di-segno di Sacrilegio Tempesta

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pARTICOLARE DI "Autunno", quadro di Diogene senza l'anima?. Foto di Sacrilegio Tempesta.
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martedì 4 febbraio 2014

domenica 4 agosto 2013

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Affermare. Cioè, contraddirsi, creare paradossi, assurdità. Contraddirsi: cioè, creare spazio vuoto. Creare spazio vuoto: e cioè, pregare, invocare, chiamare qualcosa di insperato, invisibile, sconosciuto, inconcepibile, inesistente. Altro, alieno, straniero, inimmaginabile, puro, completamente inedito, incondizionato, immacolatamente selvatico, Enigma, Mistero, Silenzio, incomprensibile, imprevedibile, inspiegabile, non-enunciabile, non-affermabile, non-definibile, non-determinabile, vuoto, oscuro, paradossale, miracoloso. De-creare il noto per attirare il Portento. (Diogene senza l'anima?)

giovedì 14 marzo 2013

14/03/2013 - L'inutilità del giocare con l'idiozia massmediatica.

La mia prima stroncatura: "Fratto X" di Antonio Rezza e Flavia Mastrella.

Mi piacerebbe poter scrivere che è uno spettacoletto comico da quattro soldi, che non fa molto ridere, accolto da un tripudio di risate e giubili estasiati, da risata televisiva programmata, a comando, automatica, a bacchetta, meccanica, acefala, servile, ubbidiente, isterica, da un pubblico di intellettuali di sinistra e di fighetti alternativi - con la coscienza a posto perchè "Uè, è Rezza!".

Mi piacerebbe scriverlo, e in effetti l'ho scritto. E, in effetti, lo spettacolo è in parte proprio questo.

Tuttavia non sarebbe onesto affermare che lo spettacolo sia solo questo.

Alcune parti dello spettacolo sono un potente, spiazzante delirio grottesco surrealista, felicemente senza senso, oppure una farsa amara dell'assurdo in cui personaggi folli, ma a cui l'essere umano di oggi assomiglia,  si muovono in scene disperate o esasperatamente violente, ma l'insieme dell'azione scenica restituisce una deflagrazione schizofrenica dell'identità e delle interazioni umane, in cui i registri collassano, e nel corso di una scena tremendamente drammatica viene involontariamente d'un tratto da scoppiare in uno sghignazzo disperato, amaro o assurdo.

Fin qui tutto bene.

La reazione del pubblico però è inquietante.

Le risate, forse per incapacità di tollerare l'assurdo in cui tragedia farsa e delirio convivono, sono continue, isteriche, iper-compiacenti, acclamatorie, automatiche, esagerate in maniera spropositata, osannanti, convulse - sembrano in tutto e per tutto le risate televisive programmate e ipertrofiche del pubblico di Zelig, Striscia la Notizia o Drive In - la gente ride come Rezza compare in scena, come apre bocca, qualsiasi cosa dica (per non parlare di quando ripete una semplice battuta) ride di cose tragiche, di cose senza senso che non hanno nessuna comicità ma un semplice aspetto di nonsenso dadaista, più inquietante che comico. Di più: ride quando viene insultata, contenta, quando viene trattata da pubblico coglione decerebrato, quando viene violentata, derisa, umiliata (su tutte la scena peggiore in questo senso è l'ultima) dall'attore-leader-showman-personaggio carismatico di turno - reagisce anzi con un ancora maggiore tripudio festante, inneggiante, una forma di masochismo autolesionista da veri e propri schiavi, scimmiette ammaestrate della società dello spettacolo di massa.

E, fin qui, in un certo senso, si potrebbe accusare il pubblico e la sua idiozia, più che lo spettacolo in sè.

Tuttavia, se l'ultima volta che avevo visto uno spettacolo di Rezza/Mastrella mi era sembrato di trovarmi di fronte a una intelligente forma di riflessione meta-comunicativa sulla società dello spettacolo e la sua decerebratezza leader-centrica, questa volta l'impressione è stata di trovarmi di fronte, per molti versi, a uno dei tanti esempi di spettacolo da baraccone di massa in cui questa decerebratezza viene sfruttata, rafforzata, incoraggiata, inculcata, imposta, eccitata, esaltata.

