di-segno di Sacrilegio Tempesta

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pARTICOLARE DI "Autunno", quadro di Diogene senza l'anima?. Foto di Sacrilegio Tempesta.
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giovedì 22 maggio 2014

Per un'etica impura, impolitica, della resistenza alla politica. (ripubblicazione)

  Ripubblico un vecchio post (Marzo 2013) che mi sembra quanto mai (in)attuale.



Non intorno a chi inventa nuovi rumori; intorno a chi inventa nuovi valori gira il mondo; impercettibile esso gira.
(F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra)




"Ogni forma di intossicazione è un male, non importa se si tratti di alcool, morfina, o idealismo. Dobbiamo guardarci dal considerare male e bene come due opposti." (Carl G. Jung)

La stessa cosa vale naturalmente per il concetto di onestà, o, a maggior ragione, per quello di purezza.

Una cosa è essere onesti, un'altra cosa, completamente diversa, è sbandierare l'"onestà" come un vessillo sufficente a dimostrare una presunta diversità e superiorità ontologica rispetto agli altri.

Con questo passaggio, apparentemente non fondamentale, solo "di forma", si passa da una giusta esigenza di etica, impercettibilmente verso quel "desiderio di purezza" che ha creato i progrom, i gulag, i campi di concentramento, i roghi di "streghe" e di "eretici", le guerre sante, e ogni forma di persecuzione violenta del diverso e del non allineato.

Veramente "puro" è solo ciò che è morto e quindi è statico, non ha difetti. Chi si autodichiara "puro" invece è solo un moralista.

Etica e moralismo, da sempre, sono nemici giurati.

Sono d'accordo con l'esigenza di combattere la corruzione, cercare di raddrizzare quest'italietta del clientelarismo e della mafia. Questo va combattutto, completamente d'accordo. E capisco l'averne fin sopra i capelli.

Tuttavia quando da questo si passa a toni fanatici da crociati puri in lotta contro le forze del male, si passa dalla padella nella brace.

...ma rilassiamoci un po' tutti!


 un "cambiamento", in positivo, non è mai possibile accendendo toni millenaristici infuocati e apocalittici. rilassiamoci, voliamo basso... il "cambiamento" passa per le piccole cose e per i progetti studiati con attenzione, calma, cautela, analisi lucida, serenità, assenza di faziosità e di lotta di una parte contro tutto, ma concentrandosi sulla costruzione democratica di progetti concreti, positivi, approfondendo i temi invece di perdersi nell'adesione ad un capo che comanda una crociata...

...nè perdersi in qualsiasi altra forma di imbizzarrimento di parte.


La salvezza non sta nè nella politica nè nell'antipolitica. 

La salvezza sta nell'"impoliticità", nello starsene tranquillamente e serenamente, decisamente impolitici.

Non apolitici, menefreghisti. Ma, sostanzialmente, di fondo, impolitici. 

Cioè, rifiutarsi di lasciarsi catturare da qualsiasi ingranaggio, logica della politica, che è, sempre, in ogni caso, una logica di potere: sono logiche alienanti in cui perdiamo il nostro semplice "essere umani", "restare umani", e quindi capaci, sempre, a priori, molto prima di qualsiasi ragionamento "politico", di rimanere ancorati alla nostra autenticità e spontaneità interiori, e non spodestati, sbalestrati verso un alienante Astrazione politica - e quindi essere anche sempre capaci di riconoscere sempre negli altri esseri umani dei simili, senza lasciarci accecare dai furori "di parte". 

Essere impolitici non significa non dire ciò che si pensa, non criticare, anche radicalmente, non prendere posizione, ma significa che, molto prima e molto più in profondità di questo, "restiamo umani", restiamo saldamente ancorati nel cuore del nostro essere, del nostro essere individui umani col loro unico e irripetibile pensiero, con le loro emozioni uniche e irripetibili, e con la salda certezza che questo viene prima ed è molto più importante di qualsiasi adesione a "partiti". 

L'"ignavia" era in passato la peggiore delle codardie. 

Oggi il "non prendere partito" (che non significa, ripeto, non prendere posizione) mi sembra l'unica forma di coraggiosa, intelligente, saggia, umana resistenza, in quest'epoca di moti emotivi di massa meccanici evocati artificialmente dai media che svuotano chi si lascia irretire (in una qualsiasi "parte") della sua umanità e della sua intelligenza critica. 

Ancora più che contro Beppe Grillo, sono soprattutto contro ogni forma di impazzimento socio-politico che possa frammettersi fra gli esseri umani e dividerli. Il movimento 5 stelle è sicuramente una forma di impazzimento socio-politico, ma, tanto per dire, anche l'essere contro Beppe Grillo potrebbe esserlo o diventarlo. 

Io vedo il rischio di spaventosi fenomeni di caos sociale, a rischio di guerra civile. 

Di fronte a questo rischio, la mia posizione è fondalmente una: restare umani, restare saldamente ancorati a sè stessi, rifiutarsi di alienarsi nell'adesione cieca, fanatica, meccanicamente di massa, a una qualsiasi fazione politica, e ricordarsi sempre, molto prima della politica, del proprio essere-simili-a-tutti-gli-esseri-umani, come direbbe il Dalai Lama.


Il punto di vista del Dalai Lama


Il punto di vista di Virginia Salles, Wilhelm Reich e Josè Angelo Gaiarsa

sabato 7 settembre 2013

SE NON-


"SE NON RESPIRI IL CORPO MUORE; SE NON AMI, MUORE L'ANIMA." (OSHO)






AGGIUNGO: SE NON MUOVI ALMENO OGNI TANTO IL TUO CORPO AL RITMO DELLA MUSICA, MUOIONO SIA LA MENTE CHE IL CORPO!











https://www.youtube.com/watch?v=sgMAmkVtug0



















mercoledì 4 settembre 2013

Un capolavoro sperimentale del 1972-



"Pollution", 1972 (ai tempi - lontani - in cui Battiato era veramente un genio, il prog faceva scintille fantasmagoriche e tutto il mondo dell'arte della musica e della creatività in generale era decisamente molto più vivo di oggi- -Esistono oggi "scene" o anche singoli artisti di una vitalità tellurica e intelligenza innovativa sottile ed ultra-poietica, realmente creatrice, ultra-immaginativa e insomma causticamente de-creante, sognatrice, decostruttiva, utopica, desiderante, palpitante, fantastica, visionaria, fisicamente altroquandista, altera, libertaria, visceralmente, ferocemente poetica paragonabile? )-















Interessante, s-concertante, de-ragliante, sabotatrice, anche questa intervista radiofonica del 1978:




"Io Fuggo Indietro."




