LASCIA TUTTO, E SEGUITI! (F. Battiato) Dove tutto è enigma (storia, natura, cosmo) la certezza dell'insolubilità pone un invisibile seme di speranza. (Guido Ceronetti)

di-segno di Sacrilegio Tempesta
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pARTICOLARE DI "Autunno", quadro di Diogene senza l'anima?. Foto di Sacrilegio Tempesta.
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domenica 2 marzo 2014
Neil Gaiman, la decreazione e "Obediah il disinventore"
Neil Gaiman dà - in un certo senso - la sua personale interpretazione, ironica e fantascientifica, del concetto simoneweiliano di decreazione - o discreazione - in un singolare, bizzarro racconto brevissimo tra il fantastico puro e l'umoristico assurdo, fugace visione elettrica che appartiene in tutto e per tutto al genere del mini-racconto di fantascienza, genere tradizionalmente molto basato su colpi di scena, paradossi e imprevisti inaspettati, shockanti o comunque cortocircuiti che ribaltano le prospettive, nell'arco di poche righe o poche pagine.
Qui - in una versione eterea, leggera, ludica di questo genere - divertente nonsense fantastico fine (forse) a sè stesso - un tizio dall'aria stravolta e scarmigliata entra in un pub, ordina un whisky e dichiara di essere un "disinventore". La maggior parte della gente si allontana giudicandolo un matto, qualcuno forse per ammazzare la noia abbocca all'amo e chiede spiegazioni. Mentre lo strano individuo parla, un discreto capannello di gente gli si forma attorno, continuando ad ingrossarsi.
Obediah Polkinghorn - così c'è scritto sul suo biglietto da visita - spiega: il suo lavoro, non facile, estremamente faticoso, è "dis-inventare" tutte le invenzioni che a suo giudizio hanno avuto conseguenze nefaste sulla vita degli esseri umani, a cominciare dagli zaini volanti per andarsene in giro per aria, e dalle macchine volanti, ovviamente. Naturalmente, la "dis-invenzione" è una reale decreazione: "Discreazione: far passare qualcosa di creato nell'increato." (Simone Weil): l'oggetto, tecnica, gadget, servizio, chincaglieria, macchina, apparecchio o mercanzia semplicemente smette di essere mai esistito, e naturalmente ne sparisce anche il ricordo, o meglio forse anche il suo ricordo non è mai esistito. Paradossalmente, il dis-inventore ricorda invece tutto ciò che ha dis-inventato.
Non aggiungo maggiori dettagli perchè vale la pena di andarsi a cercare la raccolta di racconti fs di autori diversi Il fantasma di Laika (tradotto in Italia in Urania Millemondi 64, uscito quest'estate) in cui è contenuto "Obediah il disinventore" e leggerselo (ci sono molti altri bei racconti nella raccolta).
Obediah Polkinghorn si sente molto utile al mondo.
In effetti avrei una lunga lista personale di invenzioni da disinventare da proporgli, se lo incontrassi....... ....per risalire la corrente del divenire fino a un attimo di inconcepibile, magico, atemporale disfarsi dell'irreversibile, dissolvenza comica del necessario in cui ripensare, creare altri mondi possibili, ricreandosi, rilassandosi, liberandosi nel fluire di possibilità d'essere, strutture mentali, possibilità emotive de-rigidificate, de-raggelate, de-create... tornate alla possibilità dell'apertura, dell'invenzione, della creatività, della possibilità di scelta: all'orizzonte verticale, trapezista, imprendibile, insondabile, ignoto, peripeziante, avventuroso, immaginifico, funambolico, aviatore, aliante, deltaplanista, aereo, solare, sognatore, artistico, audace della libertà.
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mercoledì 8 gennaio 2014
Neil Gaiman - Nessun dove
Realismo fantasy.
E' un'espressione che ho coniato qualche tempo fa sulle pagine di questo blog, per parlare di alcuni romanzi di Haruki Murakami (Kafka sulla spiaggia e L'uccello che girava le viti del mondo) e dei romanzi di Neil Gaiman.
