di-segno di Sacrilegio Tempesta

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pARTICOLARE DI "Autunno", quadro di Diogene senza l'anima?. Foto di Sacrilegio Tempesta.
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giovedì 8 maggio 2014

La natura è una foresta di simboli-


"La natura non è un posto da visitare, è casa nostra. I nostri corpi sono selvatici. Il gesto involontario e rapido di girare la testa se udiamo un grido, la vertigine se vediamo un precipizio, il cuore in gola nei momenti di pericolo, il riprendere fiato, i momenti di quiete, quando ci rilassiamo e riflettiamo: sono tutte risposte universali di questo corpo mammifero...

Ci sono più cose nella mente, nell’immaginazione, di quante ne possiamo controllare: pensieri, ricordi, immagini, rabbia, delizie, sorgono non chiamati. Le profondità della mente, l’inconscio, sono le nostre aree selvagge interiori, il luogo dove la lince si trova in questo esatto momento. Non intendo linci personali dentro psichi personali, ma la lince che si muove di sogno in sogno.

L’agenda pianificata dell’io conscio occupa un territorio molto esiguo, una celletta accanto al cancello interno della mente, e conserva qualche traccia di quel che entra ed esce e il resto si arrangia da solo. Il corpo sta, per così dire, dentro la mente. Entrambi sono selvatici. Le lezioni che impariamo dal mondo selvatico diventano il galateo della libertà.

Possiamo godere della nostra umanità, del suo cervello favoloso e della sua sessualità vibrante, le sue ambizioni sociali e i suoi malumori ostinati... Possiamo accettare gli altri come esseri uguali a noi, che dormono a piedi nudi sulla stessa terra. Possiamo rinunciare alla speranza di diventare eterni e smettere di combattere la sporcizia.

Possiamo tenere lontane le zanzare e i parassiti senza odiarli. Senza aspettative, attenti e sufficienti, riconoscenti e premurosi, generosi e diretti. Calma e chiarezza ci appartengono nel momento in cui, tra un lavoro e l’altro, ci puliamo le mani dal grasso e guardiamo in alto le nuvole che passano. Un’altra gioia è prendere finalmente una tazza di caffè con un amico.

Il mondo selvatico ci chiede di conoscere il terreno, di dare un cenno di saluto a tutti gli animali, a piante e uccelli, di attraversare i torrenti e salire sui crinali e di raccontare una bella storia quando torniamo a casa”.

(tratto da "La pratica del selvatico" di Gary Snyder, poeta, ambientalista e saggista statunitense, teorico dell'ecologia profonda e del bioregionalismo)

lunedì 9 dicembre 2013

"Sacro mi sia, allora, lo sterpaio disordinato dove trovano rifugio le serpi e le vipere, che del loro veleno ho decisamente meno paura e più rispetto."

"Era primavera e tanto giallo abbaglia. Giorgio rimase estasiato e fermò l'auto per avvicinarsi, guardare, camminarci in mezzo. Immaginava di poter cogliere il ronzio degli insetti già a distanza, com'era capitato anni prima, ma non fu così. Immaginava che nuvole di api abitassero gli stimmi soleggiati, ubriache di nettare e pollini squisiti. Rimase attonito quando si rese conto che l'unico rumore era quello dei petali e delle foglie tenere al vento. 

Annusò l'aria, e un odore acre e pungente lo ferì. 

La terra era vuota di qualsiasi altra vita che non fossero lei, la Colza. Allora capì: su quella coltura era stato sparso con dovizia un insetticida. Giorgio prese alcuni fiori, e li portò al laboratorio. L'insetticida utilizzato era un derivato della dieldrina. 

Non sono ancora finiti i tempi in cui l'uso di pesticidi, prospettato come necessario alle produzioni agricole dalle multinazionali, assume le forme di vero e proprio consumismo. Gli agricoltori, plagiati dalle pressioni di mercato e dalla paura di veder perduto un raccolto su cui, erroneamente, son già stati spinti a investire più del dovuto, finiscono per attuare interventi pesanti senza rendersi conto delle reali conseguenze dei loro atti. In questo caso, ad esempio, la sola presenza delle api garantirebbe alla Colza un'impollinazione massiccia e un incremento della produzione fino al 90%; somministrare insetticidi per abbattere minacce spesso solo ipotetiche e sovrastimate in grado di compromettere il 30% della produzione per rinunciare al 90% è un pò come darsi la zappa sui piedi. E per un agricoltore è davvero il colmo. Ma, tant'è....
Il Giorgio del racconto è Giorgio Celli, etologo, studioso e scienziato. Lui è ancora vivo, ma le api e gli altri insetti del racconto sono tutti morti. E la dieldrina è finita nella terra, nella Colza, nell'aria, nelle falde acquifere.

Quando ci fermiamo estasiati a mirare un campo esteso di fiori tutti uguali, per quanto bella possa essere quell'immagine, ricordiamoci che forse nasconde un veleno. O più di uno. 

Sacro mi sia, allora, lo sterpaio disordinato dove trovano rifugio le serpi e le vipere, che del loro veleno ho decisamente meno paura e più rispetto." (Primiana Leonardini Pieri, dalla sua pagina Facebook, con il permesso dell'autrice)