è riducibile a questa concezione dei suoi epigoni dell'ermeneutica. A me sembra che tutti i grandi filosofi, Heidegger incluso, si siano sempre mossi, nonostante l'estrema varietà e l'estremo variare storico delle "maschere", all'interno di un orizzonte di tipo parmenideo. Anche in Heidegger, il linguaggio e l'essere storici, pur nelle ceneri della Metafisica e dei sistemi, affondano le loro radici in qualcosa di indefinibile, che, sia a livello di Essere, che forse in un certo senso anche a livello di Linguaggio, è Eterno. I valori e le maschere metafisiche mutano, il nocciolo dell'Essere permane eterno nel suo inaccessibile mistero. Mi esprimo in termini generici perchè non conosco in maniera approfondita il secondo Heidegger, ma questa è l'idea che mi sono fatto.
Ettore Fobo:
E’ l’idea che mi sono fatto anch’io Diogene: nessun filosofo, neanche Nietzsche, che è quello che forse ci è andato più vicino, è riuscito a superare la metafisica, gli orizzonti parmenidei rimangono immacolati. Un filosofo contemporaneo molto interessante, che sta provando a superare la metafisica, è John Gray. Ne ho parlato in questo blog a proposito del suo libro “Cani di paglia”. E’ un tentativo di uscire dall’incubo metafisico e antropocentrico. C’è molto da pensare ancora, oltre l’uomo e oltre i suoi orizzonti metafisici. La filosofia è appena iniziata.
Diogene senza l'anima?:
Ho letto l'articolo su Gray. Mi richiama il mio articolo del 29 novembre sullo shivaismo tantrico del kashmir (smettere di avere scopi). In comune, il filo-taoista Gray e l'insegnante di shivaismo tantrico in questione nel mio articolo (Nathalie Delay) hanno questo: l'invito a lasciar perdere, lasciar cadere qualsiasi scopo metafisico, religioso o ideologico; qualsiasi senso. L'incubo, di qualsiasi senso, della ricerca mai soddisfatta, perennemente insoddisfatta, e perciò distruttiva, violenta, nel suo voler a tutti i costi affermare qualcosa. Trovo questo lasciar perdere Dio, scopi, Sensi, visioni chiare e definite, velleità di miglioramento del reale, volontà precise, ispirazioni salvifiche, molto rasserenante. Resta, direbbe Nathalie Delay, la vita, la vita sensibile, "il cuore pulsante della nostra insensatezza" come dici nel tuo post, il fluiresenzaunsensoprecisomapullulantedistorieincidentipersonaggifattiintuizioniombrelucicontraddizionispiraliemotivepensierimicropoesie della vita quotidiana, con la sua noia, la sua sofferenza, le sue emozioni, i suoi preziosi istanti di magia priva di un dio o un disegno - gratuiti.
Ettore Fobo:
Ho riletto il tuo post. Parli della contraddizione fondamentale di un certo pensiero orientale, penso a Krishnamurti: essere un maestro che dice che non ci sono maestri. Però il nocciolo è proprio lì: smettere di proiettare su qualcuno, di essere un seguace, di inseguire speranze trascendenti. Mi sembra che nella semplice accettazione delle vita hic et nunc ci sia abbastanza saggezza.
Diogene senza l'anima?:
Certo. In un certo senso è forse il tema di tutto il mio blog. Ma questa antinomia si estende anche alla filosofia. Anche John Gray è un filosofo che teorizza la fine delle verità filosofiche. Questo è analogo a Krishnamurti che teorizza, da maestro, la fine della sensatezza di seguire un maestro. E' una questione molto sottile. Anche tu rilevi una contraddizione fra una critica radicale al concetto di guru, e più in generale al fatto di accodarsi a una serie di dogmi, riti, credenze - appartenenza religiosa di clan che per Krishnamurti offusca stravolge e compromette in maniera completa le capacità della mente di essere un campo aperto, semplicemente ricettivo, equanime, privo di pregiudizi o preferenze - radar imparziale del reale, una pista aperta sugli indizi della verità, in ricerca viscerale sulla base di una percezione autenticamente scevra da pre-idee e di un esame radicalmente libero (in maniera analoga a quello che diceva Simone Weil quando affermava che appartenere a un qualsiasi partito politico impedisce una sincera analisi del reale e una onesta presa di posizione su di esso; o quando diceva che aderire a qualsiasi religione, filosofia o semplicemente idea, vuol dire chiudere la partita della propria ricerca della verità: si può aderire a un'idea, diceva la Weil, solo in maniera parziale, relativa, limitatamente a quegli aspetti che al proprio esame risultano effettivamente veri; e sempre con la consapevolezza che si tratta solo di un passo parziale e momentaneo della propria ricerca, che quindi bisogna in ogni istante essere pronti a mettere tutto in discussione, sulla base del proprio libero e continuamente, vigilantemente critico esame - quindi qualsiasi "adesione" in senso stretto a una idea qualsiasi, qualsiasi "convincimento", qualsiasi "assenso" a una teoria o una prassi è da rifiutare in quanto uccide la verità) e il porsi comunque di Krishnamurti a suo modo come maestro.