"Non c'è Valore, c'è Volere."










Indietro, si trova, per esempio, questo:



























Oppure:





https://www.youtube.com/watch?v=u2SU83cd_jg


Oppure:














 In avanti invece c'è  L'era del cinghiale bianco, 1979, album con il quale comincia la carriera commerciale di Battiato: canzoni ben confezionate, piacevoli, con testi originali e intelligenti, ma pur sempre canzonette commerciali...............









domenica 11 agosto 2013

-sganciando-

Stare attaccati a Facebook o ad un telefonino è solo la versione più evidente, letterale dello "stare attaccati alla Macchina".

Ma si può essere "connessi alla Macchina" in molte maniere diverse.

Guardando il telegiornale (o leggendo un giornale) e accalorandoci nel nostro scandalizzarci o fare il tifo, in base a luoghi comuni pre-pensati da qualcun altro.

Leggendo un libro e appassionandoci alle idee lì sostenute con un'adesione acritica (anche qui, entriamo in un "meccanismo", e una volta che questo è "acceso", funzioniamo in maniera automatica).

Fissandoci su idee sclerotizzate, oppure su dubbi-brusio-di-folla della mente.

Scattando in reazioni irriflesse.

Pensando di poter "acquisire" definitivamente certezze, risultati, identità-definizione, accumulare e confermare in maniera definitiva, rigida, possessiva, eterna soluzioni e risposte, bramare e stringere strette "proprietà" psichiche, cristallizzate, raggelate "verità" esistenziali.

Aderendo a un qualsiasi "-ismo", e perciò stesso delegando ad esso la libertà ed il rischio di pensare, sentire, scegliere, vivere liberamente, essere.

La Macchina è sempre esistita. Oggi c'è certo un'ipertrofizzazione e un'apoteosi paradossale, universale, totalizzante, assolutizzante della Macchina, ma il problema non sono tanto gli strumenti tecnici, quanto un processo interiore.

Disconnettersi dalla Macchina è staccare la spina alla continuità della realtà virtuale ottundente del Già-Tutto-Noto, strappare gli ormeggi e fluire sull'apertura-Oceano della vita, della realtà Ogni-Volta-Diversa, ogni volta sorprendente, priva di etichette e direzioni, senza risposte, senza soluzioni aprirsi all'esplorazione del reale, dell'essere, del Grande Ignoto-


giovedì 30 maggio 2013

Spruzzo

Il mondo esterno ci opprime, ci schiaccia, ci compressa, ci intristisce, ci riduce il tempo e lo spazio, i movimenti. Le risa sono isteriche, i canti vuoti e sordi assenti. Le musiche sono inscatolate in cubi di tempo spazio razionale senza piacere vero.
I pochi che suonano per piacere sono piantonati, frustati frustrati, con lotte avanzano. I pochi che hanno ancora tempo per vivere non riescono più ad usarlo, sono persi nel vuoto, non riescono più a creare nulla. Raramente ci sentiamo liberi, raramente ci sentiamo utili, raramente ci sentiamo. 

Bloccati da spettri di catene, vogliamo essere sicuri di ciò che ci circonda ma non sappiamo niente di noi stessi.
 
                           (Sacrilegio Tempesta)

lunedì 20 maggio 2013

Happenings happen-

"Lo spazio espositivo non mi soddisfaceva più. Pensai che sarebbe stato molto più interessante uscire dalla galleria e far fluttuare l'ambiente che avevo creato nella vita di tutti i giorni, per eliminare ogni tipo di divisione (...). L'evento deve terminare prima che sopraggiunga l'abitudine. L'artista compie un happening e vive il più puro dei melodrammi. La sua opera è una perfetta rappresentazione del mito del Non Successo, perchè gli happening non possono essere venduti o portati a casa, ma solo incoraggiati. Inoltre, a causa della loro natura fluttuante, solo poche persone possono seguirli: Rimangono un evento isolato e orgoglioso. Chi li crea è un vero avventuriero, perchè gran parte di quello che fa è assolutamente imprevedibile. Chi li fa è un vero truffatore." (Allan Kaprow)

"- L'happening non è arte, l'arte è happening.

- Può accadere anche a te.

- Sta accadendo qui e adesso.

- L'happening risponde a tutte le domande!

- L'happening risponde a ogni tuo desiderio.

- ogni parola è un happening.

- ogni persona è un happening.

- Accadi ora, sii umano!

- Le persone sono un happening ben accetto.

- Diventa un happening rispondendo immediatamente alla domanda:

CHE COS'E' UN HAPPENING?"

  (Simon Vinkenoog)


Tutta la vita è un immenso happening teatrale-artistico-dadaista improvvisato e interattivo.

Dunque, perchè fare un happening? Che senso ha? Cosa aggiunge?

Oppure: dunque, perchè non fare happenings tutti i giorni?

Oppure: dunque, perchè non sedersi su una panchina e osservare lo spettacolo più divertente, surrealista, drammatico, autentico, viscerale, esplosivo e potente che ci sia, il mondo, invece di pagare un biglietto per un banalissimo cinema?

Oppure: dunque, perchè non divertirci, cambiare, creare, vitalizzare, deserializzare, deseriosizzare, de-diserotizzare, de-raggelare, dedepressizzare, deconsuetudinare, dedisanimare, demeccanizzare, deabituare, deappiattizzare, dedisinnescare, dedecolorare, decontrarre, destereotipare, deazzerare, demistificare, smascherare, derumororizzare, de-alienare, deinimicizzare, de-dividere, de-disperare, de-livellare, de-rinunciare, de-costruire, de-creare, inventare, decontestualizzare, rianimare, spiazzare, improvvisare un po' di più, visto che siamo in un happening?

oppure: va bene così com'è.

Ma fra l'altro: che cos'è un happening?





domenica 12 maggio 2013

José Angelo Gaiarsa: FAME D'ARIA!!!!


"Nessuna costituzione
E nessuna rivoluzione
Mai hanno pensato di garantire agli uomini
Il Diritto di Respirare.



Nessun diritto è più necessario,
in quanto viviamo tutto il tempo soffocandoci gli uni con gli altri,

Tu mi soffochi:


  • Ogni volta che non posso dire a te quel che faccio quel che sento e quel che penso.

  • Ogni volta che devo controllare la mia voce e i miei gesti, per far sì che tu non percepisca le mie intenzioni.