Espressione ricalcata sull'espressione realismo magico - con il quale ci sono alcune differenze - per parlare della possibilità oggi, nell'età postmoderna, nell'età del nichilismo, nell'età del consumismo e della società massmediatica, di ritrovare ancora la magia delle storie, delle storie fantastiche, cambiando certo la forma necessariamente, ma lasciando (forse) inalterata la sostanza, l'incanto, lo stupore, il rapimento della fantasia.
Realismo magico (o realismo fantastico) è un termine che viene utilizzato sia per descrivere determinate opere letterarie, sia per indicare, nelle arti visive, una corrente pittorica della prima metà del Novecento.
In letteratura distingue un filone letterario in cui gli elementi magici appaiono in un contesto altrimenti realistico.
In pittura identifica una visione lucidamente attonita del reale.
Il termine realismo magico può non essere visto solo come uno specifico movimento storico-geografico, infatti spesso viene inteso come un elemento di stile che può essere rilevato in una gran varietà di romanzi, poesie, dipinti e opere cinematografiche non solo del novecento. (da Wikipedia)
Il realismo fantasy in più ha una connessione più o meno diretta con la letteratura fantasy, o almeno più in generale con la moderna letteratura fantastica.
Questo è evidente nel caso di Gaiman, più nascosto, ma comunque rintracciabile, nel caso di Murakami.
Questo è evidente nel caso di Gaiman, più nascosto, ma comunque rintracciabile, nel caso di Murakami.
I romanzi del realismo fantasy normalmente partono da una situazione iniziale di banale, routinaria vita quotidiana di oggi (la situazione di equilibrio iniziale delle favole). Poi gradualmente, in maniera prima insensibile, poi sempre più chiara, quindi inevitabilmente trascinante, emergono elementi inusuali, inspiegabili, "magici", e il protagonista si vede risucchiato ad intraprendere un percorso iniziatico in una realtà che sta continuamente in bilico tra realtà quotidiana e realtà "sovrannaturale": non si tratta cioè dei soliti viaggi in dimensioni parallele, tipici di tanta letteratura fantastica, ma di una sorta di "sur-realtà" che il protagonista scopre esistere nelle zone d'ombra della comune realtà, nei luoghi nascosti della città, nelle crepe dimenticate dell'esperienza, "dimensione" non separata, ma presente nella nostra, ad appena un passo.
Nel caso di Murakami, la "magia" è appena qualcosa di inusuale, estraneo, enigmatico, eppure dalle conseguenze dirompenti; più che "magie" in senso stretto succedono miracoli: non è chiara la causa, nemmeno sovrannaturale, tutto si muove in uno spazio indefinito - L'uccello che girava le viti del mondo si svolge (quasi) interamente all'interno dello stesso quartiere di Tokio ai nostri tempi, e apparentemente non succede niente, niente di spettacolare e pirotecnico, eppure nello stesso tempo si dipana una vera e propria epopea fantasy, con nemici sovrannaturali, un eroe che deve trovare il suo Potere, aiutanti magici, Prove: c'è perfino la principessa rapita da salvare.
Certo è un'epopea fantastica post-moderna: in realtà, alla fine del romanzo, potrebbe realmente non essere successo niente, niente di eclatante, tutta la lotta epica tra Bene e Male si svolge su un piano estremamente sottile di realtà, appena a un passo dalla realtà "normale". Gli aiutanti magici ci sono, ma non sono elfi o fate - oppure, sono versioni postmoderne di elfi o fate, mascherati sotto volti certo strambi e inusuali ma tuttosommato apparentemente non paranormali. Il Male, nelle sue incarnazioni magico-demoniache, c'è, ma si nasconde tra le alte sfere del capitalismo giapponese, e non ha, apparentemente, aspetti sovrannaturali.
Il caso di Nessun dove di Gaiman è un po' diverso.