Il confine fra meta-comunicazione sull'idiozia massmediatica e l'idiozia massmediatica stessa può essere sottile, può essere facile inciampare e scivolare dalla prima verso la seconda.

In questo caso, questo confine viene incurantemente divelto con una leggerezza che rende questo spettacolo identico, per molti versi, alla peggiore tv-spazzatura.

La ragione per cui dico questo, è che se nell'altro spettacolo questo porsi come personaggio carismatico in maniera grottesca, era percepibile chiaramente come una provocazione, e ben riuscita anche, in questo caso il continuo giocare con il pubblico e le sue reazioni isteriche/acclamatorie risulta eccessivo, ripetitivo, banale, scontato alla lunga, autocompiaciuto, la battuta contro il pubblico non serve più a far riflettere e a spiazzare, ma semplicemente a confermare questo gioco idiota al massacro - un gioco facile per il mattatore di turno, in cui ha facilmente il coltello dalla parte del manico, e in cui sembra tautologicamente sguazzare felice - sembra non più una provocazione ma una effettiva, semplice, banale, inutile affermazione dell'ego dell'attore, così come in politica fanno Berlusconi e Grillo o in televisione, chessò, Pippo Baudo (non so, esiste ancora Pippo Baudo?).

Mi chiedo che senso, anzi, che non-senso, abbia tutto questo, e rimpiango di non essere rimasto in casa a vedere per la seconda volta Dove sognano le Formiche Verdi, un film fatto sostanzialmente di silenzi.






 P.s.: Ho scritto questo articolo a caldo, sotto l'effetto di una reazione di notevole fastidio. A freddo, mi sento di dover ribadire quanto già detto verso inizio articolo: numerose scene dello spettacolo sono comunque d'un surrealismo molto efficace.

E non solo, anche ricco di spunti di riflessione.

Spunti che si potrebbero riassumere con queste domande:

Chi è chi?

Chi è cosa?

Noi siamo chi?

Cosa è noi?

Chi parla in noi quando parliamo?

Cosa afferma qualcosa quando affermiamo qualcosa?

Chi agisce quando agiamo?

Chi ride in noi quando ridiamo?

Chi, o che cosa, pensa?

Parliamo, agiamo, ridiamo e pensiamo in maniera libera, autentica, spontanea, autonoma, o per paura, conformismo, costrizione, un essere mossi meccanicamente da forze estranee manipolatorie più che un agire o un pensare o un dire?

Di più: il pensiero è possibile?

E' possibile, in assoluto, un pensiero realmente autonomo, libero, autentico, spontaneo - che non sia quindi semplicemente la copia di cose diverse prese a prestito qua e là?







Oppure, il vero, reale, autentico pensiero nasce dalla assurda, contraddittoria scoperta dell'impossibilità di sè stesso?





"Le contraddizioni contro cui urta lo spirito: sole realtà, criterio del reale. Nessuna contraddizione nell'immaginario. La contraddizione è la prova della necessità." (Simone Weil)




 

La contraddizione, insolubile, l'impossibilità di affermare una cosa qualsiasi, di formulare un pensiero credendoci, di avere un'opinione, una posizione su qualcosa, l'impossibilità di pensare, perchè pensare è fare da portavoce alla voce delle auctoritates, dei leader, dei geni, dei grandi, di chi ci sembra in grado di pensare, lui sì (mentre in realtà è nelle nostre stesse condizioni) - questa chiara e assoluta impasse, l'impossibilità di uscirne, l'impossibilità di costruire un pensiero che non sia solamente una parziale, relativa, soggettiva, presa a prestito, enfatizzazione di alcuni aspetti del reale rispetto ad altri, non percepiti - questa impossibilità, restare dentro questa impossibilità ci permette forse di sperimentare un pensiero libero, non schizofrenico, autentico e proprio perchè vuoto, senza centri di gravità, senza nessun appiglio, nel precipizio, nell'abisso. In questa lucida vertigine, qualcosa che possa essere un effettivo, reale pensiero non-appiccicato a simulacri pre-esistenti compare, nasce, vive, si espande.




