LASCIA TUTTO, E SEGUITI! (F. Battiato) Dove tutto è enigma (storia, natura, cosmo) la certezza dell'insolubilità pone un invisibile seme di speranza. (Guido Ceronetti)

di-segno di Sacrilegio Tempesta
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pARTICOLARE DI "Autunno", quadro di Diogene senza l'anima?. Foto di Sacrilegio Tempesta.
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domenica 4 agosto 2013
?
Copiare da uno è plagio, copiare da tanti è ricerca. (A. Wharol)
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sabato 2 febbraio 2013
Sperimentazioni maieutiche/3.
(seguito di Sperimentazioni maieutiche/1:
http://de-crea-zione.blogspot.it/2013/01/un-amico-scrive-questo-post.html )
Jaspere:
Giuliano se pur in modo adorabile anche questa poesia continua a colpire il mio ego. Ma in modo moltoooooo diverso ! Vedi questa per me è cosa nuova ! Fa sussultare il mio cuore,come a lasciare me stesso libero di volare con le api ! Mi son sentito una di loro ! Ha stimolato la mia fantasia ! Mi ha dato il desiderio di essere ape ! Ma tornando a quello che ho detto all'inizio, stimola la mia parte razionale nella comprensione di queste stupende creature ! A capirle, a renderle importanti per me stesso e per gli altri ! E questo è molto bello ! Ma se parliamo di anima, io penso che si parla di amore e di comprensione emotiva ! Il pensiero, il desiderio,l'immaginazione,non dovrebbero neanche sorgere ! Dovresti non immaginare di essere ape o desiderarlo,ma dovresti sentire le loro vibrazioni in ogni parte di te ! Si tratta di comprensione a livello cellulare ! Lo sò che sto parlando di pseudo scienza,ma io sento queste cose e per me sono reali ! Non sto dicendo che le mie poesie sono miglior o comunque che quel tipo di poesie è migliore,hanno un compito diverso,quello di ricercare archetipi nascosti nel profonfo ! Mi rimane difficile spiegarmi meglio, spero di aver almeno dato l'idea !
Diogene:
è strano. a me la poesia della gualtieri mi ha fatto proprio sentire il ronzio delle api, come se fossi là.
Jaspere:
Chissa ! Forse abbiamo una sensibilità diversa ! Tutto li !
Diogene:
le ho anche immaginate, sì, ma non vedo questa differenza fra immaginare e sentire. immaginazione e emozione sono strettamente intrecciate. quando senti qualcosa stai anche immaginando. e gli archetipi sono appunto archetipi in quanto idee (immagini, se non sbaglio l'etimo di archetipo vuol dire proprio immagine originaria) universali dell'immaginazione.
Jaspere:
Si cio che dici è vero,ma il desiderio è originario dell'ego e l'imaginazione è una diretta conseguenza di quel desiderio. E' almeno secondo me una cosa momentanea. Non cè archetipo ! Rispecchia piu una comprensione a livello razionale ! A livello emotivo la cosa si distiungue,per le emozioni che provi, quelle api diventano parte di te ! E' difficle da spiegare !
Diogene:
penso di capire quello che dici. una cosa è sentire, istantaneamente, realmente, essere e sentire di essere qualcosa. un conto è immaginarsi qualcosa (i pensieri associativi che, secondo molte scuole spirituali, distraggono dal momento presente).
tuttavia secondo me una cosa è l'immaginazione dei pensieri associativi, inutile logorio mentale, e una cosa è invece la Fantasia, l'Immaginazione con la F e la I maiuscole. La Fantasia è uno strumento di liberazione, di verità, di profezia, di indagine, di ricerca, di ascolto dell'essere: è Essere, non surrogato di realtà.
Jaspere:
Esatto !
Su questo siamo daccordissimo
Perdona la mia mancanza di termini adeguati per la conversazione e la mia attuale confusione.....
Diogene:
non preoccuparti, sei in buona compagnia... (per quanto riguarda la confusione!)
http://de-crea-zione.blogspot.it/2013/01/un-amico-scrive-questo-post.html )
Jaspere:
Giuliano se pur in modo adorabile anche questa poesia continua a colpire il mio ego. Ma in modo moltoooooo diverso ! Vedi questa per me è cosa nuova ! Fa sussultare il mio cuore,come a lasciare me stesso libero di volare con le api ! Mi son sentito una di loro ! Ha stimolato la mia fantasia ! Mi ha dato il desiderio di essere ape ! Ma tornando a quello che ho detto all'inizio, stimola la mia parte razionale nella comprensione di queste stupende creature ! A capirle, a renderle importanti per me stesso e per gli altri ! E questo è molto bello ! Ma se parliamo di anima, io penso che si parla di amore e di comprensione emotiva ! Il pensiero, il desiderio,l'immaginazione,non dovrebbero neanche sorgere ! Dovresti non immaginare di essere ape o desiderarlo,ma dovresti sentire le loro vibrazioni in ogni parte di te ! Si tratta di comprensione a livello cellulare ! Lo sò che sto parlando di pseudo scienza,ma io sento queste cose e per me sono reali ! Non sto dicendo che le mie poesie sono miglior o comunque che quel tipo di poesie è migliore,hanno un compito diverso,quello di ricercare archetipi nascosti nel profonfo ! Mi rimane difficile spiegarmi meglio, spero di aver almeno dato l'idea !
Diogene:
è strano. a me la poesia della gualtieri mi ha fatto proprio sentire il ronzio delle api, come se fossi là.
Jaspere:
Chissa ! Forse abbiamo una sensibilità diversa ! Tutto li !
Diogene:
le ho anche immaginate, sì, ma non vedo questa differenza fra immaginare e sentire. immaginazione e emozione sono strettamente intrecciate. quando senti qualcosa stai anche immaginando. e gli archetipi sono appunto archetipi in quanto idee (immagini, se non sbaglio l'etimo di archetipo vuol dire proprio immagine originaria) universali dell'immaginazione.
Jaspere:
Si cio che dici è vero,ma il desiderio è originario dell'ego e l'imaginazione è una diretta conseguenza di quel desiderio. E' almeno secondo me una cosa momentanea. Non cè archetipo ! Rispecchia piu una comprensione a livello razionale ! A livello emotivo la cosa si distiungue,per le emozioni che provi, quelle api diventano parte di te ! E' difficle da spiegare !
Diogene:
penso di capire quello che dici. una cosa è sentire, istantaneamente, realmente, essere e sentire di essere qualcosa. un conto è immaginarsi qualcosa (i pensieri associativi che, secondo molte scuole spirituali, distraggono dal momento presente).
tuttavia secondo me una cosa è l'immaginazione dei pensieri associativi, inutile logorio mentale, e una cosa è invece la Fantasia, l'Immaginazione con la F e la I maiuscole. La Fantasia è uno strumento di liberazione, di verità, di profezia, di indagine, di ricerca, di ascolto dell'essere: è Essere, non surrogato di realtà.