Ma questo chiaramente si estende anche alla filosofia: anche quello di Gray, per esempio, è pur sempre un sistema di pensiero, con un contenuto preciso, un insieme organizzato di idee che richiede un'adesione, un assenso. Non è semplicemente il vivere nell'hic et nunc (del resto anche "vivere nell'hic et nunc" è un preciso concetto filosofico, con una precisa storia): è una filosofia, con concetti inevitabilmente precisi di riferimento, contenuti teorici filosofici che si possono mettere a confronto con qualsiasi altro contenuto filosofico, e possono essere discussi a livello filosofico, ma che non sono il semplice hic et nunc, sono una filosofia precisa con concetti filosofici precisi, collocabili in un contesto filosofico-culturale preciso.
E allora, da un certo punto di vista, che differenza c'è, fra aderire al sistema filosofico di Platone e aderire al "sistema" filosofico di Gray? E' la stessa cosa. E' un assenso a una teoria, della quale ci lasciamo convincere. Le diverse teorie possono essere confrontate e dibattute a livello filosofico, ma sono tutte egualmente "metafisiche", sono tutte, alla pari, delle costruzioni teoriche filosofiche, analizzabili a livello concettuale, o magari filosofico-intuitivo, ma non riducibili all'"accettazione dell'hic et nunc". Qualsiasi filosofia, qualsiasi discorso, qualsiasi concetto è già un'interpretazione.
Come un maestro che critica i maestri è contraddittorio, così è contraddittorio un filosofo che critica le "certezze metafisiche" e si proclama, ma sempre facendo una precisa teoria filosofica, come difensore e garante della semplice vita al di là di qualsiasi senso astratto. Ma anche il suo invece è un senso astratto, concettuale, filosofico, metafisico, e il suo presentarsi come extra o meta-metafisco è contraddittorio e in un certo senso può essere visto anche come un imbroglio.
Sulla base di queste riflessioni, tutte le filosofie della demistificazione, della dissacrazione e della demitizzazione - dall'illuminismo, poi il positivismo, fino a Nietszche, Krishnamurti, Gray e moltissimi altri, potrebbero forse assumere l'inquietante profilo di supreme ingannatrici: proprio in quanto pretendono di insegnare a svelare gli inganni - ma, proprio nel fare questo, si pongono come nuovi Simulacri/Dogmi a cui aderire. Del resto, il caso dell'illuminismo, del positivismo e in generale di tutta la filosofia moderna razionalistica è emblematico: basta vedere cosa ha prodotto.
Ettore Fobo:
Grazie Diogene, bellissima disamina, molto chiara ed esaustiva. Non posso che essere d’accordo. Soprattutto quando scrivi che filosofi come Nietzsche hanno finito per erigere nuovi idoli, laddove cercavano di abbattere credenze (penso al mito dell’oltreuomo). Questa tendenza è avvertibile anche in John Gray, in Heidegger, in Cioran e in tutti i grandi becchini della tradizione filosofica occidentale.
Con l’espressione hic et nunc, ne sono consapevole, sottintendevo una visione (filosofica) del mondo che escludesse l’orizzonte della speranza in un aldilà.
Per quanto riguarda l’illuminismo e il positivismo, penso che la loro tendenza dogmatica sia veramente inquietante e non cessa di gettare la sua ombra sul nostro presente, in cui la scienza ha sostituito la religione come narcotico per le masse. La nostra epoca iper razionale ha molti scheletri nell’armadio, molti orrori ha prodotto e continua a produrre.
Vedo con sospetto e sgomento l’imporsi di un pensiero calcolante, attento unicamente all’utile, la crescente mania dell’efficienza, il mito stesso del progresso, idolo fra i più pericolosi, l’enorme potere conferito all’economia, scienza malefica; cresce la confusione e si fatica a orizzontarsi. Come Ceronetti, il filosofo ignoto, penso che la filosofia possa e debba essere una luce in questo buio che ha tutti i contorni della pazzia.
Cerco così, come tutti, forse, di vivere la mia vita fra le rovine della religione e le nuove cattedrali della scienza. Entrambe mi sembrano fragili, prossime al crollo … Sento inoltre che questo crollo, oltre che catastrofico, può anche essere liberatorio.
P.s.: a parte il dettaglio che è alquanto bizzarro e un po' grottesco immaginare che due spettri possano avere un blog, mi pare che per il resto il dialogo, se immaginato come avvenente fra questi due personaggi post-mitologici, spettri antichi che osservano il mondo d'oggi, sia tutto sommato stranamente coerente, estremamente divertente, e infine, mi sembra che i significati e le interpretazioni messe in gioco nel dialogo assumano un peso e un'aura diverse, un tono più inquietante ma allo stesso tempo più distaccato. Il tutto diventa una specie di semi-coerente racconto filosofico enigmatico.