A me rimane, dopo questo spettacolo, l'esigenza, la voglia, il bisogno di sottrarmi, abdicare al gioco al massacro degli scontri opinionistici, abdicare all'opinione, al gridare, all'affermare, al criticare, al giudicare, all'analizzare, all'esternare, all'attaccare, all'imporsi, sottrarsi al gioco folle del parlare l'uno sull'altro (con la voce dell'altro magari) e divorare prima di essere divorati tipico della nostra società liberista. Però sottrarmi anche al rumore di ogni polemica, anit-liberista, anti-politica, anti-anti-politica, anti-rezza, anti-qualsiasi cosa, anti-anti, etc....
sottrarsi, rinunciare, tacere, togliere, rilassarsi, lasciar stare, lasciar perdere, lasciare, lascia, lasciar perdere di ridere, entusiasmarsi, disperarsi, giubilare, fare il tifo, mutilarsi, inveire, insultare e obbedire ciecamente.

oscurarsi,











  (e abbassare il volume, mormorare, e sorridere di più, è primavera)



Figura antitetica, tratta da Hypnerotomachia Poliphili, libro del 1499.





P.p.s.: Chiedo scusa se nella prima parte dell'articolo posso essere risultato offensivo per qualcuno. Mi riferisco ai giudizi sul pubblico. Prendete ciò che ho scritto con le pinze. Sono semplicemente delle provocazioni, dallo stile estremamente virulento perché scritte in un momento di forte vis polemica. Alla fine, la reazione a uno spettacolo è la cosa più soggettiva di questo mondo, e io non sono nessuno per giudicare, attraverso la mia personale soggettività, la soggettività degli altri.
 

martedì 29 gennaio 2013

Sperimentazioni maieutiche/2.

Poco prima dell'ultimo Natale Ettore Fobo ha pubblicato questo post:

http://ettorefobo.blogspot.it/2012/12/il-natale-oggi-secondo-umberto.html#comments

Ho risposto così:

http://de-crea-zione.blogspot.it/2012/12/natale-e-deserto.html

Successivamente il dialogo è continuato come commenti al suo post.

Qui riporto lo scambio di idee, perchè mi è sembrato molto proficuo e interessante.


Mi piace immaginarlo come una specie di dialogo socratico post-moderno fra lo spettro di un eroe ormai terrorizzato dal rumore senza anima che sente dappertutto, rumore di macchine in cui non riesce più a riconoscere la voce degli Dei, e il fantasma di un filosofo radicale, anticonformista, eudaimonista, ludico, menefreghista, amico degli animali e nemico delle menzogne, di ogni cosa non strettamente necessaria e di ogni artificio, che non riesce a ritrovare la sua dimensione naturale, spontanea, semplice - la sua anima.

Questo eroe senza Dei e questo cinico senza anima e Natura se ne stanno come ectoplasmi al margine estremo del mondo, osservando la nostra società e commentando con voci fra l'incuriosito e l'attonito le stranezze che ivi vi scorgono - paragonandole a cose antiche e da lungo tempo dimenticate.


Ettore Fobo:

 Questa è un’epoca di passaggio. Nuovi valori devono essere creati e i vecchi valori vanno definitivamente sepolti. Come dici tu, non possiamo più riconnetterci con i culti antichi e il cristianesimo è ormai pressoché privo di vita. Non so se sia un effetto di quello che tu chiami il Moloch dei consumi o se il consumismo abbia preso il posto già lasciato vuoto dalla crisi del cristianesimo. Però questa condizione di impasse non può essere eterna, finito un ciclo della storia ce ne sarà un altro con nuove idee e nuovi valori. E’ solo questione di tempo. Come in tutte le epoche di crisi, ci sono profezie di catastrofi imminenti che sono il segno che un mondo sta finendo e un altro mondo sta emergendo. Ormai è chiaro che sarà la Tecnica a determinare questa trasformazione, da qui il pessimismo di molti filosofi, tra cui Galimberti, secondo cui l’uomo non è più il vero soggetto della Storia ma mero funzionario degli apparati della Tecnica. Io non so e come tutti sono in attesa.

Diogene senza l'anima?:

O forse, in fondo, come diceva De Andrè in un'intervista (riporto in parte con parole mie il concetto): nonostante questa apparenza di cambiamento così rapido, radicale, omnipervasivo, "io credo che i problemi fondamentali dell'essere umano resteranno sempre gli stessi, immutati, ancora per molti secoli - e forse per sempre."
...Ah, ecco, mi ricordo le parole esatte:  "Io credo che l'uomo potrà anche conquistare le stelle, ma penso d'altra parte che le sue problematiche fondamentali sono destinate a rimanere le stesse per molto tempo, se non addirittura per sempre."

