di-segno di Sacrilegio Tempesta

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pARTICOLARE DI "Autunno", quadro di Diogene senza l'anima?. Foto di Sacrilegio Tempesta.
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venerdì 14 febbraio 2014

Un mondo in pericolo


"Se l'ape si estinguesse, all'uomo resterebbero solo quattro anni di vita." (Albert Einstein)


Il 6 Marzo esce anche in Italia il dvd di "Un mondo in pericolo", un documentario pare molto bello sulle api, la loro società, il loro rischio di estinzione, e le possibili, disastrose conseguenze di questa funesta eventualità.


Qui il trailer:

http://www.youtube.com/watch?v=-KjfWbO4BX8&feature=c4-overview&list=UUi1KSLoeAe0bbB1FWCxLiNQ

La pagina Facebook dedicata al film:

https://www.facebook.com/unmondoinpericolo

venerdì 11 ottobre 2013

Di che abbiamo bisogno???

Quando chiesero al maestro Zen Thich Nhat Hanh « Di che abbiamo bisogno per salvare il nostro mondo ? », si aspettavano che identificasse le migliori strategie per intraprendere un’azione sociale e ambientale.
Ma Thich Nhat Hanh rispose :
« Ciò di cui abbiamo più bisogno è ascoltare in noi stessi l’eco della Terra che piange ».
 tratto da Macy Joanna et Young Brown Molly,
“Echopsycologie pratique et rituels pour la Terre”, édition le Souffle d’Or, 2008.

                             - dal sito:


http://ecopsy.ch/




 

lunedì 7 ottobre 2013

Terra Guasta, deserto, "periferia senza centro", cosmopoli, non-luogo

Un esempio della devastazione di luoghi e culture da parte della “modernità incivile”, in questo caso in un territorio particolarmente "squassato", il Sud Italia.
 Nella fattispecie, una parte della costa calabra occidentale, striscia di terra tra la Sila e il Tirreno, trasformata in non-luogo vacanziero, deserto fantasma abbandonato d'inverno, preda di assalti di massa d'estate; preda sempre della speculazione edilizia che distrugge paesaggio e tracce storiche dell'abitare umano; "periferia senza centro", un'enorme periferia marittima devastata, paesaggio trafitto dalla moltitudine delle seconde case affiancate in serie, della gente che viene da Cosenza - che fino a trent'anni fa non comunicava neanche con questa zona; non-luogo disperso, alienato, a-locale, "terra desolata" dal paesaggio cancellato e dal territorio incancrenito.

Lettura devastante e necessaria. Impressioni di un'apocalisse di Settembre.

 “Scegliete di arrivare più lontano”
(pubblicità, cartello stradale, SS 18)



“L’efficienza riparte da nuovi valori”
(pubblicità, cartello stradale, SS 18)




http://comunitaprovvisorie.wordpress.com/2013/09/27/impressioni-di-settembre/#comment-3691







lunedì 19 agosto 2013

Poesia e Paesologia-



Splendida poesia di Franco Arminio. Poeta e paesologo.

Il Sud Italia, la devastazione di territori squassati e sradicati, preda della modernità più dis-animata, calvario inebetito di smog e rumore, traffico e cemento.

I paesi e la loro cultura abbandonati o uccisi.

" (...)

 Prima ogni posto aveva un suo respiro
e per vederlo salivi le scale,
ogni luogo era una stanza intima,
lingua cupa, mandibola
feroce. Ora in giro c’è un’aria
di sconfitta, un rosario di facce
innervosite da una smania senza fondo.

(...)"

                             (Franco Arminio)



 Qui la poesia completa:


http://comunitaprovvisorie.wordpress.com/2013/08/11/limpero-romano-alla-rovescia/#comment-3642



venerdì 22 marzo 2013

W. Herzog: Dove sognano le Formiche Verdi-

Un film sul Silenzio.

Il Silenzio della Fine.