Etichette:
caos,
crisi,
dialogo maieutico,
Diogene il Cane,
dubbio,
filosofia,
Heidegger,
jiddu krishnamurti,
letteratura,
maschere,
mito,
nichilismo,
Platone,
Schopenhauer,
simoneweil,
sperimentazione,
storie,
voci antiche
lunedì 24 dicembre 2012
Natale e Deserto.
http://ettorefobo.blogspot.it/2012/12/il-natale-oggi-secondo-umberto.html
Questo il mio commento alle parole di Galimberti sul Natale nella società post-cristiana citate da Ettore Fobo:
Più di tutto mi ha interessato questo aspetto del Natale come catalizzatore, condensatore, provocazione, inceppo, spiazzamento, deragliamento dai soliti binari, che ci riporta volenti o nolenti di fronte a noi stessi, al di fuori della frenesia quotidiana e dalla vita di tutti i giorni, normalmente spesso percepita come ovvia, scontata, come l'orizzonte nel quale ci muoviamo, quotidianità consumistica rassicurante. Il Natale ci porta via dal tran tran quotidiano e ci sposta, ci trasla verso la via della ricerca del senso, quindi anche della consapevolezza dell'assenza di senso, del paesaggio deserto, del vuoto in cui ci ritroviamo senza più niente da dire o da pensare ("Or as, when an underground train, in the tube, stops too long between stations
And the conversation rises and slowly fades into silence
And you see behind every face the mental emptiness deepen
Leaving only the growing terror of nothing to think about", T.S. Eliot, Four Quartets) e degli interrogativi esistenziali a questa connessi. E in questo deserto ci scontriamo anche con l'assenza di nascite miracolose, cioè col tradimento, la totale scomparsa della civiltà cristiana, divorata dal Moloch della civiltà consumistica, alla prima contrapposta. E se proviamo a pensare ale antiche feste pagane del solstizio e della rinascita del Sole (la festa del solstizio di Yule per i Celti, per esempio) può essere certo molto suggestivo, ma ci lascia ancora più distanti da un orizzonte di senso applicabile al nostro presente privo di sogni, al nostro deserto privo di quella che Leopardi definiva la "poesia degli antichi", cioè la poesia fatta di incanto, magia, innocenza. Restiamo qui, fra una cena con parenti che non conosciamo e con cui abbiamo poco da spartire, una corsa all'acquisto ai regali, un panettone, una cena fra amici con più silenzio del solito, una messa per alcuni, un programma natalizio insulso in televisione, il rito ormai automatizzato degli auguri, le preoccupazioni per il lavoro che non c'è o che è precario, un presepe con vecchie statuette mezze rotte, oppure con ciarpame di plastica, un albero di Natale striminzito mezzo rinsecchito, oppure tristemente sintetico. E Babbo Natale? E la magia che doveva esserci nella notte di Natale in una qualsiasi famiglia contadina allargata secoli fa, magia densa di mistero, di silenzio, di enigma, di sacralità, di riti condivisi e ricchissimi di intenso, poetico, visceralmente vissuto significato simbolico, di mito che riviveva ogni anno, realmente si reincarnava nella percezione di tutti, portando gioia, amore, consolazione? "O dark dark dark. They all go into the dark,
The vacant interstellar spaces, the vacant into the vacant,
The captains, merchant bankers, eminent men of letters,
The generous patrons of art, the statesmen and the rulers,
Distinguished civil servants, chairmen of many committees,
Industrial lords and petty contractors, all go into the dark,
And dark the Sun and Moon, and the Almanach de Gotha
And the Stock Exchange Gazette, the Directory of Directors,
And cold the sense and lost the motive of action.
And we all go with them, into the silent funeral,
Nobody's funeral, for there is no one to bury.
I said to my soul, be still, and let the dark come upon you
Which shall be the darkness of God. As, in a theatre,
The lights are extinguished, for the scene to be changed
With a hollow rumble of wings, with a movement of darkness on darkness,
And we know that the hills and the trees, the distant panorama
And the bold imposing facade are all being rolled away-" (T.S. Eliot, Four Quartets).
Questo il mio commento alle parole di Galimberti sul Natale nella società post-cristiana citate da Ettore Fobo:
Più di tutto mi ha interessato questo aspetto del Natale come catalizzatore, condensatore, provocazione, inceppo, spiazzamento, deragliamento dai soliti binari, che ci riporta volenti o nolenti di fronte a noi stessi, al di fuori della frenesia quotidiana e dalla vita di tutti i giorni, normalmente spesso percepita come ovvia, scontata, come l'orizzonte nel quale ci muoviamo, quotidianità consumistica rassicurante. Il Natale ci porta via dal tran tran quotidiano e ci sposta, ci trasla verso la via della ricerca del senso, quindi anche della consapevolezza dell'assenza di senso, del paesaggio deserto, del vuoto in cui ci ritroviamo senza più niente da dire o da pensare ("Or as, when an underground train, in the tube, stops too long between stations
And the conversation rises and slowly fades into silence
And you see behind every face the mental emptiness deepen
Leaving only the growing terror of nothing to think about", T.S. Eliot, Four Quartets) e degli interrogativi esistenziali a questa connessi. E in questo deserto ci scontriamo anche con l'assenza di nascite miracolose, cioè col tradimento, la totale scomparsa della civiltà cristiana, divorata dal Moloch della civiltà consumistica, alla prima contrapposta. E se proviamo a pensare ale antiche feste pagane del solstizio e della rinascita del Sole (la festa del solstizio di Yule per i Celti, per esempio) può essere certo molto suggestivo, ma ci lascia ancora più distanti da un orizzonte di senso applicabile al nostro presente privo di sogni, al nostro deserto privo di quella che Leopardi definiva la "poesia degli antichi", cioè la poesia fatta di incanto, magia, innocenza. Restiamo qui, fra una cena con parenti che non conosciamo e con cui abbiamo poco da spartire, una corsa all'acquisto ai regali, un panettone, una cena fra amici con più silenzio del solito, una messa per alcuni, un programma natalizio insulso in televisione, il rito ormai automatizzato degli auguri, le preoccupazioni per il lavoro che non c'è o che è precario, un presepe con vecchie statuette mezze rotte, oppure con ciarpame di plastica, un albero di Natale striminzito mezzo rinsecchito, oppure tristemente sintetico. E Babbo Natale? E la magia che doveva esserci nella notte di Natale in una qualsiasi famiglia contadina allargata secoli fa, magia densa di mistero, di silenzio, di enigma, di sacralità, di riti condivisi e ricchissimi di intenso, poetico, visceralmente vissuto significato simbolico, di mito che riviveva ogni anno, realmente si reincarnava nella percezione di tutti, portando gioia, amore, consolazione? "O dark dark dark. They all go into the dark,
The vacant interstellar spaces, the vacant into the vacant,
The captains, merchant bankers, eminent men of letters,
The generous patrons of art, the statesmen and the rulers,
Distinguished civil servants, chairmen of many committees,
Industrial lords and petty contractors, all go into the dark,
And dark the Sun and Moon, and the Almanach de Gotha
And the Stock Exchange Gazette, the Directory of Directors,
And cold the sense and lost the motive of action.