Ettore Fobo:

I problemi dell’uomo saranno gli stessi, ma mai come in quest’epoca essi possono essere ridefiniti attraverso la tecnologia e la scienza (penso soprattutto alla chimica). In proposito la neurologa Susan Greenfield ha scritto un saggio eloquente, “Gente di domani”, in cui descrive un mondo a venire per noi impensabile e forse inquietante. Da più parti si pensa che la tecnologia possa modificare l’umano nella sostanza. Chissà, magari è solo un sogno, di sicuro
per ora la frase di De André non può essere smentita.

Diogene senza l'anima?:

Sicuramente siamo in un periodo di mutazione. Ma gran parte della filosofia insiste sulla fenomenicità apparente di ogni mutamento. L'essenza non muta. Perciò neanche l'essenzialmente umano. L'essere è - come direbbe Parmenide - il divenire è non essere. Perciò l'apparenza di un cambiamento radicale non può che essere un fantasma passeggero. "Allora non si crederà più, come fa l'uomo del volgo, che il tempo possa generare qualcosa di veramente nuovo e di veramente importante; che nel tempo e per via del tempo qualcosa possa attingere ad una realtà assoluta; non si attribuirà più al tempo, come a un tutto, un principio e una fine, un disegno e uno svolgimento; né, seguendo il concetto volgare, si assegnerà come fine allo scorrere del tempo il più alto perfezionamento del genere umano. (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, libro III, paragrafo 35).

Ettore Fobo:

Bello, Diogene, mi hai convinto. L’essenza non muta, ma superficialmente i cambiamenti avvengono. I valori per esempio, nulla di sostanziale, fenomeni passeggeri ma importanti in una data epoca. Maschere se vogliamo, necessarie per la nostra finzione. Cito Oscar Wilde, a memoria: “Le verità della metafisica sono maschere “. Dietro la maschera, che cambia a seconda dei tempi, l’immutabile essenza.

Diogene senza l'anima?:

Fantastico, l'aforisma di Wilde e la tua conclusione sono esattamente in sintonia con quello che volevo aggiungere. La metafisica con Nietszche crolla, e con Heidegger definitivamente l'essere diventa storico, perchè l'essere è linguaggio. Da qui muove l'ermeneutica, orizzonte nel quale a occhio e croce direi si potrebbe probabilmente inscrivere il discorso di Galimberti, e così tutti i discorsi filosofici, che fanno Heidegger e tantissimi altri filosofi, sul destino della Metafisica, il destino del Nichilismo, il destino della nostra civiltà occidentale, il destino del cristianesimo, il destino della Tecnica. Tuttavia, da quello che ho capito, l'autentico pensiero di Heidegger non è riducibile a questa concezione dei suoi epigoni dell'ermeneutica. A me sembra che tutti i grandi filosofi, Heidegger incluso, si siano sempre mossi, nonostante l'estrema varietà e l'estremo variare storico delle "maschere", all'interno di un orizzonte di tipo parmenideo. Anche in Heidegger, il linguaggio e l'essere storici, pur nelle ceneri della Metafisica e dei sistemi, affondano le loro radici in qualcosa di indefinibile, che, sia a livello di Essere, che forse in un certo senso anche a livello di Linguaggio, è Eterno. I valori e le maschere metafisiche mutano, il nocciolo dell'Essere permane eterno nel suo inaccessibile mistero. Mi esprimo in termini generici perchè non conosco in maniera approfondita il secondo Heidegger, ma questa è l'idea che mi sono fatto.

Ettore Fobo:

E’ l’idea che mi sono fatto anch’io Diogene: nessun filosofo, neanche Nietzsche, che è quello che forse ci è andato più vicino, è riuscito a superare la metafisica, gli orizzonti parmenidei rimangono immacolati. Un filosofo contemporaneo molto interessante, che sta provando a superare la metafisica, è John Gray. Ne ho parlato in questo blog a proposito del suo libro “Cani di paglia”. E’ un tentativo di uscire dall’incubo metafisico e antropocentrico. C’è molto da pensare ancora, oltre l’uomo e oltre i suoi orizzonti metafisici. La filosofia è appena iniziata.