Jaspere:
Esatto !
Su questo siamo daccordissimo
Perdona la mia mancanza di termini adeguati per la conversazione e la mia attuale confusione.....
Diogene:
non preoccuparti, sei in buona compagnia... (per quanto riguarda la confusione!)
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martedì 29 gennaio 2013
Sperimentazioni maieutiche/2.
Poco prima dell'ultimo Natale Ettore Fobo ha pubblicato questo post:
http://ettorefobo.blogspot.it/2012/12/il-natale-oggi-secondo-umberto.html#comments
Ho risposto così:
http://de-crea-zione.blogspot.it/2012/12/natale-e-deserto.html
Successivamente il dialogo è continuato come commenti al suo post.
Qui riporto lo scambio di idee, perchè mi è sembrato molto proficuo e interessante.
Mi piace immaginarlo come una specie di dialogo socratico post-moderno fra lo spettro di un eroe ormai terrorizzato dal rumore senza anima che sente dappertutto, rumore di macchine in cui non riesce più a riconoscere la voce degli Dei, e il fantasma di un filosofo radicale, anticonformista, eudaimonista, ludico, menefreghista, amico degli animali e nemico delle menzogne, di ogni cosa non strettamente necessaria e di ogni artificio, che non riesce a ritrovare la sua dimensione naturale, spontanea, semplice - la sua anima.
Questo eroe senza Dei e questo cinico senza anima e Natura se ne stanno come ectoplasmi al margine estremo del mondo, osservando la nostra società e commentando con voci fra l'incuriosito e l'attonito le stranezze che ivi vi scorgono - paragonandole a cose antiche e da lungo tempo dimenticate.
Ettore Fobo:
Questa è un’epoca di passaggio. Nuovi valori devono essere creati e i vecchi valori vanno definitivamente sepolti. Come dici tu, non possiamo più riconnetterci con i culti antichi e il cristianesimo è ormai pressoché privo di vita. Non so se sia un effetto di quello che tu chiami il Moloch dei consumi o se il consumismo abbia preso il posto già lasciato vuoto dalla crisi del cristianesimo. Però questa condizione di impasse non può essere eterna, finito un ciclo della storia ce ne sarà un altro con nuove idee e nuovi valori. E’ solo questione di tempo. Come in tutte le epoche di crisi, ci sono profezie di catastrofi imminenti che sono il segno che un mondo sta finendo e un altro mondo sta emergendo. Ormai è chiaro che sarà la Tecnica a determinare questa trasformazione, da qui il pessimismo di molti filosofi, tra cui Galimberti, secondo cui l’uomo non è più il vero soggetto della Storia ma mero funzionario degli apparati della Tecnica. Io non so e come tutti sono in attesa.
Diogene senza l'anima?:
O forse, in fondo, come diceva De Andrè in un'intervista (riporto in parte con parole mie il concetto): nonostante questa apparenza di cambiamento così rapido, radicale, omnipervasivo, "io credo che i problemi fondamentali dell'essere umano resteranno sempre gli stessi, immutati, ancora per molti secoli - e forse per sempre."
...Ah, ecco, mi ricordo le parole esatte: "Io credo che l'uomo potrà anche conquistare le stelle, ma penso d'altra parte che le sue problematiche fondamentali sono destinate a rimanere le stesse per molto tempo, se non addirittura per sempre."
Ettore Fobo:
I problemi dell’uomo saranno gli stessi, ma mai come in quest’epoca essi possono essere ridefiniti attraverso la tecnologia e la scienza (penso soprattutto alla chimica). In proposito la neurologa Susan Greenfield ha scritto un saggio eloquente, “Gente di domani”, in cui descrive un mondo a venire per noi impensabile e forse inquietante. Da più parti si pensa che la tecnologia possa modificare l’umano nella sostanza. Chissà, magari è solo un sogno, di sicuro
per ora la frase di De André non può essere smentita.
Diogene senza l'anima?:
Sicuramente siamo in un periodo di mutazione. Ma gran parte della filosofia insiste sulla fenomenicità apparente di ogni mutamento. L'essenza non muta. Perciò neanche l'essenzialmente umano. L'essere è - come direbbe Parmenide - il divenire è non essere. Perciò l'apparenza di un cambiamento radicale non può che essere un fantasma passeggero. "Allora non si crederà più, come fa l'uomo del volgo, che il tempo possa generare qualcosa di veramente nuovo e di veramente importante; che nel tempo e per via del tempo qualcosa possa attingere ad una realtà assoluta; non si attribuirà più al tempo, come a un tutto, un principio e una fine, un disegno e uno svolgimento; né, seguendo il concetto volgare, si assegnerà come fine allo scorrere del tempo il più alto perfezionamento del genere umano. (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, libro III, paragrafo 35).
Ettore Fobo:
Bello, Diogene, mi hai convinto. L’essenza non muta, ma superficialmente i cambiamenti avvengono. I valori per esempio, nulla di sostanziale, fenomeni passeggeri ma importanti in una data epoca. Maschere se vogliamo, necessarie per la nostra finzione. Cito Oscar Wilde, a memoria: “Le verità della metafisica sono maschere “. Dietro la maschera, che cambia a seconda dei tempi, l’immutabile essenza.
Diogene senza l'anima?:
Fantastico, l'aforisma di Wilde e la tua conclusione sono esattamente in sintonia con quello che volevo aggiungere. La metafisica con Nietszche crolla, e con Heidegger definitivamente l'essere diventa storico, perchè l'essere è linguaggio. Da qui muove l'ermeneutica, orizzonte nel quale a occhio e croce direi si potrebbe probabilmente inscrivere il discorso di Galimberti, e così tutti i discorsi filosofici, che fanno Heidegger e tantissimi altri filosofi, sul destino della Metafisica, il destino del Nichilismo, il destino della nostra civiltà occidentale, il destino del cristianesimo, il destino della Tecnica. Tuttavia, da quello che ho capito, l'autentico pensiero di Heidegger non è riducibile a questa concezione dei suoi epigoni dell'ermeneutica. A me sembra che tutti i grandi filosofi, Heidegger incluso, si siano sempre mossi, nonostante l'estrema varietà e l'estremo variare storico delle "maschere", all'interno di un orizzonte di tipo parmenideo. Anche in Heidegger, il linguaggio e l'essere storici, pur nelle ceneri della Metafisica e dei sistemi, affondano le loro radici in qualcosa di indefinibile, che, sia a livello di Essere, che forse in un certo senso anche a livello di Linguaggio, è Eterno. I valori e le maschere metafisiche mutano, il nocciolo dell'Essere permane eterno nel suo inaccessibile mistero. Mi esprimo in termini generici perchè non conosco in maniera approfondita il secondo Heidegger, ma questa è l'idea che mi sono fatto.