And we all go with them, into the silent funeral,
Nobody's funeral, for there is no one to bury.
I said to my soul, be still, and let the dark come upon you
Which shall be the darkness of God. As, in a theatre,
The lights are extinguished, for the scene to be changed
With a hollow rumble of wings, with a movement of darkness on darkness,
And we know that the hills and the trees, the distant panorama
And the bold imposing facade are all being rolled away-" (T.S. Eliot, Four Quartets).
Ma forse proprio il deserto della crisi, religiosa, esistenziale, filosofica, metafisica, sociale, politica, ora anche economica, è lo scenario in cui possiamo spogliarci di decrepite incrostazioni/simulacri/maschere/corazze da società della finzione e dello spettacolo, e ritrovare, una semplicità e un umano silenzio, e valori di mutuo sostegno e amore, che credevamo uccisi per sempre. Il deserto della crisi è, forse, una nuova mangiatoia, di povertà, mistero, nuda semplicità e umanità, Bellezza.
https://www.youtube.com/watch?v=7b4QY1JWs7I
https://www.youtube.com/watch?v=7b4QY1JWs7I
Etichette:
contraddizione,
filosofia,
mito,
nichilismo,
poesia,
religione,
T.S. Eliot
cometa inquieta - scintilla nella tenebra scavata, smarrita, abissale, nera, fiorita.
A Sacrilegio, mia stella cometa.
http://www.youtube.com/watch?v=QgSihu2QsSU
https://www.youtube.com/watch?NR=1&v=Gvrfwgdj0YU&feature=endscreen
(Molto più bella la versione di Nabil Salameh, ma anche Jovannotti se la cava.)
ps: il titolo del post è una mia poesia di un verso.
http://www.youtube.com/watch?v=QgSihu2QsSU
https://www.youtube.com/watch?NR=1&v=Gvrfwgdj0YU&feature=endscreen
(Molto più bella la versione di Nabil Salameh, ma anche Jovannotti se la cava.)
ps: il titolo del post è una mia poesia di un verso.
Etichette:
ignoto,
Jovannotti,
mancanza,
mare,
meraviglia,
mito,
musica,
poesia,
religione,
viaggio
giovedì 6 dicembre 2012
prima stella del corpo di ballo del balletto delle onde.
Io, la vispa Pryntil, dal caschetto malizioso - Nettuno si gettava ai miei piedi, implorando: "Chiamami Nunù!!!!!".
(Vinicio Capossela)
http://www.youtube.com/watch?v=NSVMdift12Q
(Vinicio Capossela)
http://www.youtube.com/watch?v=NSVMdift12Q
Etichette:
archetipi,
archetipi femminili,
ipotesi Gaia,
leggende,
mare,
mito,
musica,
oceano,
Pachamama,
paganesimo,
poesia,
politeismo,
Shakti,
storie,
Vinicio Capossela,
voci antiche
che tipo giocoso scherzoso scontroso che tipo che coso è l'Oceano oilalà.
Noi vogliamo del rum - rum-rum-rum! - noi vogliamo del rum - rum-rum-rum! - noi vogliamo del rum - rum-rum-rum! - noi vogliamo del rum - rum-rum-rum! - noi vogliamo del rum - rum-rum-rum! - noi vogliamo-
(Vinicio Capossela)
http://www.youtube.com/watch?v=Re5-REUBsXE&feature=fvsr
(Vinicio Capossela)
http://www.youtube.com/watch?v=Re5-REUBsXE&feature=fvsr
Etichette:
archetipi,
archetipi maschili,
interdipendenza,
ipotesi Gaia,
leggende,
mare,
mito,
musica,
Nettuno/Poseidon,
oceano,
paganesimo,
poesia,
politeismo,
Shiva,
storie,
viaggio,
Vinicio Capossela,
voci antiche
Articolo/testimonianza/racconto interessante sugli Usa oggi.
Articolo interessante e soprattutto godibilmente narrato, a metà fra inchiesta da inviato e testimonianza personale/racconto letterario, ben scritto e con un ritmo che porta facilmente all'identificazione vivida nel vissuto del narratore.
Parla degli Stati Uniti e delle più importanti vicende lì recentemente successe.