Diogene senza l'anima?:

Ho letto l'articolo su Gray. Mi richiama il mio articolo del 29 novembre sullo shivaismo tantrico del kashmir (smettere di avere scopi). In comune, il filo-taoista Gray e l'insegnante di shivaismo tantrico in questione nel mio articolo (Nathalie Delay) hanno questo: l'invito a lasciar perdere, lasciar cadere qualsiasi scopo metafisico, religioso o ideologico; qualsiasi senso. L'incubo, di qualsiasi senso, della ricerca mai soddisfatta, perennemente insoddisfatta, e perciò distruttiva, violenta, nel suo voler a tutti i costi affermare qualcosa. Trovo questo lasciar perdere Dio, scopi, Sensi, visioni chiare e definite, velleità di miglioramento del reale, volontà precise, ispirazioni salvifiche, molto rasserenante. Resta, direbbe Nathalie Delay, la vita, la vita sensibile, "il cuore pulsante della nostra insensatezza" come dici nel tuo post, il fluiresenzaunsensoprecisomapullulantedistorieincidentipersonaggifattiintuizioniombrelucicontraddizionispiraliemotivepensierimicropoesie della vita quotidiana, con la sua noia, la sua sofferenza, le sue emozioni, i suoi preziosi istanti di magia priva di un dio o un disegno - gratuiti.

Ettore Fobo:

Ho riletto il tuo post. Parli della contraddizione fondamentale di un certo pensiero orientale, penso a Krishnamurti: essere un maestro che dice che non ci sono maestri. Però il nocciolo è proprio lì: smettere di proiettare su qualcuno, di essere un seguace, di inseguire speranze trascendenti. Mi sembra che nella semplice accettazione delle vita hic et nunc ci sia abbastanza saggezza.

Diogene senza l'anima?:

Certo. In un certo senso è forse il tema di tutto il mio blog. Ma questa antinomia si estende anche alla filosofia. Anche John Gray è un filosofo che teorizza la fine delle verità filosofiche. Questo è analogo a Krishnamurti che teorizza, da maestro, la fine della sensatezza di seguire un maestro. E' una questione molto sottile. Anche tu rilevi una contraddizione fra una critica radicale al concetto di guru, e più in generale al fatto di accodarsi a una serie di dogmi, riti, credenze - appartenenza religiosa di clan che per Krishnamurti offusca stravolge e compromette in maniera completa le capacità della mente di essere un campo aperto, semplicemente ricettivo, equanime, privo di pregiudizi o preferenze - radar imparziale del reale, una pista aperta sugli indizi della verità, in ricerca viscerale sulla base di una percezione autenticamente scevra da pre-idee e di un esame radicalmente libero (in maniera analoga a quello che diceva Simone Weil quando affermava che appartenere a un qualsiasi partito politico impedisce una sincera analisi del reale e una onesta presa di posizione su di esso; o quando diceva che aderire a qualsiasi religione, filosofia o semplicemente idea, vuol dire chiudere la partita della propria ricerca della verità: si può aderire a un'idea, diceva la Weil, solo in maniera parziale, relativa, limitatamente a quegli aspetti che al proprio esame risultano effettivamente veri; e sempre con la consapevolezza che si tratta solo di un passo parziale e momentaneo della propria ricerca, che quindi bisogna in ogni istante essere pronti a mettere tutto in discussione, sulla base del proprio libero e continuamente, vigilantemente critico esame - quindi qualsiasi "adesione" in senso stretto a una idea qualsiasi, qualsiasi "convincimento", qualsiasi "assenso" a una teoria o una prassi è da rifiutare in quanto uccide la verità) e il porsi comunque di Krishnamurti a suo modo come maestro.
Ma questo chiaramente si estende anche alla filosofia: anche quello di Gray, per esempio, è pur sempre un sistema di pensiero, con un contenuto preciso, un insieme organizzato di idee che richiede un'adesione, un assenso. Non è semplicemente il vivere nell'hic et nunc (del resto anche "vivere nell'hic et nunc" è un preciso concetto filosofico, con una precisa storia): è una filosofia, con concetti inevitabilmente precisi di riferimento, contenuti teorici filosofici che si possono mettere a confronto con qualsiasi altro contenuto filosofico, e possono essere discussi a livello filosofico, ma che non sono il semplice hic et nunc, sono una filosofia precisa con concetti filosofici precisi, collocabili in un contesto filosofico-culturale preciso.