Qui c'è una vera e propria realtà parallela, con personaggi molto fuori dal "normale" ed esplicitamente, innegabilmente dotati di diversi e vari poteri magici e qualità sovrannaturali o comunque lontane anni luce dalla "realtà".
Tuttavia rimane il realismo: questa dimensione si trova nelle pieghe nascoste della realtà di tutti i giorni: Londra Sotto, con le sue fogne, metropolitane, labirinti, sotterranei, è abitata quanto Londra Sopra, anche se da gente molto diversa, gente decisamente strana, secondo quello che sarebbe il nostro giudizio, e variamente magica: tra i tanti, i Parla-coi-Ratti, un popolo che appunto comunica quotidianamente coi ratti, una ragazza con l'aria da elfa che con la sola forza di volontà può aprire qualsiasi porta, Hunter, una cacciatrice che ha ucciso il Grande Re Alligatore Bianco e Cieco nelle fogne di New York e una tigre nera nella sottocittà di Calcutta; monaci assassini, un angelo che si ricorda di Atlantide, due sicari spietati che uccidono gente da diversi secoli, etc...
Un popolo, o meglio diversi popoli, che vivono a un passo dalla Londra abituale, in certi casi negli stessi spazi (per esempio la metropolitana) e che noi non percepiamo non perchè abitino realmente un'altra dimensione, ma perchè sono così strani che la nostra mente non li registra, se li nota per sbaglio li rimuove immediatamente.
Anche qui Nemici (reali incarnazioni del Male in senso assoluto) dai poteri magici, aiutanti ugualmente dotati di poteri magici o comunque straordinari (per esempio la guerriera Hunter) oggetti magici, e un vero e proprio percorso iniziatico fiabesco del protagonista in cui egli subisce delle trasformazioni potenti: da ragazzo dalla vita mediocre e dal carattere gentile ma debole, un po' qualunquista, l' "eroe" (in un senso straordinariamente contemporaneo, credibile per noi, postmoderno) cresce e supera Prove e percorsi che lo portano a traguardi interiori ed esteriori per lui fondamentali.
Questa gente della Londra di sotto ha in comune una cosa, che mi pare uno degli elementi più originali del libro: hanno tutti l'aspetto di outsider, reietti della nostra società, anche quando stiamo parlando di Re, Guerrieri, Maghi o Esseri Fatati: in effetti sono degli outsider, rispetto a Londra Sopra: ma è l'intera loro società, l'intero loro mondo ad essere outsider, con i suoi Re, i suoi Maghi, i suoi Cavalieri, e le sue regole, leggi e possibilità estremamente diverse dalle nostre.
Nessun dove è perciò una specie di rivincita del mondo degli outsider: non solo tolto alla sua marginalità, e posto come centro di sè stesso, con altre leggi, altri usi e costumi, altre leggi fisiche - ma descritto come un mondo estremamente più ricco, più vario, più smisurato del nostro - un mondo in cui la vita è decisamente più appassionante, intensa, sensata e piena. Non un mondo ideale, tutt'altro - al contrario, un posto pieno più del nostro di pericoli, tranelli, insidie mortali - ma un posto in cui la Magia ha conservato ancora intatto tutto il suo Potere.
La Magia...e cioè...???
La Magia...e cioè...???
E cioè, la Fantasia.
In questo mondo, più duro del nostro, con Prove e Nemici certo più insidiosi delle prove e dei nemici delle nostre vite comuni, la Fantasia ha però ancora intatto tutto il suo Potere infinito.
E se la Magia, la Magia delle fiabe e dei romanzi fantastici è la Fantasia, e se è solo grazie ad Oggetti Magici e Aiutanti Magici che i protagonisti di queste storie riescono a superare le loro Prove, e quindi a vincere i propri Ostacoli Interiori, a conquistare il proprio Potere e a Crescere, ne consegue qualcosa di paradossale: la Fantasia, lungi da essere qualcosa che ci terrebbe in uno stato infantile, sarebbe l'unico Strumento per uscire simbolicamente dall'Infanzia, affrontando e vincendo le terribili Prove che questo comporta, sostenuti da potenti Immagini Archetipiche interiori, quelle appunto del mondo della Fantasia e dei Simboli.