  • Ogni volta che devo giustificare ciò che faccio dinanzi al mio Giudice  interiore – che sei tu.

  • Ogni volta che reprimo i miei desideri perché tutti vigilano su tutti, perché nessuno faccia quel che tutti vorrebbero fare e che sarebbe bene che tutti facessero: amare, cantare, ballare…
La mia vendetta è fare lo stesso con te.

Per questo viviamo tutti soffocandoci,
   e mai si è pensato di garantire a tutti il diritto di respirare.
            Noi ci neghiamo il più fondamentale dei diritti: il diritto di vivere.
            Per questo viviamo soffocati, angosciati, infelici.


            È necessario rinascere, è possibile rinascere."








(dalla quarta di copertina di “Respirazione angoscia e rinascita” di José Angelo Gaiarsa, psichiatra e psicoanalista decisamente eretico, che ha messo a punto una psicologia che è una sintesi tra psicologia simbolica del profondo Junghiana e analisi corporea Reichiana.


Le seguenti citazioni sono tratte dall'eccellente articolo di Virginia Salles su Gaiarsa al link:



http://www.artiterapielecce.it/index.php?option=com_content&task=view&id=298&Itemid=155




(p.s.: l'articolo a questo link non è firmato, ma si vede che è un articolo di Virginia Salles a questi due altri link, con estratti più brevi, firmati:



 http://www.virginiasalles.it/pag_estr_fame.php


http://www.centrostudipsicologiaeletteratura.org/arsal1.html 








"Nelle sue opere Gaiarsa compie una sintesi, una vera e propria congiunzione di opposti tra la “psicologia del profondo” di C. G. Jung e quella “del corpo” di W. Reich offrendo una visione dell’uomo più completa. I libri di Gaiarsa sono allo stesso tempo l’esposizione di una teoria e la storia di questa teoria. In essi l’autore, con un linguaggio molto spontaneo, frasi scherzose, racconta fatti personali, peculiarità della propria vita, le sue battaglie esistenziali lungo un difficile e travagliato percorso evolutivo. Nel capitolo intitolato“Io e il mio cuore” Gaiarsa si racconta: “Prima di approfondire lo studio della respirazione, parlo di me e del mio cuore. Sono stato un angosciato cronico durante la metà della mia vita, e tutto ciò che è scritto qui  proviene dal mio sentire e dal mio soffrire…”. “Ho vissuto con questa oppressione per molti anni, sembrava una ferita aperta dolente e sempre sanguinante, ed io tiravo la spalla sinistra sul corpo nell’intenzione di proteggere il cuore. Non percepivo che nel proteggerlo lo stringevo ancora di più. Ma io dovevo trattenere quello che nel mio petto voleva espandersi… La mia vita, l’aria respirata che si diffondeva dentro di me, il sangue che si espandeva nel mio corpo. Questo è ciò che si può sentire come vita. Questo io lo so adesso che ho 70 anni…Allora non stavo vivendo, stavo morendo…”.   “Ma la paura continuava, di morire di cuore. Era profonda. Era quasi desiderio. Vivere male fa venire la voglia di morire…”. “Molti, molti anni fa, quasi morii il giorno in cui mi sentii felice. Il petto ha iniziato a espandersi tanto che ho avuto paura che quella cosa, la felicità, il mio petto non la contenesse. Erano sentimenti, sensazioni nel petto, e li ho trattenuti, è chiaro…è molto difficile imparare a lasciarsi andare. È molto difficile sentirsi felice, non ci è permesso, non siamo abituati, è proibito…voler espandere il petto, sentire il cuore che galoppa come il cavallo del cavaliere errante di desiderio, di ricerca, di eroismo, di fuoco, di vita piena, densa, forte…voler amare è questo…”."



"Già dai tempi più remoti le parole relazionate con l’aria, l’atmosfera, o la   “respirazione” sono le stesse usate per descrivere concetti religiosi. Per esempio, in alcune lingue antiche come il greco o il latino le parole aria, vento, soffio, sono le stesse che esprimono idee come Vita, Spirito, Dio… Gaiarsa ci propone alcune analogie: l’atmosfera come Dio è infinita, l’aria, così come Dio sta misteriosamente in tutti i posti allo stesso tempo, è onnipresente. Dio vede tutto, è il Trasparente e il Luminoso per eccellenza: è luce. Le parole camminano nell’aria che le contiene tutte: è onnisciente. Gli uomini hanno sempre fatto la guerra per tutto ciò che esiste di concreto, immaginario o simbolico che sia… Ma non hanno mai lottato tra loro per l’aria che respirano, aria che esiste in abbondanza per tutti: i buoni e i cattivi. Quindi l’aria come Dio è amore."


"Le parole di Durckheim: "Nella respirazione partecipiamo inconsciamente alla Vita più grande",  e quelle di Lowen: "Attraverso la respirazione diveniamo consapevoli della pulsante vitalità del nostro corpo e sentiamo di essere una sola cosa con tutte le creature pulsanti in un universo pulsante"  ci ricordano la visione orientale secondo la quale l'Atman, l'individualità, il piccolo spirito contenuto nel profondo del nostro petto è lo stesso Grande Spirito che soffia la vita nell'universo. Quest'universalizzazione del singolo si avvicina ad alcune riflessioni di Jung che sottolinea l'aspetto terapeutico dell'allargamento della prospettiva individuale verso una dimensione più ampia e universale. I buddisti esprimono l’idea che la realtà ultima, Sunyata (vuoto o vacuo), è un vuoto vivo che genera tutte le forme del mondo dei fenomeni. Lao Tse utilizza varie metafore per illustrare questo vuoto, comparando il Tao a un vaso permanentemente vuoto che contiene un’infinità di cose. Quindi per gli orientali la Divinità è un Vuoto Creatore, il che ci fa pensare al vuoto polmonare, senza il quale non esisterebbero né vita né parola.Il polmone non è un organo in senso attivo, cioè nel senso che fa qualcosa, è piuttosto un luogo o un vuoto. I polmoni non “fanno” la respirazione, appena permettono che questa avvenga (un passaggio dell’ossigeno attraverso le membrane dell’alveolo polmonare). La sua funzione respiratoria è quindi quella di essere un vuoto e niente più, ed è da questo vuoto che nascono tutti i processi vitali! Da questo punto di vista, secondo Gaiarsa, il vuoto creatore sono i polmoni. La respirazione non è soltanto una funzione interna all’organismo; è soprattutto un atto di “relazione”: relazione con il mondo, con l’atmosfera, relazione  con gli altri attraverso la voce/parola, relazione con se stessi."