Ettore Fobo:
E’ l’idea che mi sono fatto anch’io Diogene: nessun filosofo, neanche Nietzsche, che è quello che forse ci è andato più vicino, è riuscito a superare la metafisica, gli orizzonti parmenidei rimangono immacolati. Un filosofo contemporaneo molto interessante, che sta provando a superare la metafisica, è John Gray. Ne ho parlato in questo blog a proposito del suo libro “Cani di paglia”. E’ un tentativo di uscire dall’incubo metafisico e antropocentrico. C’è molto da pensare ancora, oltre l’uomo e oltre i suoi orizzonti metafisici. La filosofia è appena iniziata.
Diogene senza l'anima?:
Ho letto l'articolo su Gray. Mi richiama il mio articolo del 29 novembre sullo shivaismo tantrico del kashmir (smettere di avere scopi). In comune, il filo-taoista Gray e l'insegnante di shivaismo tantrico in questione nel mio articolo (Nathalie Delay) hanno questo: l'invito a lasciar perdere, lasciar cadere qualsiasi scopo metafisico, religioso o ideologico; qualsiasi senso. L'incubo, di qualsiasi senso, della ricerca mai soddisfatta, perennemente insoddisfatta, e perciò distruttiva, violenta, nel suo voler a tutti i costi affermare qualcosa. Trovo questo lasciar perdere Dio, scopi, Sensi, visioni chiare e definite, velleità di miglioramento del reale, volontà precise, ispirazioni salvifiche, molto rasserenante. Resta, direbbe Nathalie Delay, la vita, la vita sensibile, "il cuore pulsante della nostra insensatezza" come dici nel tuo post, il fluiresenzaunsensoprecisomapullulantedistorieincidentipersonaggifattiintuizioniombrelucicontraddizionispiraliemotivepensierimicropoesie della vita quotidiana, con la sua noia, la sua sofferenza, le sue emozioni, i suoi preziosi istanti di magia priva di un dio o un disegno - gratuiti.
Ettore Fobo:
Ho riletto il tuo post. Parli della contraddizione fondamentale di un certo pensiero orientale, penso a Krishnamurti: essere un maestro che dice che non ci sono maestri. Però il nocciolo è proprio lì: smettere di proiettare su qualcuno, di essere un seguace, di inseguire speranze trascendenti. Mi sembra che nella semplice accettazione delle vita hic et nunc ci sia abbastanza saggezza.
Diogene senza l'anima?:
Certo. In un certo senso è forse il tema di tutto il mio blog. Ma questa antinomia si estende anche alla filosofia. Anche John Gray è un filosofo che teorizza la fine delle verità filosofiche. Questo è analogo a Krishnamurti che teorizza, da maestro, la fine della sensatezza di seguire un maestro. E' una questione molto sottile. Anche tu rilevi una contraddizione fra una critica radicale al concetto di guru, e più in generale al fatto di accodarsi a una serie di dogmi, riti, credenze - appartenenza religiosa di clan che per Krishnamurti offusca stravolge e compromette in maniera completa le capacità della mente di essere un campo aperto, semplicemente ricettivo, equanime, privo di pregiudizi o preferenze - radar imparziale del reale, una pista aperta sugli indizi della verità, in ricerca viscerale sulla base di una percezione autenticamente scevra da pre-idee e di un esame radicalmente libero (in maniera analoga a quello che diceva Simone Weil quando affermava che appartenere a un qualsiasi partito politico impedisce una sincera analisi del reale e una onesta presa di posizione su di esso; o quando diceva che aderire a qualsiasi religione, filosofia o semplicemente idea, vuol dire chiudere la partita della propria ricerca della verità: si può aderire a un'idea, diceva la Weil, solo in maniera parziale, relativa, limitatamente a quegli aspetti che al proprio esame risultano effettivamente veri; e sempre con la consapevolezza che si tratta solo di un passo parziale e momentaneo della propria ricerca, che quindi bisogna in ogni istante essere pronti a mettere tutto in discussione, sulla base del proprio libero e continuamente, vigilantemente critico esame - quindi qualsiasi "adesione" in senso stretto a una idea qualsiasi, qualsiasi "convincimento", qualsiasi "assenso" a una teoria o una prassi è da rifiutare in quanto uccide la verità) e il porsi comunque di Krishnamurti a suo modo come maestro.
Ma questo chiaramente si estende anche alla filosofia: anche quello di Gray, per esempio, è pur sempre un sistema di pensiero, con un contenuto preciso, un insieme organizzato di idee che richiede un'adesione, un assenso. Non è semplicemente il vivere nell'hic et nunc (del resto anche "vivere nell'hic et nunc" è un preciso concetto filosofico, con una precisa storia): è una filosofia, con concetti inevitabilmente precisi di riferimento, contenuti teorici filosofici che si possono mettere a confronto con qualsiasi altro contenuto filosofico, e possono essere discussi a livello filosofico, ma che non sono il semplice hic et nunc, sono una filosofia precisa con concetti filosofici precisi, collocabili in un contesto filosofico-culturale preciso.
E allora, da un certo punto di vista, che differenza c'è, fra aderire al sistema filosofico di Platone e aderire al "sistema" filosofico di Gray? E' la stessa cosa. E' un assenso a una teoria, della quale ci lasciamo convincere. Le diverse teorie possono essere confrontate e dibattute a livello filosofico, ma sono tutte egualmente "metafisiche", sono tutte, alla pari, delle costruzioni teoriche filosofiche, analizzabili a livello concettuale, o magari filosofico-intuitivo, ma non riducibili all'"accettazione dell'hic et nunc". Qualsiasi filosofia, qualsiasi discorso, qualsiasi concetto è già un'interpretazione.
Come un maestro che critica i maestri è contraddittorio, così è contraddittorio un filosofo che critica le "certezze metafisiche" e si proclama, ma sempre facendo una precisa teoria filosofica, come difensore e garante della semplice vita al di là di qualsiasi senso astratto. Ma anche il suo invece è un senso astratto, concettuale, filosofico, metafisico, e il suo presentarsi come extra o meta-metafisco è contraddittorio e in un certo senso può essere visto anche come un imbroglio.
Sulla base di queste riflessioni, tutte le filosofie della demistificazione, della dissacrazione e della demitizzazione - dall'illuminismo, poi il positivismo, fino a Nietszche, Krishnamurti, Gray e moltissimi altri, potrebbero forse assumere l'inquietante profilo di supreme ingannatrici: proprio in quanto pretendono di insegnare a svelare gli inganni - ma, proprio nel fare questo, si pongono come nuovi Simulacri/Dogmi a cui aderire. Del resto, il caso dell'illuminismo, del positivismo e in generale di tutta la filosofia moderna razionalistica è emblematico: basta vedere cosa ha prodotto.