Non sarà allora proprio per il nostro cinismo, materialismo, nichilismo, che viviamo in una "società degli eterni adolescenti"?
Tutte le società antiche erano intessute in ogni loro aspetto di Immaginazione: l'uomo popolava l'universo di Dei ed esseri fatati, demoni, eroi, semidei, luoghi od oggetti magici, miti, leggende, fiabe.
E il passaggio da una fase all'altra della vita avveniva in maniera naturale, assistito da simboli e riti creduti eterni.
Benvengano allora romanzi come questo, che riescono, in chiave postmoderna e adattata al nostro mutato immaginario e alla nostra mutata sensibilità, a riaprire le porte di quella che Michael Ende avrebbe chiamato "Fantásia", a ripopolare di magia le nostre metropoli spente e spettrali, a ripopolarle di mistero, di enigma, di indefinito.
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lunedì 15 ottobre 2012
Esibire le atrocità - e - percepire la Bellezza (quasi un proto-abbozzo di manifesto artistico-poetico).
"Sì, in me, e fuori, vertigine e tenebre.
Ma in me e fuori
tanto frutto e vittoria di colori
che, se anche vuoto
il mio capo giace sulla pagina
che reca l'altra luce della luna,
anche se il cuore turbato ne sente
le alte porte cadute, ah, tu, clemente
di fontane, di selve sempre gemmea
mia terra, tu di crisantemi
folta, tu che scemi
in un circolo esile di sogni
e di sospiri,
del tuo latte mi sazi, mai sazio,
e mi riarmi di tutto il tuo spazio
cui giustamente dà fiore la luna
nota, e l'altra che ora
di sé svelata le menti innamora."
(A. Zanzotto, da Palpebra alzata,
contenuta in IX Ecloghe)
Questo articolo vuole, fra le altre cose, essere una risposta - solo parzialmente polemica - all'articolo "La mostra delle atrocità - James Graham Ballard" di Ettore Fobo - il quale è una recensione dell'omonimo (post-)romanzo di Ballard e anche una riflessione sul destino del romanzo contemporaneo.
L'articolo è molto interessante, perciò rimando direttamente ad esso, sul blog di Ettore Fobo:
http://ettorefobo.blogspot.it/2012/10/la-mostra-delle-atrocita-james-graham.html
Faccio qui soltanto una sintesi brevissima del punto della questione.
"Ha ancora senso il romanzo, come opera artistica, oppure esso è diventato puro consumo
di storie inutili e di personaggi ridotti a cliché logorati dall'uso?"
Si chiede Ettore Fobo.
"Io personalmente penso che il romanzo oggi conservi la sua potenza espressiva solo nel
tentativo di superarsi e di deformarsi.", continua.
questa forma è entrata in crisi, pur seguitando a dare alcuni isolati straordinari risultati)
la porta consapevolmente al limite", "riscrivendo il modello di romanzo a cui siamo
nuove impensate forme attraverso la sperimentazione.
stilistica che decompone i modelli letterari prestabiliti, e una testimonianza della
cui viviamo.
Fin qui l'articolo sul blog Strani giorni.
Ma io voglio portare un contro-esempio.
Nel 2011, a 83 anni, Guido Ceronetti scrive In un amore felice, suo primo romanzo.
Lo sto leggendo.
Non ha niente di sperimentale. E' un romanzo classico. La scrittura è cesellata con
dettagliata precisione lirica, come un manoscritto miniato intarsiato di elaboratissimi
iper-particolareggiati geroglifici, ora divenendo vera e propria poesia in prosa, ora scorrendo
rapida ad incalzare e sostenere il ritmo della storia. E la storia, nel complesso, appunto
scorre, è avvincente, appassionante, la si divora, la segui col fiato sospeso volendo sapere
cosa succede dopo, come si addice a una "semplice" storia, come si addice a un romanzo
classico, come si addice a un bel romanzo.