"Tutti noi soffriamo una dissociazione più o meno grave tra quello che abbiamo appreso dall’esterno, dagli altri, e quello che percepiamo interiormente, quello che in un certo senso “apprendiamo” dalla nostra esperienza non verbale di vita. È verbale quasi tutto l’“insegnamento” che riceviamo dal mondo. Da piccoli ascoltiamo dalle autorità una serie di regole e “verità” a volte molto discutibili, che ci vengono presentate come verità sacre. Queste “verità” hanno a loro favore l’adesione di quasi tutti, che in coro ripetono sempre le stesse cose (Gaiarsa parla di “voce del coro”); essere plasmati da questo insegnamento trasmesso tramite parole, significa perdersi nel collettivo, cioè “vivere secondo i precetti del super-io”. Nello stesso tempo noi viviamo le nostre esperienze di vita, sentiamo, vediamo, sperimentiamo, godiamo e soffriamo sulla nostra pelle, particolari sensazioni, stati d’animo, percezioni corporee alle quali spesso non viene data voce e che quindi rimangono la maggior parte delle volte inconsce. Infatti “cosciente” vuole dire soprattutto verbale; “inconscio” significa principalmente non verbale: sensazioni fisiche, smorfie o contrazioni viscerali, suoni vocali, relazioni e forme che non hanno un nome. Tutti noi abbiamo tratto, da questa esperienza vissuta non verbale, una certa personale filosofia di vita, più o meno inconscia, che si esprime attraverso la nostra voce interiore. Abbiamo però paura di ascoltarla, perché questa voce della nostra esperienza molto spesso  contraddice la “voce del coro” che sentiamo tutti i giorni,  non solo intorno a noi ma anche dentro di noi (interiorizzata), e che è più rassicurante. Abbiamo paura della nostra voce, della nostra intima verità perché diverge dalla opinione collettiva: seguirla ci potrebbe portare alla solitudine o ad essere vittime del pettegolezzo, dell’ostracismo. Le vittime dello Spirito del Coro trascorrono la vita nella continua e penosa sensazione che qualcosa li soffoca, tutta la vita aspettando un momento di respirazione libera, con l’anelito di espandersi e con la paura di farlo; respirare sino in fondo significa abbandonare lo Spirito del Coro e rimanere soli. Nella pratica psicoterapeutica è importante riconoscere la voce dello Spirito del Coro (lo spirito di tutti), secondo Gaiarsa il più pericoloso di tutti i demoni che possono possedere un essere umano. Una volta interiorizzato esso ci “parla” da dentro”, la sua musica è diversa dalla musica della voce autentica. Secondo le differenti intonazioni, modulazioni, inflessioni e ritmo della voce si può percepire “chi” o “cosa” sta parlando in ogni momento."





"Il pensiero come la respirazione può essere volontario, ma generalmente non lo è. Come ci “vengono” i pensieri in testa? Sembra che i nostri antenati, ignorando da dove arrivassero la parola e il pensiero, attribuissero all’aria la proprietà di portarli fino a loro. I nostri pensieri allora “ci arrivano” come la respirazione. “Ci arrivano” attraverso l’aria che inaliamo, generando in noi idee, immagini, poemi… È un processo molto somigliante all’invisibile a cui aspiriamo e che in noi si concretizza in vita. In questo caso si potrebbe dire, con Gaiarsa, che quello che ispira il poeta sia l’aria che lui inspira.Così il nostro vuoto creatore sembra contenere idee, messaggi, trasportati dalla respirazione. Idee, messaggi e pensieri che “ci vengono” in mente dall’aria che inaliamo e che poi escono, tramutate in parole, formate dallo stesso invisibile che ci ha ispirato.  Il “pensiero” quindi galleggia nell’aria, sta nell’invisibile che mi dà vita, se io me ne approprio. È come se ci fosse un grande spirito fuori di noi e un equivalente di questo grande spirito dentro di noi (Jung lo chiama inconscio collettivo) che ci trascende e in un certo senso ci governa, indipendente dalla nostra volontà e dalle nostre intenzioni. Analogamente esistono tante parole dentro di noi quante ne esistono fuori di noi, molte dalle quali aleggiano nell’aria…in attesa di essere pronunciate. Nell’“inspirazione” il polmone viene assimilato alla testa, dove “le idee arrivano” misteriosamente, così come misterioso è lo spirito."


"Per il neonato espirare tutta l’aria è morire, quindi è costantemente minacciato di asfissia e riesce ad evitarla attraverso uno sforzo continuo contro il “collasso dei polmoni” che significa soffocamento e morte. È questo movimento espansivo della muscolatura toracica che in un certo senso “fabbrica” i polmoni. Il movimento respiratorio è eseguito da muscoli obbedienti alle nostre intenzioni e, nel realizzarsi, provoca sensazioni sia nella muscolatura sia nei propri polmoni. È attraverso questo movimento che secondo Gaiarsa, il neonato indifferenziato “si fa ego”.  Il proto-ego del neonato quindi si fa e si disfa a ogni movimento respiratorio. Le sensazioni più fondamentali dell’ego sarebbero quindi quelle di formarsi e fondersi, integrarsi e disintegrarsi. Il timore di lasciare andare l’espirazione “fino in fondo” e quindi “morire” sussiste, secondo Reich, in tutte le nevrosi. L’espirazione è un fenomeno passivo, significa “lasciarsi andare”, è il momento della resa, del “non io”, dell’abbandono,   dell’incoscienza, non viene fatta, ma semplicemente “accade”, mentre l’ispirazione è attiva, è espansione, autoaffermazione, è un “darsi la vita”. Per questo la definizione fondamentale di nevrosi è il controllo, la rigidezza di comportamento, il non lasciarsi mai andare. Il contrario della nevrosi, in termini positivi, sarebbe allora “arrendersi” e “pulsare”, vivere in quanto trasformazione, oscillare sempre tra ispirazione e espirazione, tra creazione e distruzione. Ogni volta che ci vogliamo “controllare”, che non vogliamo fare emergere un’emozione, respiriamo in modo insufficiente fino all’apnea. È trattenendo la respirazione che, già da molto piccoli, iniziamo a controllare le nostre emozioni e i nostri sentimenti.  Dalla libertà respiratoria nasce invece la sensazione di essere vivi, in comunione con il Tutto, e questo vissuto può essere talmente intenso e dilagante che può sfociare persino nel delirio di onnipotenza, nella sensazioni di magia e di potere eccezionale."