Ha un tono per quanto mi riguarda apologetico fino a tratti al ridicolo - e ugualmente eccessiva e retorica mi sembra l'apologia di Obama e dei Democratici - e, tuttavia, in quanto testimonianza/racconto, rimane godibilissimo ed estremamente interessante. Niente di particolarmente nuovo, nè dal punto di vista informativo nè da quello descrittivo/sociologico, cose sentite e risentite, sui giornali, nei libri, nei film.
Ma tuttavia, resta la freschezza vivida del vissuto dell'autore, resa con la sua ottima scrittura narrativo-giornalistica, grazie alla quale riesce - forse - a farci fare un breve viaggio negli Usa attraverso i suoi occhi - senza dover prendere un aereo e passare dall'ufficio doganale.
http://rinabrundu.com/2012/11/29/guido-mattioni-da-sandy-alla-star-and-stripes-vi-racconto-la-mia-america/
Parla degli Stati Uniti e delle più importanti vicende lì recentemente successe.
Ha un tono per quanto mi riguarda apologetico fino a tratti al ridicolo - e ugualmente eccessiva e retorica mi sembra l'apologia di Obama e dei Democratici - e, tuttavia, in quanto testimonianza/racconto, rimane godibilissimo ed estremamente interessante. Niente di particolarmente nuovo, nè dal punto di vista informativo nè da quello descrittivo/sociologico, cose sentite e risentite, sui giornali, nei libri, nei film.
Ma tuttavia, resta la freschezza vivida del vissuto dell'autore, resa con la sua ottima scrittura narrativo-giornalistica, grazie alla quale riesce - forse - a farci fare un breve viaggio negli Usa attraverso i suoi occhi - senza dover prendere un aereo e passare dall'ufficio doganale.
http://rinabrundu.com/2012/11/29/guido-mattioni-da-sandy-alla-star-and-stripes-vi-racconto-la-mia-america/
Etichette:
comunità,
giornalismo,
interdipendenza,
ipotesi Gaia,
La rete della vita,
libertà,
mito,
nonsempresonod'accordoconlamiaopinione,
Pachamama,
panteismo,
politeismo,
scrittura,
simulacri,
sogni,
storie,
Usa
lunedì 15 ottobre 2012
Esibire le atrocità - e - percepire la Bellezza (quasi un proto-abbozzo di manifesto artistico-poetico).
"Sì, in me, e fuori, vertigine e tenebre.
Ma in me e fuori
tanto frutto e vittoria di colori
che, se anche vuoto
il mio capo giace sulla pagina
che reca l'altra luce della luna,
anche se il cuore turbato ne sente
le alte porte cadute, ah, tu, clemente
di fontane, di selve sempre gemmea
mia terra, tu di crisantemi
folta, tu che scemi
in un circolo esile di sogni
e di sospiri,
del tuo latte mi sazi, mai sazio,
e mi riarmi di tutto il tuo spazio
cui giustamente dà fiore la luna
nota, e l'altra che ora
di sé svelata le menti innamora."
(A. Zanzotto, da Palpebra alzata,
contenuta in IX Ecloghe)
Questo articolo vuole, fra le altre cose, essere una risposta - solo parzialmente polemica - all'articolo "La mostra delle atrocità - James Graham Ballard" di Ettore Fobo - il quale è una recensione dell'omonimo (post-)romanzo di Ballard e anche una riflessione sul destino del romanzo contemporaneo.
L'articolo è molto interessante, perciò rimando direttamente ad esso, sul blog di Ettore Fobo:
http://ettorefobo.blogspot.it/2012/10/la-mostra-delle-atrocita-james-graham.html
Faccio qui soltanto una sintesi brevissima del punto della questione.
"Ha ancora senso il romanzo, come opera artistica, oppure esso è diventato puro consumo
di storie inutili e di personaggi ridotti a cliché logorati dall'uso?"
Si chiede Ettore Fobo.
"Io personalmente penso che il romanzo oggi conservi la sua potenza espressiva solo nel
tentativo di superarsi e di deformarsi.", continua.
questa forma è entrata in crisi, pur seguitando a dare alcuni isolati straordinari risultati)
la porta consapevolmente al limite", "riscrivendo il modello di romanzo a cui siamo
nuove impensate forme attraverso la sperimentazione.
stilistica che decompone i modelli letterari prestabiliti, e una testimonianza della
cui viviamo.
Fin qui l'articolo sul blog Strani giorni.
Ma io voglio portare un contro-esempio.
Nel 2011, a 83 anni, Guido Ceronetti scrive In un amore felice, suo primo romanzo.
Lo sto leggendo.
Non ha niente di sperimentale. E' un romanzo classico. La scrittura è cesellata con
dettagliata precisione lirica, come un manoscritto miniato intarsiato di elaboratissimi
iper-particolareggiati geroglifici, ora divenendo vera e propria poesia in prosa, ora scorrendo
rapida ad incalzare e sostenere il ritmo della storia. E la storia, nel complesso, appunto
scorre, è avvincente, appassionante, la si divora, la segui col fiato sospeso volendo sapere
cosa succede dopo, come si addice a una "semplice" storia, come si addice a un romanzo
classico, come si addice a un bel romanzo.