Ettore Fobo:
Grazie Diogene, bellissima disamina, molto chiara ed esaustiva. Non posso che essere d’accordo. Soprattutto quando scrivi che filosofi come Nietzsche hanno finito per erigere nuovi idoli, laddove cercavano di abbattere credenze (penso al mito dell’oltreuomo). Questa tendenza è avvertibile anche in John Gray, in Heidegger, in Cioran e in tutti i grandi becchini della tradizione filosofica occidentale.
Con l’espressione hic et nunc, ne sono consapevole, sottintendevo una visione (filosofica) del mondo che escludesse l’orizzonte della speranza in un aldilà.
Per quanto riguarda l’illuminismo e il positivismo, penso che la loro tendenza dogmatica sia veramente inquietante e non cessa di gettare la sua ombra sul nostro presente, in cui la scienza ha sostituito la religione come narcotico per le masse. La nostra epoca iper razionale ha molti scheletri nell’armadio, molti orrori ha prodotto e continua a produrre.
Vedo con sospetto e sgomento l’imporsi di un pensiero calcolante, attento unicamente all’utile, la crescente mania dell’efficienza, il mito stesso del progresso, idolo fra i più pericolosi, l’enorme potere conferito all’economia, scienza malefica; cresce la confusione e si fatica a orizzontarsi. Come Ceronetti, il filosofo ignoto, penso che la filosofia possa e debba essere una luce in questo buio che ha tutti i contorni della pazzia.
Cerco così, come tutti, forse, di vivere la mia vita fra le rovine della religione e le nuove cattedrali della scienza. Entrambe mi sembrano fragili, prossime al crollo … Sento inoltre che questo crollo, oltre che catastrofico, può anche essere liberatorio.
P.s.: a parte il dettaglio che è alquanto bizzarro e un po' grottesco immaginare che due spettri possano avere un blog, mi pare che per il resto il dialogo, se immaginato come avvenente fra questi due personaggi post-mitologici, spettri antichi che osservano il mondo d'oggi, sia tutto sommato stranamente coerente, estremamente divertente, e infine, mi sembra che i significati e le interpretazioni messe in gioco nel dialogo assumano un peso e un'aura diverse, un tono più inquietante ma allo stesso tempo più distaccato. Il tutto diventa una specie di semi-coerente racconto filosofico enigmatico.
http://ettorefobo.blogspot.it/2012/12/il-natale-oggi-secondo-umberto.html#comments
Ho risposto così:
http://de-crea-zione.blogspot.it/2012/12/natale-e-deserto.html
Successivamente il dialogo è continuato come commenti al suo post.
Qui riporto lo scambio di idee, perchè mi è sembrato molto proficuo e interessante.
Mi piace immaginarlo come una specie di dialogo socratico post-moderno fra lo spettro di un eroe ormai terrorizzato dal rumore senza anima che sente dappertutto, rumore di macchine in cui non riesce più a riconoscere la voce degli Dei, e il fantasma di un filosofo radicale, anticonformista, eudaimonista, ludico, menefreghista, amico degli animali e nemico delle menzogne, di ogni cosa non strettamente necessaria e di ogni artificio, che non riesce a ritrovare la sua dimensione naturale, spontanea, semplice - la sua anima.
Questo eroe senza Dei e questo cinico senza anima e Natura se ne stanno come ectoplasmi al margine estremo del mondo, osservando la nostra società e commentando con voci fra l'incuriosito e l'attonito le stranezze che ivi vi scorgono - paragonandole a cose antiche e da lungo tempo dimenticate.
Ettore Fobo:
Questa è un’epoca di passaggio. Nuovi valori devono essere creati e i vecchi valori vanno definitivamente sepolti. Come dici tu, non possiamo più riconnetterci con i culti antichi e il cristianesimo è ormai pressoché privo di vita. Non so se sia un effetto di quello che tu chiami il Moloch dei consumi o se il consumismo abbia preso il posto già lasciato vuoto dalla crisi del cristianesimo. Però questa condizione di impasse non può essere eterna, finito un ciclo della storia ce ne sarà un altro con nuove idee e nuovi valori. E’ solo questione di tempo. Come in tutte le epoche di crisi, ci sono profezie di catastrofi imminenti che sono il segno che un mondo sta finendo e un altro mondo sta emergendo. Ormai è chiaro che sarà la Tecnica a determinare questa trasformazione, da qui il pessimismo di molti filosofi, tra cui Galimberti, secondo cui l’uomo non è più il vero soggetto della Storia ma mero funzionario degli apparati della Tecnica. Io non so e come tutti sono in attesa.
Diogene senza l'anima?:
O forse, in fondo, come diceva De Andrè in un'intervista (riporto in parte con parole mie il concetto): nonostante questa apparenza di cambiamento così rapido, radicale, omnipervasivo, "io credo che i problemi fondamentali dell'essere umano resteranno sempre gli stessi, immutati, ancora per molti secoli - e forse per sempre."
...Ah, ecco, mi ricordo le parole esatte: "Io credo che l'uomo potrà anche conquistare le stelle, ma penso d'altra parte che le sue problematiche fondamentali sono destinate a rimanere le stesse per molto tempo, se non addirittura per sempre."
Ettore Fobo:
I problemi dell’uomo saranno gli stessi, ma mai come in quest’epoca essi possono essere ridefiniti attraverso la tecnologia e la scienza (penso soprattutto alla chimica). In proposito la neurologa Susan Greenfield ha scritto un saggio eloquente, “Gente di domani”, in cui descrive un mondo a venire per noi impensabile e forse inquietante. Da più parti si pensa che la tecnologia possa modificare l’umano nella sostanza. Chissà, magari è solo un sogno, di sicuro
per ora la frase di De André non può essere smentita.
Diogene senza l'anima?:
Sicuramente siamo in un periodo di mutazione. Ma gran parte della filosofia insiste sulla fenomenicità apparente di ogni mutamento. L'essenza non muta. Perciò neanche l'essenzialmente umano. L'essere è - come direbbe Parmenide - il divenire è non essere. Perciò l'apparenza di un cambiamento radicale non può che essere un fantasma passeggero. "Allora non si crederà più, come fa l'uomo del volgo, che il tempo possa generare qualcosa di veramente nuovo e di veramente importante; che nel tempo e per via del tempo qualcosa possa attingere ad una realtà assoluta; non si attribuirà più al tempo, come a un tutto, un principio e una fine, un disegno e uno svolgimento; né, seguendo il concetto volgare, si assegnerà come fine allo scorrere del tempo il più alto perfezionamento del genere umano. (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, libro III, paragrafo 35).
Ettore Fobo:
Bello, Diogene, mi hai convinto. L’essenza non muta, ma superficialmente i cambiamenti avvengono. I valori per esempio, nulla di sostanziale, fenomeni passeggeri ma importanti in una data epoca. Maschere se vogliamo, necessarie per la nostra finzione. Cito Oscar Wilde, a memoria: “Le verità della metafisica sono maschere “. Dietro la maschera, che cambia a seconda dei tempi, l’immutabile essenza.