E' "semplicemente" una storia d'amore (nonostante tutto, nonostante il mondo,
estremamente ottimista); una "semplice" storia di fantascienza, con tanto di alieni,
suspence, misteri da svelare; ma anche un romanzo filosofico, filosofico-poetico,
fantascientifico-simbolico, filosofico-ermetico.
Uno sguardo sull'Enigma senza soluzione della vita e dell'Universo.
Eppure lo sto leggendo con la stessa immedesimazione immediata, emozionata, con la
stessa trepidante partecipazione con cui da bambino leggevo Salgari o il Ciclo della
Fondazione di Isaac Asimov.
Non posso che sospendere il giudizio perché non l'ho ancora finito, ma per il momento mi
sembra un romanzo stupendo, una storia avvincente e semplice nel suo sviluppo
coinvolgente, come per un bambino la fiaba - seppure trascini con sè e ponga sul tavolo
questioni filosofiche e spirituali profondissime, dentro il mistero delle quali scruta con
sapienza abissale. Ma lo fa con una storia d'amore, una storia di fantascienza che nel suo
sviluppo è, dal punto di vista narrativo, estremamente classica.
E se ciò che avesse esaurito i suoi giorni fosse invece lo sperimentalismo d'avanguardia
novecentesco, con la sua famelica ansia - certo nel novecento necessaria e vitale - di
sovvertire e distruggere a tutti i costi regole e codici?
Ho visto di recente Lisbon Story di Wenders.
Uno dei personaggi, regista cinematografico, andato a Lisbona per girare un film sulla città
con una cinepresa a manovella dei primi del novecento, gradualmente mentre comincia le
riprese sente che ciò che sta facendo non ha senso: le immagini non catturano nulla della
città. La città invece sembra ritrarsi, quasi ferita, di fronte allo sguardo della sua cinepresa.
Perciò decide di abbandonare il suo progetto originale, e optare per quella che gli sembra
l'unica maniera di preservare uno sguardo "puro", un'immagine "pura", nell'età della
compravendita delle immagini, del consumo onnipresente delle immagini, della diffusione
massificata onnipresente dei video e delle immagini, della stereotipizzazione banalizzante,
meccanica e depauperante - pubblicitaria, televisiva, holliwoodiana - delle immagini e delle
storie raccontate per immagini.
Questo progetto registico alternativo consiste nel mettersi una videocamera nascosta dietro
le spalle e girare a piedi per la città, senza pensare alla videocamera, dimenticandosene,
senza scegliere cosa riprendere né successivamente selezionare il girato - e infine - arriva a
questa conclusione: le immagini prodotte dalla videocamera, per restare "pure", non
dovranno essere mai guardate da nessuno. Neanche da lui.
Forse in una lontana era futura qualcuno le avrebbe guardate come misteriosi,
incontaminati reperti archeologici del nostro tempo.
Il protagonista, fonico cinematografico, arrivato a Lisbona per lavorare con lui al primo
progetto (cioè per fare i suoni al film "muto" girato con cinepresa anni '20), dopo alcune
settimane passate a cercarlo inutilmente (ormai il regista vagava giorno e notte per le
strade con la sua videocamera dietro le spalle) e a registrare suoni di tutti i tipi per le strade
della città, alla fine lo trova e riesce a convincerlo a tornare a lavorare insieme a lui al primo
progetto.
Gli dice - registrando la sua voce sul nastro di una videocassetta: "il cinema è ancora in
grado di raccontare attraverso le immagini storie che commuovono." (più o meno, non sono
le parole testuali).
Storie.
Immagini.
Due delle cose che la letteratura e l'arte del novecento hanno coscientemente distrutto -
perchè le percepivano come una fetida gabbia stantia ormai putrefatta.