E allora, da un certo punto di vista, che differenza c'è, fra aderire al sistema filosofico di Platone e aderire al "sistema" filosofico di Gray? E' la stessa cosa. E' un assenso a una teoria, della quale ci lasciamo convincere. Le diverse teorie possono essere confrontate e dibattute a livello filosofico, ma sono tutte egualmente "metafisiche", sono tutte, alla pari, delle costruzioni teoriche filosofiche, analizzabili a livello concettuale, o magari filosofico-intuitivo, ma non riducibili all'"accettazione dell'hic et nunc". Qualsiasi filosofia, qualsiasi discorso, qualsiasi concetto è già un'interpretazione.

Come un maestro che critica i maestri è contraddittorio, così è contraddittorio un filosofo che critica le "certezze metafisiche" e si proclama, ma sempre facendo una precisa teoria filosofica, come difensore e garante della semplice vita al di là di qualsiasi senso astratto. Ma anche il suo invece è un senso astratto, concettuale, filosofico, metafisico, e il suo presentarsi come extra o meta-metafisco è contraddittorio e in un certo senso può essere visto anche come un imbroglio.

Sulla base di queste riflessioni, tutte le filosofie della demistificazione, della dissacrazione e della demitizzazione - dall'illuminismo, poi il positivismo, fino a Nietszche, Krishnamurti, Gray e moltissimi altri, potrebbero forse assumere l'inquietante profilo di supreme ingannatrici: proprio in quanto pretendono di insegnare a svelare gli inganni - ma, proprio nel fare questo, si pongono come nuovi Simulacri/Dogmi a cui aderire. Del resto, il caso dell'illuminismo, del positivismo e in generale di tutta la filosofia moderna razionalistica è emblematico: basta vedere cosa ha prodotto.

Ettore Fobo:

Grazie Diogene, bellissima disamina, molto chiara ed esaustiva. Non posso che essere d’accordo. Soprattutto quando scrivi che filosofi come Nietzsche hanno finito per erigere nuovi idoli, laddove cercavano di abbattere credenze (penso al mito dell’oltreuomo). Questa tendenza è avvertibile anche in John Gray, in Heidegger, in Cioran e in tutti i grandi becchini della tradizione filosofica occidentale.

Con l’espressione hic et nunc, ne sono consapevole, sottintendevo una visione (filosofica) del mondo che escludesse l’orizzonte della speranza in un aldilà.

Per quanto riguarda l’illuminismo e il positivismo, penso che la loro tendenza dogmatica sia veramente inquietante e non cessa di gettare la sua ombra sul nostro presente, in cui la scienza ha sostituito la religione come narcotico per le masse. La nostra epoca iper razionale ha molti scheletri nell’armadio, molti orrori ha prodotto e continua a produrre.

Vedo con sospetto e sgomento l’imporsi di un pensiero calcolante, attento unicamente all’utile, la crescente mania dell’efficienza, il mito stesso del progresso, idolo fra i più pericolosi, l’enorme potere conferito all’economia, scienza malefica; cresce la confusione e si fatica a orizzontarsi. Come Ceronetti, il filosofo ignoto, penso che la filosofia possa e debba essere una luce in questo buio che ha tutti i contorni della pazzia.

Cerco così, come tutti, forse, di vivere la mia vita fra le rovine della religione e le nuove cattedrali della scienza. Entrambe mi sembrano fragili, prossime al crollo … Sento inoltre che questo crollo, oltre che catastrofico, può anche essere liberatorio.






P.s.: a parte il dettaglio che è alquanto bizzarro e un po' grottesco immaginare che due spettri possano avere un blog, mi pare che per il resto il dialogo, se immaginato come avvenente fra questi due personaggi post-mitologici, spettri antichi che osservano il mondo d'oggi, sia tutto sommato stranamente coerente, estremamente divertente, e infine, mi sembra che i significati e le interpretazioni messe in gioco nel dialogo assumano un peso e un'aura diverse, un tono più inquietante ma allo stesso tempo più distaccato. Il tutto diventa una specie di semi-coerente racconto filosofico enigmatico.


martedì 4 settembre 2012

a tratti percepisco tra indistinto brusio -



Dove c'è conoscenza, ci sono credenze. Dove ci sono credenze, non c'è amore, né realtà, né verità, nè vita.

