LASCIA TUTTO, E SEGUITI! (F. Battiato) Dove tutto è enigma (storia, natura, cosmo) la certezza dell'insolubilità pone un invisibile seme di speranza. (Guido Ceronetti)

di-segno di Sacrilegio Tempesta
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pARTICOLARE DI "Autunno", quadro di Diogene senza l'anima?. Foto di Sacrilegio Tempesta.
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sabato 8 marzo 2014
Quando vidi lo Skianto-
Siamo a fine anni '90. Forse '99.
E' il 25 Aprile e insieme a un gruppo di amici e compagni di università abbiamo deciso di prendere la macchina e andare, da Pavia, a un paesino sui colli emiliani alla cui Festa della Liberazione avrebbero suonato gli Skiantos.
Arriviamo, l'auditorium è pieno di gente di ogni età, vecchi ex-partigiani dell'Anpi, giovani, la popolazione è raccolta in festa a prescindere da differenze generazionali, e si respira un clima di festa realmente sentita in maniera molto forte: qui sembra che il 25 Aprile sia ancora qualcosa che coinvolge a livello profondo, una vera Festa che coinvolge realmente la comunità, non solo un rito di facciata. Fuori dall'auditorium è pieno di banchetti di associazioni di ogni tipo. Io mi fermo al banchetto di un'associazione animalista e parlo per almeno una mezz'ora di vegetarianismo con un tizio molto informato (e forse un po' fanatico).
Intanto è cominciato il concerto, suonano diversi gruppi più o meno sconosciuti.
C'è anche un breve spettacolo teatrale sulla Via Campesina e il ritorno alla Terra, messo in scena da alcune ragazze - uno spettacolo intensissimo, quasi un rituale, fatto di movimenti lenti, danzati, sorta di spiritualità, sacralità femminile e nativa antica ed eterna nel suo rapporto con la Terra, rivolto però al presente, alla politica, al futuro.
Poi arriva il pezzo forte: gli Skiantos sul palco.
Freak Antoni arriva e dopo aver salutato il pubblico si volta a braccia conserte: sul retro della maglietta c'è scritto: "PUBBLICO DI MERDA". Canta la prima canzone voltato di spalle.
Il concerto è molto bello, divertentissimo. Ogni tanto Freak alza cartelli con su scritto: "PUBBLICO DI MERDA", "PUBBLICO ACRITICO", "APPLAUSI", "RISATE", "APPLAUDITE A COMANDO" (qualcuno forse l'ho inventato io, ma lo spirito era quello). L'effetto è comico-estraniante-surrealista, e nel divertimento surreale fa riflettere sui meccanismi automatici e passivi del "pubblico" nella società dello spettacolo.
Ma le provocazioni sarcastico-dadaiste di Freak scatenano la rabbia di un tizio, non so se ubriaco o fatto o fuori, che si avvicina al palco gridandogli contro come un matto, incazzatissimo.
Ed è qui che viene fuori la natura di sciamano-clown del Freak.
Quando il tizio si avvicina al palco gridando, Freak scappa nelle retrovie del palco con aria pagliaccescamente terrorizzata e urla nel microfono: "No!!!! Non ti avvicinare!!!!!!! Mi fai paura!!!!!!! Aiuto!!!!!!! Stai lontano!!!!!!!!!!!!!!!" con voce strozzata, e mimica grottescamente spaventata.
Col risultato che il tizio "fuori" si calma. Salvo poi tornare alla carica un quarto d'ora dopo. La scenetta si ripetè 4 o 5 volte, sempre con la stessa pacificazione finale, poi il tizio rinuncia.
- Coup de theatre dadaista - vero e proprio rituale di esorcismo sciamanico, messo in opera dallo stregone rock con l'aiuto del Dio del Punk e delle risate della tribù del pubblico.
Finito il concerto, usciamo fuori, c'è un immenso prato collinare che poco più in là scende verso un torrente, e un immenso sole. Ci sdraiamo sull'erba a prendere il sole. Qualcuno cerca di insegnarmi qualche esercizio e il passo base di Capoeira. Qualcuno si mette a fare capriole. Qualcuno si bacia. Molti ridono. Molti sparano cazzate e assurdità varie (il tasso alcolico di molti è piuttosto alto). Siamo felici.
E' stato davvero un gran bel pomeriggio, una gran bella Festa.