Warhol ha girato nel 1964 un film, Empire, consistente in una inquadratura fissa in bianco
e nero, in slow motion, dell'Empire State Building di New York - neanche tanto bella, quasi
inquadrata a caso, o comunque senza nessuna ricerca o pretesa estetica - della durata di
8 ore e 5 minuti.
inquadrata a caso, o comunque senza nessuna ricerca o pretesa estetica - della durata di
8 ore e 5 minuti.
Tutta l'arte contemporanea ha distrutto le immagini, la bellezza in immagini, l'arte
rappresentativa, prima, poi anche la bellezza astratta, perché nel deserto nichilista in cui
viviamo, nella società dei consumi in cui viviamo, dove tutto è prodotto pubblicitario
riproducibile in maniera massificata, le ha percepite come false.
Fontana ha squarciato le sue tele, e quale potenza espressionista, quale tragica forza emana da quelle tele!
Esprimono lo squarcio del presente, il niente del deserto, la morte di Dio, il silenzio angosciato dell'assenza di risposte, il mistero assoluto di fronte al quale non abbiamo punti di riferimento.
Gran parte della letteratura del novecento ha fatto lo stesso con i modelli letterari, ma anche proprio con il concetto di storia, con le storie, con la narrazione.
L'esempio più divertente (che coinvolge stravolgimento di narrazione, di struttura, perfino della lingua, della grammatica, dell'ortografia e del vocabolario) è I fiori blu di Queneau: un capolavoro post-surrealista di puro gioco linguistico, puro nonsense, dove storia e significato scompaiono nel puro piacere divertito, gioioso, della glossolalia narrativa.
Ma anche Se una notte d'inverno un viaggiatore di Calvino (che però in realtà sembra esprimere una grandissima passione, e una grandissima nostalgia, per le storie).
Esempi estremi, fra gli altri, sono le varie sperimentazioni letterarie che prevedono la possibilità di leggere le parti di un romanzo in ordini diversi, casuali o decisi dal lettore (per esempio Composizione n. 1 di Marc Saporta è un romanzo - come altri romanzi sperimentali - in cui le pagine sono sparse e non hanno un ordine: il lettore decide in quale ordine leggerle).
La musica ha fatto lo stesso con la melodia e l'armonia, prima con la dodecafonia, che ha fatto a pezzi l'armonia e la melodia classiche, fino ad arrivare a Cage e Stockhausen, che teorizzano il rumore casuale come musica.
Imaginary landscape no. 4, del 1951, è una composizione di Cage per dodici radio. Ogni radio è controllata da due esecutori, uno sintonizza la frequenza, l'altro cambia il volume, seguendo le indicazioni della partitura. I risultati sono sempre differenti e imprevedibili.
Nel 1952 invece Cage compone 4'33”, composizione per qualsiasi strumento. L'opera consiste nel non suonare lo strumento.
Battiato, nel '78, compone un pezzo per piano, L'Egitto prima delle sabbie, che consiste nella ripetizione di una rapida scala - sempre uguale. Varia solo l'intervallo di pausa fra le scale identiche e gli effetti di risonanza dovuti all'uso dei pedali. Fra l'altro è un brano bellissimo, pur non avendo in pratica una vera e propria melodia riesce ad avere una grandissima evocatività lirica.
Il Dadaismo mette una ruota su un piedistallo e il Nuovo Realismo degli anni '70 usa la realtà come materiale artistico, per esempio strappando pezzi di cartelloni pubblicitari per riappiccicarli in maniera creativa, o rivestendo monumenti di teli di plastica.
Warhol fa arte con le foto di Mao, colorandole di fosforescenti toni pubblicitari.
Un'altra opera di Warhol, Oxidation Painting, del 1978, è una tela verniciata su cui Warhol e amici hanno urinato, producendo ossidazione e quindi cambiamento di colore nei punti colpiti.
Tutto è arte.
Anche i barattoli di salsa Campbells.
(E anche la merda d'artista, commenterebbe sarcastico Piero Manzoni).
Tutto è arte.