E' "semplicemente" una storia d'amore (nonostante tutto, nonostante il mondo,
estremamente ottimista); una "semplice" storia di fantascienza, con tanto di alieni,
suspence, misteri da svelare; ma anche un romanzo filosofico, filosofico-poetico,
fantascientifico-simbolico, filosofico-ermetico.
Uno sguardo sull'Enigma senza soluzione della vita e dell'Universo.
Eppure lo sto leggendo con la stessa immedesimazione immediata, emozionata, con la
stessa trepidante partecipazione con cui da bambino leggevo Salgari o il Ciclo della
Fondazione di Isaac Asimov.
Non posso che sospendere il giudizio perché non l'ho ancora finito, ma per il momento mi
sembra un romanzo stupendo, una storia avvincente e semplice nel suo sviluppo
coinvolgente, come per un bambino la fiaba - seppure trascini con sè e ponga sul tavolo
questioni filosofiche e spirituali profondissime, dentro il mistero delle quali scruta con
sapienza abissale. Ma lo fa con una storia d'amore, una storia di fantascienza che nel suo
sviluppo è, dal punto di vista narrativo, estremamente classica.
E se ciò che avesse esaurito i suoi giorni fosse invece lo sperimentalismo d'avanguardia
novecentesco, con la sua famelica ansia - certo nel novecento necessaria e vitale - di
sovvertire e distruggere a tutti i costi regole e codici?
Ho visto di recente Lisbon Story di Wenders.
Uno dei personaggi, regista cinematografico, andato a Lisbona per girare un film sulla città
con una cinepresa a manovella dei primi del novecento, gradualmente mentre comincia le
riprese sente che ciò che sta facendo non ha senso: le immagini non catturano nulla della
città. La città invece sembra ritrarsi, quasi ferita, di fronte allo sguardo della sua cinepresa.
Perciò decide di abbandonare il suo progetto originale, e optare per quella che gli sembra
l'unica maniera di preservare uno sguardo "puro", un'immagine "pura", nell'età della
compravendita delle immagini, del consumo onnipresente delle immagini, della diffusione
massificata onnipresente dei video e delle immagini, della stereotipizzazione banalizzante,
meccanica e depauperante - pubblicitaria, televisiva, holliwoodiana - delle immagini e delle
storie raccontate per immagini.
Questo progetto registico alternativo consiste nel mettersi una videocamera nascosta dietro
le spalle e girare a piedi per la città, senza pensare alla videocamera, dimenticandosene,
senza scegliere cosa riprendere né successivamente selezionare il girato - e infine - arriva a
questa conclusione: le immagini prodotte dalla videocamera, per restare "pure", non
dovranno essere mai guardate da nessuno. Neanche da lui.
Forse in una lontana era futura qualcuno le avrebbe guardate come misteriosi,
incontaminati reperti archeologici del nostro tempo.
Il protagonista, fonico cinematografico, arrivato a Lisbona per lavorare con lui al primo
progetto (cioè per fare i suoni al film "muto" girato con cinepresa anni '20), dopo alcune
settimane passate a cercarlo inutilmente (ormai il regista vagava giorno e notte per le
strade con la sua videocamera dietro le spalle) e a registrare suoni di tutti i tipi per le strade
della città, alla fine lo trova e riesce a convincerlo a tornare a lavorare insieme a lui al primo
progetto.
Gli dice - registrando la sua voce sul nastro di una videocassetta: "il cinema è ancora in
grado di raccontare attraverso le immagini storie che commuovono." (più o meno, non sono
le parole testuali).
Storie.
Immagini.
Due delle cose che la letteratura e l'arte del novecento hanno coscientemente distrutto -
perchè le percepivano come una fetida gabbia stantia ormai putrefatta.
Warhol ha girato nel 1964 un film, Empire, consistente in una inquadratura fissa in bianco
e nero, in slow motion, dell'Empire State Building di New York - neanche tanto bella, quasi
inquadrata a caso, o comunque senza nessuna ricerca o pretesa estetica - della durata di
8 ore e 5 minuti.
inquadrata a caso, o comunque senza nessuna ricerca o pretesa estetica - della durata di
8 ore e 5 minuti.
Tutta l'arte contemporanea ha distrutto le immagini, la bellezza in immagini, l'arte
rappresentativa, prima, poi anche la bellezza astratta, perché nel deserto nichilista in cui
viviamo, nella società dei consumi in cui viviamo, dove tutto è prodotto pubblicitario
riproducibile in maniera massificata, le ha percepite come false.
Fontana ha squarciato le sue tele, e quale potenza espressionista, quale tragica forza emana da quelle tele!
Esprimono lo squarcio del presente, il niente del deserto, la morte di Dio, il silenzio angosciato dell'assenza di risposte, il mistero assoluto di fronte al quale non abbiamo punti di riferimento.
Gran parte della letteratura del novecento ha fatto lo stesso con i modelli letterari, ma anche proprio con il concetto di storia, con le storie, con la narrazione.
L'esempio più divertente (che coinvolge stravolgimento di narrazione, di struttura, perfino della lingua, della grammatica, dell'ortografia e del vocabolario) è I fiori blu di Queneau: un capolavoro post-surrealista di puro gioco linguistico, puro nonsense, dove storia e significato scompaiono nel puro piacere divertito, gioioso, della glossolalia narrativa.
Ma anche Se una notte d'inverno un viaggiatore di Calvino (che però in realtà sembra esprimere una grandissima passione, e una grandissima nostalgia, per le storie).