Il silenzio del Deserto, della Terra spaccata dalla nostra dinamite, dai nostri ascensori, dai nostri supermercati, dai nostri cellulari, dal nostro rumore, dalle nostre chiacchere inutili.

Il Silenzio della Terra, che si prepara a deflagrare per annientare i suoi carnefici.

Il Silenzio delle Formiche Verdi, che hanno smesso di Sognare, e, sveglie, volano a sciami enormi, giganteschi, oscurando il cielo, per distruggerci, per distruggere chi ha ferito mortalmente la Terra e dissacrato i suoi Luoghi Sacri.





Un margine, è lasciato, per sognare, la possibilità, che oltre l'orizzonte, oltre la Fine, nel Silenzio, nuovi Inizi - stanno incubando nella Terra del Sogno.








Ma ovunque regna e regnerà il Silenzio.

Le chiacchere non bastano più a coprire l'assordante frastuono del suo enigma, quel frastuono che riempie di terrore di disperazione e di abisso i volti degli aborigeni australiani in questo film, volti scavati nella roccia, nella terra, nell'orrore di chi questo Abisso lo percepisce chiaramente, perchè è da sempre connesso con la terra, le radici della Visione sprofondate nell'Anima del Deserto.

Sguardi persi nella Visione dell'Apocalissi.



Guardiani del Tempio.



Immobili seduti a guardare in silenzio la Fine che avanza, cercando di difendere lo Spazio Sacro, la Terra Sacra fuori e dentro di loro-




Guardiani inerti, inermi, con le mani incatenate-






-O forse non tanto-


Guardiani che sapranno difendere il Cuore della Terra, il Sogno, attraversando l'Apocalissi verso la terra oltre l'orizzonte dove sono volate le Formiche Verdi.




-traghettatori, forse-

-Forse solo apparentemente impotenti-


-



-Intanto, le parole si inceppano, gli ascensori si fermano, gli orologi digitali cominciano a squillare all'improvviso, la Macchina si spacca, gli ingranaggi vanno in tilt, il sistema economico impazzisce, l'Automa collassa, e appare sempre più evidente che ogni parola, ogni discorso, ogni azione sono completamente inutili e fuori luogo, nel moltiplicarsi fragoroso del Silenzio che si approssima.








"Ma allora è tutto inutile?" commenta a fine film Sacrilegio.



Dopo un po' di titubazione, nell'inquietudine estrema che lascia questo film, con poc voglia di parlare, di dire una cosa qualsiasi, provo a mormorare il detto ebraico: "Chi salva una vita salva il mondo intero."





-Risuona incerto questo filo di speranza.








Ma forse, nel prenderci cura di un cane, una persona o una pianta, nel coltivare piccoli Sogni con la nostra piccola, attenta, microscopica passione, possiamo - io spero - farci simili ai Guardiani delle Formiche Verdi, inamovibili moniti sacri con il cuore sprofondato nel Cuore della Terra. Custodi esili. Sacerdoti minimi. Silenziosi strambi sacerdoti del piccolo.


"Anche per Dostoevskij [oltre che per Nietzsche] la prognosi è ottimistica; egli non vede nel nichilismo la fase ultima, mortale, ma anzi lo ritiene guaribile e, precisamente, guaribile attraverso il dolore. Il destino di Raskol'nikov fa vedere, prefigurandola, la grande trasformazione che coinvolgerà milioni di uomini. Anche qui si ha l'impressione che il nichilismo sia concepito come fase necessaria all'interno di un movimento orientato a scopi ben precisi.

(...)