"Tutte le scuole di psicologia condividono il valore e l’importanza di vivere e sentire il presente, il “qui e ora” che scaturisce dal contatto profondo con se stessi, con le proprie emozioni. Un’emozione è sempre accompagnata da un’alterazione viscerale e motoria che avviene spontaneamente e molto rapidamente ogni volta che ci troviamo dinanzi ad un ostacolo, una minaccia o una promessa, dinanzi a qualsiasi situazione affettivamente significativa. I primi segnali di emozione/desiderio sono l’accelerazione cardiaca e la variazione respiratoria. Se tratteniamo il respiro, senza l’ossigeno, viene a mancare al desiderio la forza della passione. Le emozioni toraciche sono perciò i segnalatori più sensibili e più veloci della repressione o liberazione emotiva. “Non esiste”, afferma Reich, “repressione senza restrizione respiratoria”. Noi civilizzati respiriamo molto al di sotto delle nostre potenzialità respiratorie, e quindi sentiamo molto meno delle nostre potenzialità emotive. È come se avessimo  perso il contatto con la vita che pulsa dentro di noi. A volte non percepiamo ne’anche di essere vivi e che la  vita è emozione; preferiamo il controllo e la sicurezza. Preferiamo, come sostiene Gaiarsa, la routine, che è “l’incoscienza o la coscienza di ‘tutto uguale’ e ‘sempre uguale’. È la vita a livello automatico. È essere senza percepire. È stare con il cadavere qui e la mente non so dove. È trovarsi a reagire nei confronti delle persone come se fossero altre, o nate per rispondere ai miei desideri e timori… È  un passare senza guardare, un guardare senza vedere, un passare senza percepire e un vivere senza sentire…” . È bello il volto di una persona triste, è vivo e ha una sua pienezza. La tristezza è un’emozione e così come la rabbia ha la sua dignità e autenticità. Qualsiasi emozione (anche un’emozione “negativa”) in un modo o nell’altro ci rende più vivi, più che in quei momenti in cui “non sentiamo niente”. “Se sono vivo, sono quindi emozione, movimento, creazione continua, instabilità totale, incertezza permanente”.


"Qualcosa ci stringe e ci angoscia quando siamo limitati, stretti nelle nostre possibilità di espressione; quando ci vengono imposti modelli, formule o principi, quando è ristretta la libertà. Parole come anelito, struggimento, logorio…significano “un desiderio che non respira bene”, un desiderio “che stringe”, un desiderio imprigionato…un’ispirazione impedita. Come già diceva Freud tutte le aspirazioni contenute così come tutti i desideri che non si realizzano si trasformano in “una stretta”, cioè in ansietà o angoscia. Tutta l’angoscia nasce da un desiderio o da una necessità di compiere un’azione, prendere una decisione o assumere un atteggiamento, che io non compio, non prendo, non assumo; può essere comparata alla situazione di un automobilista che simultaneamente affonda i piedi nell’acceleratore e nel freno. Non posso (o non devo) fuggire, scappare via, piangere, esprimere la mia rabbia o il mio amore. La preparazione organica si blocca, e le contrazioni muscolari e viscerali che accompagnano questa preparazione dell’organismo all’azione si irrigidiscono. È così che nascono le corazze muscolari del carattere descritte da Reich…e il cuore rimane stretto, chiuso, oppresso…e accelera per alimentare una grande risposta organica che non avviene. È questo il fondamento di tutta la patologia psicosomatica. Non conosciamo la causa della maggior parte dell’ansietà e dell’angoscia che proviamo: essa viene rimossa dai pregiudizi."


(...)

"L’educazione diventa qualcosa di perverso quando, invece di controllare il comportamento, si controlla l’emozione: invece di un “non puoi fare…questo o quello”, un “non puoi sentire…”. Ci sono alcune emozioni che “non si debbono sentire”. Come sostiene Gaiarsa “tutti vigilano e controllano tutti…questa è l’ansietà del mondo, quella di tutti e di ognuno”.Esempi di alcune malattie interpretate da Gaiarsa dal punto di vista psicosomatico: ( un’ipotesi che  non esclude altre interpretazioni) Ulcera: (mordere dentro), dato che non posso mordere l’altro veramente.
Cancro: dopo anni di imprigionamento, la persona si fa, si trasforma in prigione. Rinuncia a vivere perché vivere non vale la pena.
Diarrea: “lasciami fare almeno qualcosa…”.
Vomito: “lasciami liberare di questa amarezza, disperazione, voler fare e non poter fare”.
Infiammazione della gola: “Non posso dire ciò che vorrei, né gridare”.
I casi clinici dimostrano che la respirazione può subire alterazioni considerevoli a causa di situazioni relazionali oppressive o esperienze infelici e traumatiche, molte disfunzioni respiratorie croniche hanno questa base. Queste esperienze il più delle volte sono vissute nell’ambito delle relazioni familiari, essendo la famiglia la più frequente e potente causa di stress e inibizioni respiratorie, ambito della “lunga durata” e dal quale molto spesso non si può fuggire. All’interno della famiglia alcuni si esprimono troppo, altri troppo poco e altri ancora non si esprimono mai e vivono in uno stato di apnea perenne.  Secondo Gaiarsa si può e si deve parlare di repressione respiratoria."