Diogene senza l'anima?:
Fantastico, l'aforisma di Wilde e la tua conclusione sono esattamente in sintonia con quello che volevo aggiungere. La metafisica con Nietszche crolla, e con Heidegger definitivamente l'essere diventa storico, perchè l'essere è linguaggio. Da qui muove l'ermeneutica, orizzonte nel quale a occhio e croce direi si potrebbe probabilmente inscrivere il discorso di Galimberti, e così tutti i discorsi filosofici, che fanno Heidegger e tantissimi altri filosofi, sul destino della Metafisica, il destino del Nichilismo, il destino della nostra civiltà occidentale, il destino del cristianesimo, il destino della Tecnica. Tuttavia, da quello che ho capito, l'autentico pensiero di Heidegger non è riducibile a questa concezione dei suoi epigoni dell'ermeneutica. A me sembra che tutti i grandi filosofi, Heidegger incluso, si siano sempre mossi, nonostante l'estrema varietà e l'estremo variare storico delle "maschere", all'interno di un orizzonte di tipo parmenideo. Anche in Heidegger, il linguaggio e l'essere storici, pur nelle ceneri della Metafisica e dei sistemi, affondano le loro radici in qualcosa di indefinibile, che, sia a livello di Essere, che forse in un certo senso anche a livello di Linguaggio, è Eterno. I valori e le maschere metafisiche mutano, il nocciolo dell'Essere permane eterno nel suo inaccessibile mistero. Mi esprimo in termini generici perchè non conosco in maniera approfondita il secondo Heidegger, ma questa è l'idea che mi sono fatto.
Ettore Fobo:
E’ l’idea che mi sono fatto anch’io Diogene: nessun filosofo, neanche Nietzsche, che è quello che forse ci è andato più vicino, è riuscito a superare la metafisica, gli orizzonti parmenidei rimangono immacolati. Un filosofo contemporaneo molto interessante, che sta provando a superare la metafisica, è John Gray. Ne ho parlato in questo blog a proposito del suo libro “Cani di paglia”. E’ un tentativo di uscire dall’incubo metafisico e antropocentrico. C’è molto da pensare ancora, oltre l’uomo e oltre i suoi orizzonti metafisici. La filosofia è appena iniziata.
Diogene senza l'anima?:
Ho letto l'articolo su Gray. Mi richiama il mio articolo del 29 novembre sullo shivaismo tantrico del kashmir (smettere di avere scopi). In comune, il filo-taoista Gray e l'insegnante di shivaismo tantrico in questione nel mio articolo (Nathalie Delay) hanno questo: l'invito a lasciar perdere, lasciar cadere qualsiasi scopo metafisico, religioso o ideologico; qualsiasi senso. L'incubo, di qualsiasi senso, della ricerca mai soddisfatta, perennemente insoddisfatta, e perciò distruttiva, violenta, nel suo voler a tutti i costi affermare qualcosa. Trovo questo lasciar perdere Dio, scopi, Sensi, visioni chiare e definite, velleità di miglioramento del reale, volontà precise, ispirazioni salvifiche, molto rasserenante. Resta, direbbe Nathalie Delay, la vita, la vita sensibile, "il cuore pulsante della nostra insensatezza" come dici nel tuo post, il fluiresenzaunsensoprecisomapullulantedistorieincidentipersonaggifattiintuizioniombrelucicontraddizionispiraliemotivepensierimicropoesie della vita quotidiana, con la sua noia, la sua sofferenza, le sue emozioni, i suoi preziosi istanti di magia priva di un dio o un disegno - gratuiti.
Ettore Fobo:
Ho riletto il tuo post. Parli della contraddizione fondamentale di un certo pensiero orientale, penso a Krishnamurti: essere un maestro che dice che non ci sono maestri. Però il nocciolo è proprio lì: smettere di proiettare su qualcuno, di essere un seguace, di inseguire speranze trascendenti. Mi sembra che nella semplice accettazione delle vita hic et nunc ci sia abbastanza saggezza.
Diogene senza l'anima?:
Certo. In un certo senso è forse il tema di tutto il mio blog. Ma questa antinomia si estende anche alla filosofia. Anche John Gray è un filosofo che teorizza la fine delle verità filosofiche. Questo è analogo a Krishnamurti che teorizza, da maestro, la fine della sensatezza di seguire un maestro. E' una questione molto sottile. Anche tu rilevi una contraddizione fra una critica radicale al concetto di guru, e più in generale al fatto di accodarsi a una serie di dogmi, riti, credenze - appartenenza religiosa di clan che per Krishnamurti offusca stravolge e compromette in maniera completa le capacità della mente di essere un campo aperto, semplicemente ricettivo, equanime, privo di pregiudizi o preferenze - radar imparziale del reale, una pista aperta sugli indizi della verità, in ricerca viscerale sulla base di una percezione autenticamente scevra da pre-idee e di un esame radicalmente libero (in maniera analoga a quello che diceva Simone Weil quando affermava che appartenere a un qualsiasi partito politico impedisce una sincera analisi del reale e una onesta presa di posizione su di esso; o quando diceva che aderire a qualsiasi religione, filosofia o semplicemente idea, vuol dire chiudere la partita della propria ricerca della verità: si può aderire a un'idea, diceva la Weil, solo in maniera parziale, relativa, limitatamente a quegli aspetti che al proprio esame risultano effettivamente veri; e sempre con la consapevolezza che si tratta solo di un passo parziale e momentaneo della propria ricerca, che quindi bisogna in ogni istante essere pronti a mettere tutto in discussione, sulla base del proprio libero e continuamente, vigilantemente critico esame - quindi qualsiasi "adesione" in senso stretto a una idea qualsiasi, qualsiasi "convincimento", qualsiasi "assenso" a una teoria o una prassi è da rifiutare in quanto uccide la verità) e il porsi comunque di Krishnamurti a suo modo come maestro.
Ma questo chiaramente si estende anche alla filosofia: anche quello di Gray, per esempio, è pur sempre un sistema di pensiero, con un contenuto preciso, un insieme organizzato di idee che richiede un'adesione, un assenso. Non è semplicemente il vivere nell'hic et nunc (del resto anche "vivere nell'hic et nunc" è un preciso concetto filosofico, con una precisa storia): è una filosofia, con concetti inevitabilmente precisi di riferimento, contenuti teorici filosofici che si possono mettere a confronto con qualsiasi altro contenuto filosofico, e possono essere discussi a livello filosofico, ma che non sono il semplice hic et nunc, sono una filosofia precisa con concetti filosofici precisi, collocabili in un contesto filosofico-culturale preciso.