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venerdì 10 gennaio 2014
La persistenza della memoria disegna sottili monumentali arabeschi senza scopo nelle nostre esistenze.
La persistenza della memoria, gli orologi molli, famoso quadro di Dalì.
"La notte ci piace perchè, come il ricordo, sopprime i particolari oziosi." (Borges)
Al contrario, gli orologi molli, la persistenza della memoria, si attaccano più di tutto a dettagli completamente insignificanti. Mi ricordo ancora di quando - avrò avuto 10 anni - una mia amica d'infanzia mi disse che suo zio diceva che l'unica cosa utile che aveva imparato al militare era ad aprire le bottiglie di birra con l'accendino. La frase mi suonò bene, mi colpì la fantasia senza nessun motivo apparente, senza nessuna utilità, microframmento di dettaglio senza alcuno scopo o senso, che però per qualche misterioso motivo aveva colpito la mia immaginazione di bambino che si dirigeva verso il mondo dell'adolescenza con i suoi riti tesi a dimostrare ferocemente la necessità di voler apparire "grandi".
Tanto che, molto dopo l'adolescenza, un giorno decisi che dovevo assolutamente imparare ad aprire le bottiglie di birra con l'accendino, e ancora oggi questo inutile gesto, questo piccolo futile vezzo, mi dà un piacere particolare, annodato a ritroso come una radice ramificata una ragnatela metatemporale con frammenti spezzati di quasi 30 anni di vita, fino all'eco del nocciolo archetipale preconscio del ricordo di quella strana, futile, spettacolare, brillante ai miei occhi frase, detta dalla mia amica con un misto di antimilitarismo e spavalderia goliardica - quasi come mi bastasse questo ciencio divertito di finta spacconeria da uomo vissuto - ad affratellarmi con generazioni di militi ignoti.
Infine, questo intrico di tessere, bagliori, risonanze prive di qualsiasi importanza o scopo, si intreccia con questo istante, in cui davanti a un attrezzo tecnologico che quando avevo 10 anni potevo immaginare attraverso i romanzi di fantascienza - si intreccia con il mio piacere di scrivere, di trarre una forma letteraria, immaginifica da un nulla, uno scherzo innocente del mio sistema neuronale, un collegamento elettrochimico casuale delle mie sinapsi-
"La notte ci piace perchè, come il ricordo, sopprime i particolari oziosi." (Borges)
Al contrario, gli orologi molli, la persistenza della memoria, si attaccano più di tutto a dettagli completamente insignificanti. Mi ricordo ancora di quando - avrò avuto 10 anni - una mia amica d'infanzia mi disse che suo zio diceva che l'unica cosa utile che aveva imparato al militare era ad aprire le bottiglie di birra con l'accendino. La frase mi suonò bene, mi colpì la fantasia senza nessun motivo apparente, senza nessuna utilità, microframmento di dettaglio senza alcuno scopo o senso, che però per qualche misterioso motivo aveva colpito la mia immaginazione di bambino che si dirigeva verso il mondo dell'adolescenza con i suoi riti tesi a dimostrare ferocemente la necessità di voler apparire "grandi".
Tanto che, molto dopo l'adolescenza, un giorno decisi che dovevo assolutamente imparare ad aprire le bottiglie di birra con l'accendino, e ancora oggi questo inutile gesto, questo piccolo futile vezzo, mi dà un piacere particolare, annodato a ritroso come una radice ramificata una ragnatela metatemporale con frammenti spezzati di quasi 30 anni di vita, fino all'eco del nocciolo archetipale preconscio del ricordo di quella strana, futile, spettacolare, brillante ai miei occhi frase, detta dalla mia amica con un misto di antimilitarismo e spavalderia goliardica - quasi come mi bastasse questo ciencio divertito di finta spacconeria da uomo vissuto - ad affratellarmi con generazioni di militi ignoti.
Infine, questo intrico di tessere, bagliori, risonanze prive di qualsiasi importanza o scopo, si intreccia con questo istante, in cui davanti a un attrezzo tecnologico che quando avevo 10 anni potevo immaginare attraverso i romanzi di fantascienza - si intreccia con il mio piacere di scrivere, di trarre una forma letteraria, immaginifica da un nulla, uno scherzo innocente del mio sistema neuronale, un collegamento elettrochimico casuale delle mie sinapsi-
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