"Quando si respira più del solito, l’inconscio guadagna forza ed invade la muscolatura allo scopo di muovere la persona nella direzione del desiderio (anche se paradossalmente molto spesso, nella clinica, si osserva un’intensificazione dell’inibizione). Questa modalità respiratoria agisce in senso contrario a ciò che facciamo abitualmente con le nostre emozioni, provoca un decongelamento emozionale, apre le porte chiuse e libera i vissuti emotivi rimossi, facilitando così non solo il ricordo ma la “ri-esperienza” e il conseguente “scioglimento” delle esperienze traumatiche, l’emergenza degli archetipi, la riattivazione di forme istintive di comportamento. Possiamo dire che, in un certo senso, ciò ci permette di attraversare il tunnel dell’angoscia viva ed uscirne fuori, appunto “rinati”. È impressionante, per chi non ha dimestichezza con certe manifestazioni, l’aspetto di “patio dei miracoli” o “terreiro de macumba” dell’insieme delle esteriorizzazioni dei vissuti che emergono durante questo tipo di esperienza. Alla metodologia iniziale di questo tipo di terapia sono stati aggiunti molti elementi importanti tratti dalla psicologia reichiana. La psicologia di Reich è quella che meglio ci permette di comprendere le manifestazioni osservate quando si respira volontariamente, più del necessario, durante molti minuti, così come il parallelo tra queste manifestazioni e i conflitti inconsci relazionati ai complessi familiari. La sintesi del pensiero reichiano sulla respirazione potrebbe essere così espressa: la più vitale delle repressioni è quella respiratoria e a questa si associano tutte le altre, come se questa fosse il fulcro del groviglio delle nostre catene. Quel che avviene in realtà durante questo tipo di esperienza è un’inibizione dell’inibitore: “é proibito proibire”. Da un lato inibisce tutte le esigenze sociali (la voce del coro, il collettivo) che ci sono impresse nell’anima dall’educazione, e dall’altro potenzia, dà forza al bambino interiore, al primitivo, alla nostra parte istintuale. Forse in certi momenti della vita la salvezza sta proprio nel ritornare bambini, come viene detto in un brano del vangelo. Quindi “disimparare”, liberarci di tutto ciò che ci è stato insegnato o imposto. Educazione nel nostro mondo a volte può significare repressione, controllo, restrizione del movimento, dell’affetto e persino dell’intelligenza. Riassumendo, possiamo dire che, attraverso il respiro, possiamo da una parte ridurre i nostri condizionamenti sociali, il nostro adulto (il normopata, il morto-vivo, come lo chiama Gaiarsa), attenuare la forza delle parole sulla coscienza, e la forza di tutti su ognuno, dall’altra possiamo sperimentare “l’esistere senza parole”, uno dei passi fondamentali della meditazione. Alcuni autori insistono sul raggiungimento dell’estasi o l’illuminazione,  esperienze definite da Grof “transpersonali”. Phil Laut e Jim Leonard, collaboratori di Orr e autori del libro Rinascimento, la scienza del Piacere Totale, affermano: “In verità solo il piacere e la felicità (l’estasi) sono repressi. Basta vedere animali salutari per capire che essere vivo è la felicità, il che rende comprensibile la leggenda del paradiso perduto”. È importante cogliere il significato delle varie posture e modalità respiratorie. Secondo Reich, A. Lowen, Gaiarsa, tutte le posture sono psicosomatiche e sono allo stesso tempo una posizione fisica e  psicologica, un “modo di stare nel mondo”, un “punto di vista”. Il male degli uomini è il “petto chiuso”, rigido, espressione, allo stesso tempo relativa sia alla postura sia ai sentimenti, che esprime, con forza, inaccessibilità emozionale, durezza, implacabilità. Diversamente il petto aperto e i polmoni pieni suggeriscono che “sono pronto per accogliere, espongo il mio cuore, mi abbandono, sono aperto, ho fiducia…”. È essenziale che la muscolatura respiratoria si mantenga elastica. La morbidezza e fluidità respiratoria favoriscono il sentire, il percepire e il vivere le emozioni, le più variate, le più forti e travolgenti e le più delicate.  Essere veramente vivi significa sperimentarsi, aprirsi, esporsi senza timore, interamente al flusso delle proprie emozioni. Siamo abituati a vivere a pezzi, separati dal fluire della vita; divisi dentro di noi e tra noi, siamo abituati alla paura di vivere e di sentire. Saper respirare, essere consapevole della propria respirazione, favorisce il collegamento con la vita interiore, produce un risveglio spirituale e una notevole vivacità dei sentimenti d’amore in senso ampio. Favorisce l’apertura del petto, nel  profondo significato umano di questa espressione."



(dall'articolo di Virginia Salles  a questo link:

 http://www.rivistaartiterapie.it/anno-i-numero-7/82-fame-d%E2%80%99aria-la-psicologia-di-jos%C3%A9-angelo-gaiarsa-tra-il-corpo-e-lo-spirito.html

lunedì 22 aprile 2013

libero nulla in libero (?) stato della mente-




"... Si è liberi, si ha l'illusione della libertà nei gesti apparenti. Ma in fondo non si è liberi. Tutto ciò che è profondo nega la libertà. C'è una sorta di calamità, di fatalità segreta che dirige ogni cosa.

Il fatto è che chiunque agisca proietta un senso. Attribuisce un senso a ciò che fa, il che è assolutamente inevitabile e increscioso.. il motivo per cui non ho mai agito? Perché non credo nel senso. Attraverso la riflessione e l'esperienza interiore ho scoperto che niente ha senso, che la vita non ha alcun senso. Ciò non toglie che finché ci si industria si proietti un senso. Io stesso sono vissuto in simulacri di senso. Non si può vivere senza farlo. Ma chi agisce crede implicitamente che le sue azioni abbiano senso; altrimenti non si darebbe da fare. La mia esistenza quale essere vivente è in contraddizione con le mie idee. Essendo vivo faccio quello che fanno i vivi, ma non credo in ciò che faccio, eppure un po' ci credo, nonostante tutto; è questa, suppergiù, la mia posizione. La gente non riesce a credere che la storia non abbia un senso. La storia ha un corso, ma non un senso. Tutta la storia universale è così: ogni civiltà a un dato momento è matura per scomparire. Ci si chiede allora che senso abbia questo sviluppo. Ma non c'è senso, c'è sviluppo... Ci si prodiga, si fa qualche cosa, e poi si scompare [...] La negazione (nel senso) della storia è in ultima analisi la filosofia indiana: l'azione considerata insignificante, inutile. Ciò che conta è soltanto la sospensione del tempo... e infatti, se si riflette sulle cose, si dovrebbe smettere di agire, di muoversi... buttarsi per terra e piangere"  (Cioran)


"Lasciare agire in sé la necessità, rinunciando alla propria volontà" (S. Weil)

"Il sistema di controllo cognitivo è un artificio usato dal cervello per sentirsi protetto e libero di decidere autonomamente quale regola seguire o trasgredire.
L’insieme di convinzioni della torre di Babele del Super io, il tribunale mentale, è un’auto-inganno involontario e tramandato dalla notte dei tempi, un trucco evolutivo di sopravvivenza e salvaguardia dai pericoli.
Eliminando il sentimento (concetto) ingannevole del libero arbitrio elimini anche i sensi di colpa (giusto o sbagliato), il senso d’inferiorità ad esso collegato.
La Cura radicale è accettare la natura delle cose… per gli stoici abbiamo solo il potere di accettare o rifiutare quindi farsi trascinare dal nostro destino.
Senza libertà di scelta non hai alcuna colpa ma neppure alcun merito. Questo è un duro fendente per l’Ego, sovente dilaniato tra il complesso di superiorità (prestigio) e d’inferiorità (colpevolezza). Facciamo parte della natura, siamo sottoposti alle leggi che governano l’universo: l’uomo non è in grado di prender decisioni autonomi e indipendenti dalle forze esterne-interne (visibili-invisibili) che ne determinano l’esistenza.
Potenti emozioni, con il diritto di veto sulla ragione, intervengono per mantenere lo status quo psichico che include la certezza (falsata dall’evidenza) di essere o sentirsi liberi e autonomi nel decidere -> avere la presunzione di incidere con la propria volontà personale sul corso degli eventi (cioè sulla volontà della corrente del divenire, fiume della vita su cui galleggiano tutte le creature). Noi possiamo scegliere soltanto ciò che rientra nella nostra particolare (provvisoria, limitata, superficiale) sfera di interesse (benessere estemporaneo)."