Dove c'è conoscenza, c'è desiderio, volontà di modificare, realizzare qualcosa, raggiungere qualcosa, risolvere, costringere, concludere, chiudere, imporre, manipolare, definire, dominare, domare, arrivare a, essere qualcosa, dimostrare qualcosa. Aspettativa. Volontà che sia in un qualche determinato modo - affezionamento a questo desiderio e a questa aspettativa di conformità del reale al desiderio. Affezionamento a un essere, a un modo di essere, a una identità. Una immagine che proietto e espando imperialmente sul dato, casuale. Costringendolo nella mia idea. Avere idee o credenze o nozioni o conoscenze è aggraparmi a un simulacro, scelto a caso o imposto dalle condizioni esterne, dentro cui rifugiarmi, appartarmi, isolarmi dalla realtà nella sua nuda semplice caotica vuotezza, datità, gettatezza, per sentirmi al sicuro. Una casa, un nido, una camicia di forza per lo spirito.


Dove compaiono amore, realtà, verità, vita che straripa dalle categorie - non ci sono credenze né conoscenza.

(sono concetti di Jiddu Krishnamurti riformulati in gran parte usando parole mie e in parte da me interpretati ) -


e con l'attaccamento al non attaccamento come la mettiamo?

e con la fede nell'inutilità di ogni fede e credenza?

con il conoscere che è inutile la conoscenza?

l'assenza di ogni tipo di credenza non è un tipo fra i tanti di credenza?

è possibile non avere fedi?

è utile?

è utile - per esempio nel caso dei seguaci di J. Krishnamurti - avere una ideologia del non avere nessun tipo di ideologia?

e le credenze per il solo fatto di comparire e affermarsi nella mente non hanno una loro realtà (e forse un loro valore)?

muoiono tutti gli idoli - tutte le verità assolute, religiose, politiche, ideologiche, metafisiche.

cosa resta?

tabula rasa? realtà scrostata da ogni illusione?

O forse simulacri, illusioni che non hanno più lo statuto di verità assolute, certezze sistematiche, ma non per questo perdono la loro forza, anzi. Se tutto è simulacro, immagine, semplice convenzione - dove a un contenuto si può sostituire un qualsiasi altro contenuto perché qualsiasi cosa può essere vera o falsa - i simulacri non sono smascherati, ma diventano sempre più potenti - perché sono tutto ciò che è rimasto.


Ma in questo gioco di specchi, a tratti compare, si vive qualcosa di inedito che per intensità, semplicità e bellezza spezza gli ingranaggi di quell'orizzonte esistenziale limitato, arroccato, solo mentale e ripetitivo in cui siamo soliti rifugiarci - per paura della libertà, direbbe Krishnamurti.


Ecco, questa è una cosa in cui credo: l'inesauribile, irriducibile, imprevedibile, incontenibile ricchezza del reale.


(ps: il titolo è una citazione dalla canzone dei Csi "A tratti")











giovedì 9 agosto 2012

De-creare.


"Discreazione: far passare qualcosa di creato nell'increato. Distruzione: far passare qualcosa di creato nel nulla. Ersatz [surrogato] colpevole della discreazione."

"La realtà del mondo è fatta da noi, col nostro attaccamento. E' la realtà dell'Io trasportata da noi nelle cose. Non è affatto la realtà esteriore. Questa può essere percepita solo col totale distacco. Quand'anche non rimanesse che un filo, vi sarebbe ancora attaccamento."

"Sospendere continuamente in se stesso il lavoro della immaginazione che colma i vuoti. Se si accetta qualsiasi vuoto, qual colpo del destino può impedire di amare l'universo? Si è certi che, qualunque cosa avvenga, l'universo è pieno."

"La creazione è un atto d'amore ed è perpetua. In ogni istante, la nostra esistenza è amore di Dio per noi. Ma Dio può amare solo se stesso. Il suo amore per noi è amore per se stesso attraverso di noi. Così egli, che ci dà l'essere, ama in noi il consenso a non essere. La nostra esistenza è fatta solo della sua attesa, del nostro consenso a non esistere. Perpetuamente egli mendica da noi l'esistenza che ci dà. Ce la dà per chiedercela in elemosina."

"Le contraddizioni contro cui urta lo spirito: sole realtà, criterio del reale. Nessuna contraddizione nell'immaginario. La contraddizione è la prova della necessità. La contraddizione sperimentata fino in fondo all'essere è lacerazione. E' la croce."