E allora, da un certo punto di vista, che differenza c'è, fra aderire al sistema filosofico di Platone e aderire al "sistema" filosofico di Gray? E' la stessa cosa. E' un assenso a una teoria, della quale ci lasciamo convincere. Le diverse teorie possono essere confrontate e dibattute a livello filosofico, ma sono tutte egualmente "metafisiche", sono tutte, alla pari, delle costruzioni teoriche filosofiche, analizzabili a livello concettuale, o magari filosofico-intuitivo, ma non riducibili all'"accettazione dell'hic et nunc". Qualsiasi filosofia, qualsiasi discorso, qualsiasi concetto è già un'interpretazione.
Come un maestro che critica i maestri è contraddittorio, così è contraddittorio un filosofo che critica le "certezze metafisiche" e si proclama, ma sempre facendo una precisa teoria filosofica, come difensore e garante della semplice vita al di là di qualsiasi senso astratto. Ma anche il suo invece è un senso astratto, concettuale, filosofico, metafisico, e il suo presentarsi come extra o meta-metafisco è contraddittorio e in un certo senso può essere visto anche come un imbroglio.
Sulla base di queste riflessioni, tutte le filosofie della demistificazione, della dissacrazione e della demitizzazione - dall'illuminismo, poi il positivismo, fino a Nietszche, Krishnamurti, Gray e moltissimi altri, potrebbero forse assumere l'inquietante profilo di supreme ingannatrici: proprio in quanto pretendono di insegnare a svelare gli inganni - ma, proprio nel fare questo, si pongono come nuovi Simulacri/Dogmi a cui aderire. Del resto, il caso dell'illuminismo, del positivismo e in generale di tutta la filosofia moderna razionalistica è emblematico: basta vedere cosa ha prodotto.
Ettore Fobo:
Grazie Diogene, bellissima disamina, molto chiara ed esaustiva. Non posso che essere d’accordo. Soprattutto quando scrivi che filosofi come Nietzsche hanno finito per erigere nuovi idoli, laddove cercavano di abbattere credenze (penso al mito dell’oltreuomo). Questa tendenza è avvertibile anche in John Gray, in Heidegger, in Cioran e in tutti i grandi becchini della tradizione filosofica occidentale.
Con l’espressione hic et nunc, ne sono consapevole, sottintendevo una visione (filosofica) del mondo che escludesse l’orizzonte della speranza in un aldilà.
Per quanto riguarda l’illuminismo e il positivismo, penso che la loro tendenza dogmatica sia veramente inquietante e non cessa di gettare la sua ombra sul nostro presente, in cui la scienza ha sostituito la religione come narcotico per le masse. La nostra epoca iper razionale ha molti scheletri nell’armadio, molti orrori ha prodotto e continua a produrre.
Vedo con sospetto e sgomento l’imporsi di un pensiero calcolante, attento unicamente all’utile, la crescente mania dell’efficienza, il mito stesso del progresso, idolo fra i più pericolosi, l’enorme potere conferito all’economia, scienza malefica; cresce la confusione e si fatica a orizzontarsi. Come Ceronetti, il filosofo ignoto, penso che la filosofia possa e debba essere una luce in questo buio che ha tutti i contorni della pazzia.
Cerco così, come tutti, forse, di vivere la mia vita fra le rovine della religione e le nuove cattedrali della scienza. Entrambe mi sembrano fragili, prossime al crollo … Sento inoltre che questo crollo, oltre che catastrofico, può anche essere liberatorio.
P.s.: a parte il dettaglio che è alquanto bizzarro e un po' grottesco immaginare che due spettri possano avere un blog, mi pare che per il resto il dialogo, se immaginato come avvenente fra questi due personaggi post-mitologici, spettri antichi che osservano il mondo d'oggi, sia tutto sommato stranamente coerente, estremamente divertente, e infine, mi sembra che i significati e le interpretazioni messe in gioco nel dialogo assumano un peso e un'aura diverse, un tono più inquietante ma allo stesso tempo più distaccato. Il tutto diventa una specie di semi-coerente racconto filosofico enigmatico.
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domenica 27 gennaio 2013
Sperimentazioni maieutiche/1.
Un amico scrive questo post:
http://animadidiaspro.weebly.com/1/post/2013/01/poesia-dellego-e-poesia-dellanima.html
Rispondo così:
penso che ognuno ha la sua maniera. per quanto mi riguarda, comunque, tendo a pensare che la musicalità e in particolare le rime
ci risultino spesso stanche, un pò false e stereotipate perchè viviamo in una società rumorosa, aritmica, sconnessa, tachicardica,
confusa, caotica, anti-musicale. In realtà, secondo me, in origine, anticamente, musica e poesia erano una sola cosa, e forse
persino il linguaggio quotidiano era fatto di melodie, metafore, assonanze, rime. Poi, certo, si è sviluppata la poesia come genere
letterario con i suoi canoni e le sue regole, e oggi, forse giustamente, questo rigore formale ci appare appunto come falso e
"senz'anima". Personalmente scrivo delle poesie che, nella maggior parte dei casi, sono molto musicali, sono piene zeppe di
assonanze e hanno molte rime, anche se non seguono le regole formali della poesia classica. Ma, il fatto è che a me questo viene
naturale: mi escono fuori già così, la mia anima, se vuoi, ha un linguaggio fatto così, un linguaggio-canto. Trovo invece abbastanza
ridicolo, soprattutto oggi, mettersi a scrivere intenzionalmente con lo scopo di trovare rime e assonanze, o, peggio, cercando di
rispettare strutture formali classiche come per esempio quella di un sonetto. In questi casi, il risultato non può che essere
artificioso, forzato, e suonare come falso, melenso, stereotipato o stucchevole. Sì, magari qualche esperimento a comporre un
sonetto può essere interessante e divertente, ma secondo me la poesia, soprattutto oggi, è un'altra cosa. Come dici tu, le nostre
orecchie ne hanno abbastanza di rime stereotipate e versi codificati, ciò di cui abbiamo bisogno è altro, è amore, è grido, è
sussulto,
è qualcosa di viscerale che venga dal cuore e dall'anima, che strappi un rantolo di commozione alla nostra anima sonnolenta. Mi
piacciono moltissimo le tue poesie, si sente che vengono dall'anima, e questo passa, colpisce, perfora il cuore, scuote, non lascia
indifferenti! Il fatto che le tue poesie siano diverse dalle mie non conta: ogni anima ha il suo linguaggio, il suo canto, la sua nota.
C'è più linguaggio musicale per esempio nelle tue poesie, che mi sembrano molto spontanee, sentite, urlate dal cuore, che in molte
poesie basate su una specifica ricerca tecnica di assonanze e rime.