(dal blog di Anima Libera:

http://obiettivi.wordpress.com/2013/03/26/sfatare-il-mito-del-libero-arbitrio/   )



Tutto ciò che facciamo è necessario.


Non esiste alcuna scelta.


Nel renderci conto di questo, possiamo anche renderci conto del fatto che anche questa nostra riflessione è necessaria, esattamente come sono e saranno necessari tutti i momenti in cui ci siamo e ci saremo considerati liberi e capaci di scegliere.

Quindi, che utilità ha questa riflessione? Nessuna, è semplicemente necessaria.

Ma anche credere di essere liberi, nei momenti in cui lo crediamo, è necessario.

Quindi, che valore ha qualsiasi riflessione, che senso ha affannarsi a cercare una verità, dato che ogni singolo momento dell'attività delle nostre sinapsi è comunque necessario, determinato, inevitabile?

Ma questa ulteriore riflessione è strettamente necessaria, esattamente come i nostri momenti in cui disperatamente andiamo alla ricerca di una qualche verità filosofica ultima o i momenti di oblio e incoscienza.

Dunque, non possiamo neanche decidere se smettere di affannarci filosoficamente o meno, come non siamo liberi di credere di essere liberi o meno.

"Quindi, tanto vale lasciar le cose andare per il loro verso, rilassarsi, senza intervenire!"

Ma tu dimentichi che già dicendo così stai cercando di intervenire sul naturale corso delle cose, e che in realtà tu non sei libero di lasciare andare le cose per il loro verso in maniera rilassata o di affannarti a cercare di modificare il corso spontaneo delle cose.

Se il corso naturale delle cose ti spinge a cercare di affermare il tuo libero arbitrio e cercare di modificare il corso delle cose, così farai, e ti affannerai disperatamente nel cercare di farlo, se il corso naturale delle cose ti spingerà a "lasciare andare", così farai. Ma "lasciare andare" cosa? Le cose già "vanno".

Dunque l'atteggiamento di chi pratica l'accettazione del presente, del necessario, di ciò che è, cercando di eliminare in sè il rifiuto, il volere selezionare, il volere intervenire, il volere modificare, è massimamente un "volere intervenire, volere modificare".

Mentre l'atteggiamento di chi vive semplicemente la propria naturale tensione, sforzo di ottenere, realizzare, modificare, compiere, selezionare è in realtà un'accettazione di "ciò che è" molto più completa.

Ma è un'accettazione che ci porta alla spontanea tendenza verso il rifiuto, verso la non accettazione.

E questo produce sofferenza.

Quindi cerchiamo e troviamo ancora dei momenti di più serena "accettazione".

Ma questo ci porta a "voler modificare", "non voler accettare" la nostra naturale, o comunque difficilmente evitabile, tensione verso il futuro, la fame di Altro, la nostra insoddisfazione verso il presente.

Esperti di meditazione Zen che si infuriano contro sè stessi perchè "ancora si innervosiscono, si arrabbiano, si scompongono", diventano isterici per niente. Non solo il nervosismo, ma in più la furia contro sè stessi perchè il nervosismo non dovrebbe esserci.

Quindi, "volendo modificare" l'incapacità di accettare, viviamo nella non-accettazione, sempre e comunque.

Le stesse parole dei saggi taoisti, tantrici o Zen che dicono cose tipo: "Non pensare che la spiritualità sia la ricerca di modificare, migliorare o realizzare qualcosa. La Via è semplicemente Essere Ciò che E', non c'è niente da modificare, migliorare, realizzare. Rilassati!" potrebbero apparire in questa luce come un ulteriore tentativo di modificare, migliorare o realizzare qualcosa. 


Perciò, qualsiasi azione, affermazione e riflessione è equivalente, in quanto è nulla. 


Perciò, davvero non c'è niente da dire o affermare.


Ma noi non siamo neanche liberi di scegliere di non affermare o di affermare.


La nostra attività sinaptica è necessaria, non ne siamo padroni, perciò come possono essere i suoi risultati attendibili?

E che significato ha poi, a questo punto, "attendibile" o "non attendibile"? 


Perciò non possiamo neanche affermare di essere non liberi, esattamente come non possiamo affermare di essere liberi, esattamente come non possiamo affermare di potere o meno affermare qualcosa.


Quindi, che senso ha tutto questo?

Nessuno.



Ma non ha neanche senso affermare che non abbia nessun senso.






https://www.youtube.com/watch?v=qQ9xzi0HebI&list=LLH4TIDkE6UAer03OXoRLrpg

















http://www.youtube.com/watch?v=zLckHHc25ww





lunedì 8 aprile 2013

Ode aux femmes.


"Femme je t' aime parce que
Tu vas pas mourir à la guerre"
 (...)
"C' est pas d' un cerveau féminin
Qu' est sortie la bombe atomique
Et pas une femme n' a sur les mains
Le sang des indiens d' Amérique.

Palestiniens et Arméniens
Témoignent du fond de leurs tombeaux
Qu' un génocide c' est masculin."
 (...)
 "Pas une femme pour rivaliser
A part peut être Madame Thatcher."



                                   (Renaud)



https://www.youtube.com/watch?v=6nE7F94yKYA

giovedì 28 marzo 2013

Caos anima-le contro aspirazioni trascendenti/dualistiche. Per una decrescita felice della mente.