                                                                                                                 (Simone Weil)


De-creare. Cioè: non completare. Lasciare irrisolto. Lasciare il vuoto sconnesso della realtà così com'è. Lasciare nuda la contraddizione.
Lasciare la realtà "frastagliata", asimmetrica, inspiegabile, multipla-

In-creato. Cioè: non obbligato. Casuale. Indifferente. Senza adesione. Non alterato. Lasciato essere. Lasciato non essere. Frattura. Codici. Affermazioni. Vortici. Constatare la misura degli spazi - la contromisura dei moti - inabissandosi nella fedele rapida di cunicoli oscuri labirintici enigmatici magmatici dell'essere momento per momento connesso all'intermittenza molteplice mutevole imprevista.
Senza tracciati, percorro la linea esatta che traccia la non-creabilità.
Restando così, senza volere niente, senza desiderare modificare niente, senza aspettarsi niente, senza scegliere niente, senza alcuna distrazione o fuga, perfettamente aderenti a questo nulla cangiante senza fine senza scopo - il vuoto dell'uragano del reale così come è - forse - leggere crepe potrebbero comparire - accennare a, lasciare, trasparire, accenni-frammenti di bagliori di luce. Spiragli di trascendenza.
O forse no.

Brulicante sbilenco. Sospeso in moto oscillante fermo.

Lascia stare. Lascia cadere. Lascia essere. Lascia che sia semplice.

Creare, trasformare, dare forma diversa alle cose, inusuale modificare, dare vita, sbocciare.

Sono vivo nell'attimo-brulicare casuale in cui dipingo il mio arbitrario-canto - colorato della mia volontà - sulla tela-specchio dell'universo, che scelgo, che apprezzo, che creo, che progetto, per quello che posso in questa porzione di galassia in cui sono gettato.


                                                                                     

venerdì 19 agosto 2011

Simone Weil e gli Dei

Spogliandoci di tutto, dice Simone, di tutta l'immaginazione, di tutte le passioni, di tutte le attese del futuro, di tutti i rimpianti del passato, di tutta la farneticazione della mente, di tutto il rumore, di qualsiasi identità, di qualsiasi orgoglio e identificazione (soprattutto spirituali) di qualsiasi ricompensa e compiacimento, si produce un vuoto. un vuoto intollerabile, assoluto, che normalmente si riempie, subito, a qualsiasi costo con qualsiasi illusione di qualsiasi tipo, qualsiasi forma di narcisismo, o con l'esercitare potere sugli altri, "espandendosi come un gas" per non restare nel proprio vuoto. Oppure: si resta "immobili e attenti" di fronte a questo vuoto, così com'è, contraddizione che lacera le carni anche del semplice sussistere, deflagrazione di ogni illusione consolatoria. E così si resta. A quel punto, se si è veramente umili e onesti, e se non si cerca assolutamente di ottenere niente, forse, la Grazia soprannaturale riempie quel vuoto.

Ma, mi chiedo, può essere - almeno, può essere, per qualcuno - che sottoponendosi - sottoponendosi con rigore, spietatezza, lucidità esatta, umiltà, verità a questo processo di autodenudamento psicologico interiore, possa comparire, al posto di una Luce mistica cristiana, una Luce che abbia le forme di Passioni, Creatività, Danze di Colori e Vuoto, Voci Antiche, ritmi, sussurri animisti di creature animali-spiriti amici? Tutto il piacere è "inesistente" come dice Simone? O può esistere un piacere puro, che sia nella Grazia? Può esistere un'immaginazione, e quindi un'Arte, che venga veramente - ma veramente, al di là di qualsiasi compiacimento intellettuale o psicologico - dagli Dei, senza mediazione? Esiste veramente qualcosa come un daimon della poesia, a cui il poeta semplicemente ubbidisce sotto dettatura? esiste una musica che sgorghi direttamente dal silenzio del cuore dell'Anima? E se tutto ciò esiste, forse, è solo per un attimo, già a ripensarci l'hai ucciso.
"Discreazione: far passare qualcosa di creato nell'increato.

Distruzione: far passare qualcosa di creato nel nulla.




Ersatz [surrogato] colpevole della discreazione."

(Simone Weil, da "L'ombra e la grazia")