Lo scambio di opinioni è così proseguito:
Jaspere:
In cio che ho scritto non cerà critica verso una dei due tipi di poesie. Concordo quando dici che una strofa "pensata", imposta dalla ragione è forzata. Con questo metodo,cioè con il fatto di porre forzatura all'interno della poesia si trova secondo me quello di cui parli, cioè descriviamo una nostra imposizione,un nostro schema mentale.
Al contrario io trovo le tue poesie molto belle ! E sicuramente provengono dall'anima, io trovo che assomiglino molto a quelle di Dylan. La tua anima cerca di liberare il tuo ego dagli artifici della società. Da cio che lo ingigantisce.Almeno io trovo questo nelle tue poesie.
Prendi Cocci ad esempio :
eccoci
poveri stracci
ruderi cocci
bandiere tirate a lucido
per barattare
polvere
con abbracci reali
baratri
con
baci
slacciati
delacrimati
non stracciati
Fin qui vedi la persistenza di rime è molto forte, qui stai descrivendo cio che ti imprigiona secondo me.....
eccoci
polveriere
allo sbaraglio
a
fingere
luce e
colori
per un pò d'amore
a simulare
gigantismi
grattacieli
stereoscopici
bagliori
neon
esplosivi
fuochi d'artificio
e slogan promozionali
e versi di poesia
improvvisati
per
nascondere
o
trovare
Qui invece ci sono meno rime, secondo me dentro di te, te ne stai liberando,ti stai liberando di cio che ti inprigiona, E' il momento della rilfessione inconscia.
rapsodie d'acqua
pura dentro il cuore.
Qui invece,sei arrivato alla soluzione e esplode non solo l'assenza di rime ma anche la simbologia naturale, che alla fine è qualcosa di profondo e primordiale !
Ed hai tutta la mia stima ! Perchè se pur le mie siano piene di simbolismi,descrivono solamente quello che in fondo a me è presente.E forse ad accomunare qualcuno nel sentire queste cose. Forse a scoprire queste cose anche dentro di loro. Le tue riescono a fare una cosa altrettanto bella e utile a liberare le persone da quello che le rende egoiste,superficiali.....
Non so ti ho solo descritto cio che provo quando le leggo !
Diogene:
mah non so, sicuramente nelle mie poesie c'è il tema dell'artificialità, della reclusione in schemi repressivi e in stereotipi meccanizzati, di contro alla libertà dell'anima. Non concordo però con la tua analisi, perchè per me la musicalità del verso, anche con assonanze e rime, se è naturale e non forzata, esprime, almeno nel mio caso, e anche in altri autori, proprio quello che potrei chiamare il canto naturale, spontaneo dell'anima, di contro al lingaggio quotidiano, colloquiale e non musicale. è una musicalità che può essere anche non rimata, in certi casi addirittura dissonante e rumorosa, soprattutto di questi tempi, ma è comunque una specie di canto. secondo me la musicalità della prima parte di "cocci" non esprime la falsità e le catene della mente, degli stereotipi, ma al contrario esprime il canto di un'anima stanca delle maschere, che svelando la meccanicità egoica, super-affermativa della vita moderna, trova già in questo un sollievo, una consolazione. descrivendo la forzatura sta già riappropriandosi di sè stessa e della propria voce. all'inizio è un canto consolatorio, di denuncia ma quindi anche liberatorio, alla fine c'è un'esplosione di speranza, che è pur sempre musica in parole, anche se non con rime e assonanze.
Jaspere:
Considera che è stata un analisi veloce, non molto accorta e che quello che dico non viene da certezze o studi di psicologia. Quello che dico è una mia teoria. E anche per questo che mi confronto volentieri con gli altri. Magari mi fanno notare qualcosa che non ho notato da solo ! O forse che mi sbaglio completamente.
Comunque se pur io l'abbia detto male è questo che intendevo quando ho scritto che cerchi di liberarti dagli artefici della società :
"ma al contrario esprime il canto di un'anima stanca delle maschere, che svelando la meccanicità egoica, super-affermativa della vita moderna, trova già in questo un sollievo, una consolazione. descrivendo la forzatura sta già riappropriandosi di sè stessa e della propria voce."
Descrivendolo lo rendi noto, rendi noto cio che ti imprigiona e gia questo è liberatorio per te stesso e per chi legge la tua poesia. Ma tu secondo me non ti fermi qui,vai oltre, tu trovi il modo di liberartene, di ritrovare in te quello che era nascosto dalla forzatura ! E alla fine non solo trovi speranza, ma ritrovi totalmente quello la tua anima voleva mostrarti !
Diogene:
in ogni caso io ho sempre pensato che l'autore, in particolare in poesia, non è assolutamente il detentore dei significati e delle interpretazioni "giuste" dell'opera. L'opera ha una vita propria, una volontà propria, e l'autore in un certo senso è solo il tramite che le permette di apparire. Quindi la tua interpretazione della mia poesia è giusta quanto la mia, visto che a te ti ha suscitato quello che hai descritto.
Comunque, per spiegarti meglio quello che invece sento io, ti faccio quest'altro esempio. Questa volta non è una mia poesia, ma una poesia di una poetessa che amo molto, Mariangela Gualtieri.
http://de-crea-zione.blogspot.it/2012/12/una-poesia-di-mariangela-gualtieri.html
Questa poesia della Gualtieri presenta molte rime e assonanze, e attraverso questa musicalità rende in maniera sublime l'armonia e la bellezza, la musicalità appunto, della Natura. In particolare, la triplice rima "adoro-loro-d'oro" è secondo me il centro della poesia, e il culmine dello stato di adorazione ebbra della poetessa, incantata dalla bellezza delle api.
http://animadidiaspro.weebly.com/1/post/2013/01/poesia-dellego-e-poesia-dellanima.html
Rispondo così:
penso che ognuno ha la sua maniera. per quanto mi riguarda, comunque, tendo a pensare che la musicalità e in particolare le rime
ci risultino spesso stanche, un pò false e stereotipate perchè viviamo in una società rumorosa, aritmica, sconnessa, tachicardica,
confusa, caotica, anti-musicale. In realtà, secondo me, in origine, anticamente, musica e poesia erano una sola cosa, e forse
persino il linguaggio quotidiano era fatto di melodie, metafore, assonanze, rime. Poi, certo, si è sviluppata la poesia come genere
letterario con i suoi canoni e le sue regole, e oggi, forse giustamente, questo rigore formale ci appare appunto come falso e
"senz'anima". Personalmente scrivo delle poesie che, nella maggior parte dei casi, sono molto musicali, sono piene zeppe di
assonanze e hanno molte rime, anche se non seguono le regole formali della poesia classica. Ma, il fatto è che a me questo viene
naturale: mi escono fuori già così, la mia anima, se vuoi, ha un linguaggio fatto così, un linguaggio-canto. Trovo invece abbastanza
ridicolo, soprattutto oggi, mettersi a scrivere intenzionalmente con lo scopo di trovare rime e assonanze, o, peggio, cercando di
rispettare strutture formali classiche come per esempio quella di un sonetto. In questi casi, il risultato non può che essere
artificioso, forzato, e suonare come falso, melenso, stereotipato o stucchevole. Sì, magari qualche esperimento a comporre un
sonetto può essere interessante e divertente, ma secondo me la poesia, soprattutto oggi, è un'altra cosa. Come dici tu, le nostre
orecchie ne hanno abbastanza di rime stereotipate e versi codificati, ciò di cui abbiamo bisogno è altro, è amore, è grido, è
sussulto,
è qualcosa di viscerale che venga dal cuore e dall'anima, che strappi un rantolo di commozione alla nostra anima sonnolenta. Mi
piacciono moltissimo le tue poesie, si sente che vengono dall'anima, e questo passa, colpisce, perfora il cuore, scuote, non lascia
indifferenti! Il fatto che le tue poesie siano diverse dalle mie non conta: ogni anima ha il suo linguaggio, il suo canto, la sua nota.