Esempi estremi, fra gli altri, sono le varie sperimentazioni letterarie che prevedono la possibilità di leggere le parti di un romanzo in ordini diversi, casuali o decisi dal lettore (per esempio Composizione n. 1 di Marc Saporta è un romanzo - come altri romanzi sperimentali - in cui le pagine sono sparse e non hanno un ordine: il lettore decide in quale ordine leggerle).
La musica ha fatto lo stesso con la melodia e l'armonia, prima con la dodecafonia, che ha fatto a pezzi l'armonia e la melodia classiche, fino ad arrivare a Cage e Stockhausen, che teorizzano il rumore casuale come musica.
Imaginary landscape no. 4, del 1951, è una composizione di Cage per dodici radio. Ogni radio è controllata da due esecutori, uno sintonizza la frequenza, l'altro cambia il volume, seguendo le indicazioni della partitura. I risultati sono sempre differenti e imprevedibili.
Nel 1952 invece Cage compone 4'33”, composizione per qualsiasi strumento. L'opera consiste nel non suonare lo strumento.
Battiato, nel '78, compone un pezzo per piano, L'Egitto prima delle sabbie, che consiste nella ripetizione di una rapida scala - sempre uguale. Varia solo l'intervallo di pausa fra le scale identiche e gli effetti di risonanza dovuti all'uso dei pedali. Fra l'altro è un brano bellissimo, pur non avendo in pratica una vera e propria melodia riesce ad avere una grandissima evocatività lirica.
Il Dadaismo mette una ruota su un piedistallo e il Nuovo Realismo degli anni '70 usa la realtà come materiale artistico, per esempio strappando pezzi di cartelloni pubblicitari per riappiccicarli in maniera creativa, o rivestendo monumenti di teli di plastica.
Warhol fa arte con le foto di Mao, colorandole di fosforescenti toni pubblicitari.
Un'altra opera di Warhol, Oxidation Painting, del 1978, è una tela verniciata su cui Warhol e amici hanno urinato, producendo ossidazione e quindi cambiamento di colore nei punti colpiti.
Tutto è arte.
Anche i barattoli di salsa Campbells.
(E anche la merda d'artista, commenterebbe sarcastico Piero Manzoni).
Tutto è arte.
Non solo ciò che è stato tradizionalmente codificato come tale e come "bello" secondo canoni di bellezza ormai percepiti come decrepite illusioni cadaveriche.
L'Arte esce dai musei, diventa per esempio performance, ma distrugge anche consapevolmente modelli estetici percepiti come finti e asfissianti, o comunque superati, morti. Ma facendo questo ha forse ucciso, o contribuito ad uccidere, la Bellezza. O quantomeno, non l'ha resuscitata.
Alla stessa maniera, anche il Rumore è musica, e un grattacielo ripreso per otto ore con inquadratura fissa è cinema (o arte, cambia poco).
Per quanto riguarda invece la narrazione cinematografica, la trama dell'angosciante capolavoro di Antonioni Blow Up consiste tutta nell'indagine del protagonista sull'irrealtà della realtà, l'irrealtà dei fatti, l'irrealtà e la disgregazione quindi anche delle storie.
Anche in poesia i canoni sono sovvertiti, la stessa musicalità dei versi è spesso avvertita
come obsolescente, dai futuristi alle cose più sperimentali di Zanzotto è tutto un continuo
rompere, spaccare ritmi conosciuti, dilaniare le melodie classiche del verso per ottenere
una lirica che sia una secca ma autentica testimonianza della vita contemporanea, della
vita nelle "giungle delle città d'asfalto".
Le immagini sono false, le storie sono false, l'armonia e la melodia sono false, le rime sono
false.
Sono tutte varianti della morte di Dio, espressioni del deserto di vuoto siderale in cui
esistiamo.
Eppure, le storie davvero non sono più possibili?
Certo, sono da reinventare, ma davvero le storie e i romanzi, le storie-storie, con una
narrazione coerente e unitaria, con protagonisti-personaggi-trama-sviluppo-ostacoli-
antagonisti etc... sono morte?
Il romanzo-romanzo di Ceronetti, voce antica, voce vecchia, voce inattuale, promette
decisamente bene.
Alla stessa maniera in cui Lisbon Story, pur reinventando il cinema, pur essendo
decisamente innovativo e originale, anzi decisamente - in tutto e per tutto: strano, anche
estraniato, enigmatico - a tratti alienato e alienante - eppure nonostante questo è un film
classico e un omaggio al cinema classico, una avvincente storia per immagini, anche se
non succede quasi niente. Ha la freschezza, la purezza, la vitalità, la bellezza
del cinema dei primordi e di quello dei grandi maestri classici come Fellini, a cui il film è
dedicato.
La fotografia di Lisbon Story è fatta di straordinari dipinti.
Nel film non succede quasi nulla, eppure l'effetto di identificazione con la storia (per
quanto sui generis), col protagonista (in certi momenti ti sembra di essere lì a Lisbona) è
perfettamente riuscito.