Non solo ciò che è stato tradizionalmente codificato come tale e come "bello" secondo canoni di bellezza ormai percepiti come decrepite illusioni cadaveriche.
L'Arte esce dai musei, diventa per esempio performance, ma distrugge anche consapevolmente modelli estetici percepiti come finti e asfissianti, o comunque superati, morti. Ma facendo questo ha forse ucciso, o contribuito ad uccidere, la Bellezza. O quantomeno, non l'ha resuscitata.
Alla stessa maniera, anche il Rumore è musica, e un grattacielo ripreso per otto ore con inquadratura fissa è cinema (o arte, cambia poco).
Per quanto riguarda invece la narrazione cinematografica, la trama dell'angosciante capolavoro di Antonioni Blow Up consiste tutta nell'indagine del protagonista sull'irrealtà della realtà, l'irrealtà dei fatti, l'irrealtà e la disgregazione quindi anche delle storie.
Anche in poesia i canoni sono sovvertiti, la stessa musicalità dei versi è spesso avvertita
come obsolescente, dai futuristi alle cose più sperimentali di Zanzotto è tutto un continuo
rompere, spaccare ritmi conosciuti, dilaniare le melodie classiche del verso per ottenere
una lirica che sia una secca ma autentica testimonianza della vita contemporanea, della
vita nelle "giungle delle città d'asfalto".
Le immagini sono false, le storie sono false, l'armonia e la melodia sono false, le rime sono
false.
Sono tutte varianti della morte di Dio, espressioni del deserto di vuoto siderale in cui
esistiamo.
Eppure, le storie davvero non sono più possibili?
Certo, sono da reinventare, ma davvero le storie e i romanzi, le storie-storie, con una
narrazione coerente e unitaria, con protagonisti-personaggi-trama-sviluppo-ostacoli-
antagonisti etc... sono morte?
Il romanzo-romanzo di Ceronetti, voce antica, voce vecchia, voce inattuale, promette
decisamente bene.
Alla stessa maniera in cui Lisbon Story, pur reinventando il cinema, pur essendo
decisamente innovativo e originale, anzi decisamente - in tutto e per tutto: strano, anche
estraniato, enigmatico - a tratti alienato e alienante - eppure nonostante questo è un film
classico e un omaggio al cinema classico, una avvincente storia per immagini, anche se
non succede quasi niente. Ha la freschezza, la purezza, la vitalità, la bellezza
del cinema dei primordi e di quello dei grandi maestri classici come Fellini, a cui il film è
dedicato.
La fotografia di Lisbon Story è fatta di straordinari dipinti.
Nel film non succede quasi nulla, eppure l'effetto di identificazione con la storia (per
quanto sui generis), col protagonista (in certi momenti ti sembra di essere lì a Lisbona) è
perfettamente riuscito.
Forse, chiunque oggi si dedichi a creare Arte, cinema, Poesia, Musica, letteratura, ha il
compito - non più di distruggere statici codici ormai trapassati nell'inutile - questo è già
stato fatto - e ampiamente anche - ma di ricostruire, reinventandole, storie, versi, immagini,
melodie - che sappiano essere testimoni della verità viscerale di chi le crea e del tempo in
cui vive, con i suoi orrori, le sue atrocità, la sua assenza di senso, la sua grottesca
assurdità - ma che sappiano anche di nuovo riconvocarci al luogo meravigliato
del dovere più grande: percepire la Bellezza.
Post Scriptum:
Del resto il caso di Ceronetti non è certo l'unico.
Per esempio, Haruki Murakami ha scritto negli ultimi decenni diversi eccezionali romanzi.
Del resto il caso di Ceronetti non è certo l'unico.
Per esempio, Haruki Murakami ha scritto negli ultimi decenni diversi eccezionali romanzi.
Il migliore, fra quelli che ho letto, è sicuramente L'uccello che girava le viti del mondo.
Capolavoro di "realismo magico", o meglio forse quasi "realismo fantasy", è un'epopea
fantasy che si svolge quasi tutta nello stesso quartiere residenziale di Tokyo negli anni '80.