C'è più linguaggio musicale per esempio nelle tue poesie, che mi sembrano molto spontanee, sentite, urlate dal cuore, che in molte
poesie basate su una specifica ricerca tecnica di assonanze e rime.
Lo scambio di opinioni è così proseguito:
Jaspere:
In cio che ho scritto non cerà critica verso una dei due tipi di poesie. Concordo quando dici che una strofa "pensata", imposta dalla ragione è forzata. Con questo metodo,cioè con il fatto di porre forzatura all'interno della poesia si trova secondo me quello di cui parli, cioè descriviamo una nostra imposizione,un nostro schema mentale.
Al contrario io trovo le tue poesie molto belle ! E sicuramente provengono dall'anima, io trovo che assomiglino molto a quelle di Dylan. La tua anima cerca di liberare il tuo ego dagli artifici della società. Da cio che lo ingigantisce.Almeno io trovo questo nelle tue poesie.
Prendi Cocci ad esempio :
eccoci
poveri stracci
ruderi cocci
bandiere tirate a lucido
per barattare
polvere
con abbracci reali
baratri
con
baci
slacciati
delacrimati
non stracciati
Fin qui vedi la persistenza di rime è molto forte, qui stai descrivendo cio che ti imprigiona secondo me.....
eccoci
polveriere
allo sbaraglio
a
fingere
luce e
colori
per un pò d'amore
a simulare
gigantismi
grattacieli
stereoscopici
bagliori
neon
esplosivi
fuochi d'artificio
e slogan promozionali
e versi di poesia
improvvisati
per
nascondere
o
trovare
Qui invece ci sono meno rime, secondo me dentro di te, te ne stai liberando,ti stai liberando di cio che ti inprigiona, E' il momento della rilfessione inconscia.
rapsodie d'acqua
pura dentro il cuore.
Qui invece,sei arrivato alla soluzione e esplode non solo l'assenza di rime ma anche la simbologia naturale, che alla fine è qualcosa di profondo e primordiale !
Ed hai tutta la mia stima ! Perchè se pur le mie siano piene di simbolismi,descrivono solamente quello che in fondo a me è presente.E forse ad accomunare qualcuno nel sentire queste cose. Forse a scoprire queste cose anche dentro di loro. Le tue riescono a fare una cosa altrettanto bella e utile a liberare le persone da quello che le rende egoiste,superficiali.....
Non so ti ho solo descritto cio che provo quando le leggo !
Diogene:
mah non so, sicuramente nelle mie poesie c'è il tema dell'artificialità, della reclusione in schemi repressivi e in stereotipi meccanizzati, di contro alla libertà dell'anima. Non concordo però con la tua analisi, perchè per me la musicalità del verso, anche con assonanze e rime, se è naturale e non forzata, esprime, almeno nel mio caso, e anche in altri autori, proprio quello che potrei chiamare il canto naturale, spontaneo dell'anima, di contro al lingaggio quotidiano, colloquiale e non musicale. è una musicalità che può essere anche non rimata, in certi casi addirittura dissonante e rumorosa, soprattutto di questi tempi, ma è comunque una specie di canto. secondo me la musicalità della prima parte di "cocci" non esprime la falsità e le catene della mente, degli stereotipi, ma al contrario esprime il canto di un'anima stanca delle maschere, che svelando la meccanicità egoica, super-affermativa della vita moderna, trova già in questo un sollievo, una consolazione. descrivendo la forzatura sta già riappropriandosi di sè stessa e della propria voce. all'inizio è un canto consolatorio, di denuncia ma quindi anche liberatorio, alla fine c'è un'esplosione di speranza, che è pur sempre musica in parole, anche se non con rime e assonanze.
Jaspere:
Considera che è stata un analisi veloce, non molto accorta e che quello che dico non viene da certezze o studi di psicologia. Quello che dico è una mia teoria. E anche per questo che mi confronto volentieri con gli altri. Magari mi fanno notare qualcosa che non ho notato da solo ! O forse che mi sbaglio completamente.
Comunque se pur io l'abbia detto male è questo che intendevo quando ho scritto che cerchi di liberarti dagli artefici della società :
"ma al contrario esprime il canto di un'anima stanca delle maschere, che svelando la meccanicità egoica, super-affermativa della vita moderna, trova già in questo un sollievo, una consolazione. descrivendo la forzatura sta già riappropriandosi di sè stessa e della propria voce."
Descrivendolo lo rendi noto, rendi noto cio che ti imprigiona e gia questo è liberatorio per te stesso e per chi legge la tua poesia. Ma tu secondo me non ti fermi qui,vai oltre, tu trovi il modo di liberartene, di ritrovare in te quello che era nascosto dalla forzatura ! E alla fine non solo trovi speranza, ma ritrovi totalmente quello la tua anima voleva mostrarti !
Diogene:
in ogni caso io ho sempre pensato che l'autore, in particolare in poesia, non è assolutamente il detentore dei significati e delle interpretazioni "giuste" dell'opera. L'opera ha una vita propria, una volontà propria, e l'autore in un certo senso è solo il tramite che le permette di apparire. Quindi la tua interpretazione della mia poesia è giusta quanto la mia, visto che a te ti ha suscitato quello che hai descritto.
Comunque, per spiegarti meglio quello che invece sento io, ti faccio quest'altro esempio. Questa volta non è una mia poesia, ma una poesia di una poetessa che amo molto, Mariangela Gualtieri.
http://de-crea-zione.blogspot.it/2012/12/una-poesia-di-mariangela-gualtieri.html
Questa poesia della Gualtieri presenta molte rime e assonanze, e attraverso questa musicalità rende in maniera sublime l'armonia e la bellezza, la musicalità appunto, della Natura. In particolare, la triplice rima "adoro-loro-d'oro" è secondo me il centro della poesia, e il culmine dello stato di adorazione ebbra della poetessa, incantata dalla bellezza delle api.
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