Forse, chiunque oggi si dedichi a creare Arte, cinema, Poesia, Musica, letteratura, ha il
compito - non più di distruggere statici codici ormai trapassati nell'inutile - questo è già
stato fatto - e ampiamente anche - ma di ricostruire, reinventandole, storie, versi, immagini,
melodie - che sappiano essere testimoni della verità viscerale di chi le crea e del tempo in
cui vive, con i suoi orrori, le sue atrocità, la sua assenza di senso, la sua grottesca
assurdità - ma che sappiano anche di nuovo riconvocarci al luogo meravigliato
del dovere più grande: percepire la Bellezza.
Post Scriptum:
Del resto il caso di Ceronetti non è certo l'unico.
Per esempio, Haruki Murakami ha scritto negli ultimi decenni diversi eccezionali romanzi.
Del resto il caso di Ceronetti non è certo l'unico.
Per esempio, Haruki Murakami ha scritto negli ultimi decenni diversi eccezionali romanzi.
Il migliore, fra quelli che ho letto, è sicuramente L'uccello che girava le viti del mondo.
Capolavoro di "realismo magico", o meglio forse quasi "realismo fantasy", è un'epopea
fantasy che si svolge quasi tutta nello stesso quartiere residenziale di Tokyo negli anni '80.
Elementi magico-fantastici scivolano gradualmente e in maniera all'inizio impercettibile, poi
completamente naturale e credibile nelle tranquille giornate routinarie di un disoccupato
giapponese. Vicende fantastiche, che in realtà paradossalmente non si allontanano mai
veramente dalla realtà quotidiana - con valori simbolici psico-esistenziali, storico-culturali
(relativi al Giappone contemporaneo) e filosofico-metafisici profondissimi - ma che sono
innanzitutto avventure, storie coinvolgenti come narrazioni mitologiche - un'odissea
contemporanea, un percorso in cui il protagonista affronta prove iniziatiche e faticosa
conquista di sé come in un racconto cavalleresco medievale, una fiaba o una leggenda
tradizionale.
Un'altro esempio è Neil Gaiman, che, dopo aver scritto Sandman (il Signore del Mondo
dei Sogni, l'unico mondo dove le Storie - nella accezione più tradizionale e archetipica -
hanno ancora un senso e un valore magico), il fumetto con valore letterario più grande che
io abbia letto - si è dedicato negli ultimi vent'anni ai romanzi, sia per ragazzi che per adulti.
Io ho letto uno di questi ultimi, Nessun dove.
Anche qui una specie di realismo magico o fantasy.
Universi paralleli coesistono a un passo dal - o dentro al - nostro.
Universi fantastici abitati da simbologie sociologiche e psicologiche, ma innanzitutto da
storie, sogni, avventure mirabolanti che sono il contraltare della normalità e della piatta
quotidianità borghesi.
Anche qui un universo magico-fantastico, mitologico, che in realtà non si allontana dalla
realtà di tutti i giorni, si nasconde fra le sue pieghe, nei suoi angoli bui e nascosti -
dimenticati.
Le storie di Gaiman sono come il racconto divertito di dei ubriachi o folletti ridanciani - o
versioni post-moderne di dei e folletti - che ti fanno capire segreti e verità eterne con un
motto ilare o uno scherzo ben riuscito - dotati di uno sguardo superiore e quindi distaccato
sul mondo umano, ma contemporaneamente estremamente benevolo e affezionato agli
esseri umani.
Le vicende vissute dai personaggi di Murakami invece sono più degli incomprensibili
inquietanti frammenti di enigma, di cui sfugge lo scopo e il senso, ma attraverso le cui
impenetrabili nebbie si intuiscono comunque sprazzi di significati e di disegni superiori, una
guerra epica fra Bene e Male su di un campo dove si sono perse certezze metafisiche e
esistenziali, ma nel buio del quale - anche grazie all'aiuto di strani personaggi-alleati
e di bizzarre, inspiegate coincidenze magiche - si riesce comunque a fiutare la buona pista
della direzione da prendere per realizzarsi.
Insomma, più ancora del romanzo - nella sua determinata forma storicamente data, di
matrice ottocentesca - che comunque secondo me ha ancora moltissimo da dire - ciò di cui
più mi preme sottolineare il valore attualissimo, urgente, vivo - è la magia delle Storie, nella
loro dimensione eterna e archetipica - certamente molto più presente nel romanzo di
Ceronetti o in quelli di Murakami o di Gaiman, che non in esperimenti principalmente
intellettual-letterari, figli di una crisi culturale che - anche se profonda, radicale, viscerale,
sconvolgente, e plurisecolare - è solo un brevissimo incubo destinato ben presto a essere
dimenticato - se rapportata all'Eternità dell'Essere, come scriveva nel 1952 Ernst Jünger.
http://www.youtube.com/watch?v=o5aBg0CZSJ0&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=m4n1t1TOWq0&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=KSfQzAje1js&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=T-T83DoeGkQ&feature=relmfu
http://www.youtube.com/watch?v=f3PerEBCVrY&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=KSfQzAje1js&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=T-T83DoeGkQ&feature=relmfu
http://www.youtube.com/watch?v=f3PerEBCVrY&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=mk-gVBmUZJ0
Etichette:
avanguardie,
cinema,
Franco Battiato,
Guido Ceronetti,
Haruki Murakami,
letteratura,
Lisbon story,
mito,
musica,
Neil Gaiman,
nichilismo,
poesia,
realismo fantasy,
romanzo,
sperimentazione,
storie,
Wim Wenders
Iscriviti a:
Post (Atom)