Elementi magico-fantastici scivolano gradualmente e in maniera all'inizio impercettibile, poi
completamente naturale e credibile nelle tranquille giornate routinarie di un disoccupato
giapponese. Vicende fantastiche, che in realtà paradossalmente non si allontanano mai
veramente dalla realtà quotidiana - con valori simbolici psico-esistenziali, storico-culturali
(relativi al Giappone contemporaneo) e filosofico-metafisici profondissimi - ma che sono
innanzitutto avventure, storie coinvolgenti come narrazioni mitologiche - un'odissea
contemporanea, un percorso in cui il protagonista affronta prove iniziatiche e faticosa
conquista di sé come in un racconto cavalleresco medievale, una fiaba o una leggenda
tradizionale.
Un'altro esempio è Neil Gaiman, che, dopo aver scritto Sandman (il Signore del Mondo
dei Sogni, l'unico mondo dove le Storie - nella accezione più tradizionale e archetipica -
hanno ancora un senso e un valore magico), il fumetto con valore letterario più grande che
io abbia letto - si è dedicato negli ultimi vent'anni ai romanzi, sia per ragazzi che per adulti.
Io ho letto uno di questi ultimi, Nessun dove.
Anche qui una specie di realismo magico o fantasy.
Universi paralleli coesistono a un passo dal - o dentro al - nostro.
Universi fantastici abitati da simbologie sociologiche e psicologiche, ma innanzitutto da
storie, sogni, avventure mirabolanti che sono il contraltare della normalità e della piatta
quotidianità borghesi.
Anche qui un universo magico-fantastico, mitologico, che in realtà non si allontana dalla
realtà di tutti i giorni, si nasconde fra le sue pieghe, nei suoi angoli bui e nascosti -
dimenticati.
Le storie di Gaiman sono come il racconto divertito di dei ubriachi o folletti ridanciani - o
versioni post-moderne di dei e folletti - che ti fanno capire segreti e verità eterne con un
motto ilare o uno scherzo ben riuscito - dotati di uno sguardo superiore e quindi distaccato
sul mondo umano, ma contemporaneamente estremamente benevolo e affezionato agli
esseri umani.
Le vicende vissute dai personaggi di Murakami invece sono più degli incomprensibili
inquietanti frammenti di enigma, di cui sfugge lo scopo e il senso, ma attraverso le cui
impenetrabili nebbie si intuiscono comunque sprazzi di significati e di disegni superiori, una
guerra epica fra Bene e Male su di un campo dove si sono perse certezze metafisiche e
esistenziali, ma nel buio del quale - anche grazie all'aiuto di strani personaggi-alleati
e di bizzarre, inspiegate coincidenze magiche - si riesce comunque a fiutare la buona pista
della direzione da prendere per realizzarsi.
Insomma, più ancora del romanzo - nella sua determinata forma storicamente data, di
matrice ottocentesca - che comunque secondo me ha ancora moltissimo da dire - ciò di cui
più mi preme sottolineare il valore attualissimo, urgente, vivo - è la magia delle Storie, nella
loro dimensione eterna e archetipica - certamente molto più presente nel romanzo di
Ceronetti o in quelli di Murakami o di Gaiman, che non in esperimenti principalmente
intellettual-letterari, figli di una crisi culturale che - anche se profonda, radicale, viscerale,
sconvolgente, e plurisecolare - è solo un brevissimo incubo destinato ben presto a essere
dimenticato - se rapportata all'Eternità dell'Essere, come scriveva nel 1952 Ernst Jünger.
http://www.youtube.com/watch?v=o5aBg0CZSJ0&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=m4n1t1TOWq0&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=KSfQzAje1js&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=T-T83DoeGkQ&feature=relmfu
http://www.youtube.com/watch?v=f3PerEBCVrY&feature=related
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http://www.youtube.com/watch?v=T-T83DoeGkQ&feature=relmfu
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