(Quadri di Pablo Echaurren)

  1. Il problema di rispettare gli animali è importantissimo, ed è una cosa estremamente positiva il fatto che pian piano la sensibilità della gente stia cambiando. Secondo me però, c'è anche un altro problema, ugualmente importante, e secondo me strettamente legato al primo: rispettare, riconoscere e permettere di vivere alla nostra parte animale (a me la parola animale piace molto, e l'origine della parola è legata alla parola anima), alla nostra parte selvatica, terrigna, istintiva, legata alla Terra, al corpo, ai suoi bisogni e alle sue sensazioni ed emozioni. Senza di questo, fra l'altro, non ci può essere fine alla violenza sugli animali, perchè finchè facciamo violenza alla nostra parte anima-le non saremo mia capaci di reale compassione verso questi nostri fratelli di esistenza. Sono d'accordo sul fatto che noi abbiamo anche altre parti e che anche queste sono molto importanti. Penso che anche gli animali, comunque, in maniera diversa abbiano anche pensiero, eccome, e, chi può escluderlo, anche spiritualità. Ma quello che mi premeva dire è soprattutto il fatto che, anche se siamo fatti di diverse parti e queste sono tutte importanti, la parte con cui abbiamo più perso il contatto, che abbiamo più a lungo e più ferocemente represso, negato, mutilato è la parte animale. In gran parte sulla base dell'etica ascetica cristiana, in passato, oggi sulla base del consumismo, che è un'altra forma di negazione del corpo e dell'istinto, con i suoi bisogni indotti, la sua frenesia, la sua virtualità, la sua dimensione edulcorata pubblicitaria o esasperata televisiva. Quello che voglio dire è che questa parte è la base non solo della nostra sopravvivenza fisica ma dell'intero nostro essere. Sono le nostre radici, la nostra "base", la nostra Terra, la nostra comunicazione con la Terra, e finchè questo è ferito, negato, non riconosciuto, non vissuto pienamente, sanamente, selvaggiamente, finchè non abbiamo un rapporto sano, pieno, forte, diretto e viscerale con questa parte, è molto difficile avere una qualsiasi "evoluzione". E' come cercare di volare senza neanche sapere prima camiminare. Per dirla con le parole di una mia ex insegnante di Yoga, noi esseri umani moderni, abbiamo molti problemi sia con il Cielo che con la Terra. Ma se con il Cielo, con le parti "alte", in qualche maniera ce la caviamo ancora, è con la Terra, con le nostre radici fisiche e animali, che abbiamo completamente perso il contatto, è nel rapporto con la Terra e con l'istinto che siamo completamente imbranati, mutilati, analfabeti, zoppi, ciechi, handicappati. E questa parte è la base di noi stessi, la base di tutto il resto. Senza di quello non raggiungiamo neanche il livello di lucidità, di presenza, di chiarezza, di libera volontà, di forza, di fierezza, di consapevolezza, di vitalità e di bellezza degli animali (sempre ammesso che esistano questi ipotetici gradini gerarchici di "evoluzione").

    Questo anche in polemica con certe posizioni new age antropocentriche che 

    vedono negli 

    animali dei gradini di evoluzione inferiori e nella nostra parte animale una 

    parte "bassa" da superare o "trasformare" in un'ottica evolutiva che però 

    troppo spesso assomiglia a una logica di negazione e repressione, una 

    logica in cui in vista di un dover essere astratto moraleggiante e 

    spiritualeggiante, in un'ottica perfezionista e idealizzatrice, si prosegue la 

    logica di raggelamento e paralisi, mutilazione del corpo e dell'istinto tipiche 

    del cristianesimo, e in realtà, in maniera diversa, anche del consumismo.








    per fuggire il caos di sensazioni ed emozioni in cui siamo immersi, ci si

    proietta in una logica trascendente, negatrice, ordinatrice in maniera 

    artificiale e artefatta.









    saremo veramente i giardinieri e i custodi della terra, o non siamo forse solo

     esseri fra altri esseri, in cui ognuno ha il suo ruolo la sua responsabilità e in

     cui ognuno è giardiniere e custode della terra? le api si prendono cura di 

    noi. gli alberi si prendono cura di noi. il sole si prende cura di noi. il vento si

     prende cura di noi. il mare si prende cura di noi. le rondini si prendono cura

     di noi. aquile e lupi (come qualsiasi altro animale ci ispiri) possono essere 

    addirittura figure-guida per alcuni di noi. e allora chi siamo noi per crederci i

     depositari della creazione e i custodi della terra???? non è un pensiero un 

    po' arrogante.?


    forse più che "prenderci cura" degli animali e della terra, un pensiero un po' 

    meno antropocentrico è lasciar essere, lasciar vivere animali, piante e la 

    terra, che sanno vivere benissimo da soli anche senza di noi!!!!!!




    penso che, ora come ora, per molti versi abbiamo molto più noi da imparare 

    da loro piuttosto che non il contrario. Rapportandoci con gli animali non solo 

    proviamo dei sentimenti e impariamo a rapportarci al "diverso", ma, 

    soprattutto, riscopriamo il nostro istinto, il nostro corpo, la nostra pancia, la

     nostra animalità, la nostra concretezza, la nostra fisicità solida, materiale,

     organica, molecolare, empirica, emotiva!!!!! E penso che la repressione, la

     mutilazione, l'asportazione, la rimozione, la paralisi, l'oblio, la rimozione, il 

    raggelamento, la negazione con una parola di questa dimensione, 

    ricchissima e fitta di una potente, articolata, saggia, complessa,

     profondissima forma di conoscenza del mondo, la conoscenza fisica, di 

    pancia, istintiva, emotiva, viscerale, animale. La repressione di questa parte

     non solo è alla base secondo me della stragrande maggioranza delle 

    innumerevoli forme di sofferenza psichica, psico-fisica e emotiva degli esseri 

    umani, ma io arrivo a dire che questa repressione innaturale è anche alla 

    base dell'intero nostro sistema sociale alienato, autoritario, guerrafondaio, 

    ecocida, mortifero, sessista, liberista, iper-competitivo, tecnocratico. se 

    imparassimo di più la concretezza, la semplicità, la capacità di dire "no" e 

    "sì" con forza e chiarezza, d'istinto, la capacità di seguire la pancia, il 

    linguaggio delle emozioni e del prendersi cura e dell'"empatia", dagli 

    animali, saremmo esseri molto più in pace con noi stessi, molto più semplici, 

    molto più rilassati e molto più affratellati dalla capacità di vivere insieme di 

    piaceri e gioie semplici e povere.


    "Mi sono sviluppato abbastanza, non ne posso più! Mi sono sviluppato anche 

    troppo, anche di più!!!!!!!" (G.L. Ferretti). Decrescita felice è uno slogan che

     vale anche per la nostra mente!!!!!