L'ottimismo, come anche il pessimismo, di questa risposta, si abbarbica, è vero, alle prove, ma non si fonda su di esse. Si tratta di ordini diversi; ciò che conferisce forza di persuasione all'ottimismo è la profondità, alla prova è la chiarezza. L'ottimismo può raggiungere strati in cui il futuro, ancora assopito, viene fecondato. In tal caso lo si incontra come un sapere che raggiunge profondità maggiori che non la forza dei fatti - che addirittura può suscitarli. Il suo fulcro è più nel carattere che nel mondo. Un ottimismo fondato su queste basi va apprezzato in se stesso, dal momento che proprio la volontà la speranza e la stessa prospettiva futura devono dare a chi lo professa la forza di resistere nel mutevole corso della storia e dei suoi pericoli. Molte cose dipendono da questo." (E. Junger, Oltre la linea [scritto del 1950], in E. Junger - M. Heidegger, Oltre la linea. Sottolineatura in corsivo mia.)




P.S.: Chiedo scusa per essermi permesso di scrivere questo breve articolo nella quasi totale ignoranza sulla cultura degli Aborigeni d'Australia.

Chiedo scusa se, come è probabile, le mie parole non sono coerenti con queste Tradizioni.

Questo articolo vuole solo esprimere le mie suggestioni emotivo-analogiche di fronte alla visione di questo film, che comunque penso abbia anche un valore e un linguaggio universali.








sabato 23 febbraio 2013

da "La scrittura del disastro" di Maurice Blanchot-


Pubblico questo brano di Blanchot.

Ho tratto questa traduzione dal link:

http://rebstein.wordpress.com/2008/10/06/la-scrittura-del-disastro-di-maurice-blanchot/



[Tratto da: AA.VV., Il Pomerio. Antologia Poetica, Elitropia Edizioni, In forma di Parole, Libro VII, Reggio Emilia, 1983, pag. 473-479.]
                   Maurice Blanchot - La scrittura del disastro
                   (Traduzione di Franco Facchini e Giorgio Marcon)



     Volere scrivere, quale assurdità: scrivere è la decadenza del volere, come la perdita del potere, la caduta della cadenza, il disastro ancora.


     Scrivere può almeno avere questo senso: usare gli errori. Parlare li propaga, li dissemina facendo credere a una verità. Leggere: non scrivere; scrivere nella proibizione di leggere. Scrivere: rifiutare di scrivere – scrivere per rifiuto, in modo che basti che gli si domandi qualche parola affinché si pronunci una sorta di esclusione, come se lo si obbligasse a sopravvivere, a prestarsi alla vita per continuare a morire. Scrivere per difetto.

     Quello che si scrive risuona nel silenzio, facendolo risuonare a lungo, prima di ritornare nella pace immobile dove veglia ancora l’enigma.

     Ciò che avviene per volontà della scrittura non è dell’ordine di ciò che avviene. Ma allora chi ti permette di pretendere che avverrebbe mai qualche cosa come la scrittura? Oppure la scrittura non sarebbe tale da non avere mai bisogno di accadere?

     Egli scriveva, che ciò fosse possibile o no, ma non parlava. Questo è il silenzio della scrittura.

     Solitudine che s’irradia, vuoto del cielo, morte differita: disastro.

     Il disastro, preoccupazione dell’infimo, sovranità dell’accidentale. Ciò ci fa riconoscere che l’oblio non è negativo o che il negativo non viene dopo l’affermazione (affermazione negata), ma è in rapporto con ciò che vi è di più antico, ciò che verrebbe dal fondo delle età senza mai essere stato dato.

     Leggere, scrivere, come vivere sotto il controllo del disastro: esposto alla passività fuori passione.

     L’esaltazione dell’oblio.
Non sei tu che parlerai; lascia che il disastro parli in te, fosse anche per oblio o per silenzio.

     Il disastro è dalla parte dell’oblio; l’oblio senza memoria, il tirarsi indietro immobile di ciò che non è stato tracciato – l’immemorabile forse; ricordarsi attraverso l’oblio, daccapo il fuori.

     Vorrei accontentarmi di una sola parola, mantenuta pura e viva nella sua assenza, se, attraverso essa, non avessi da sopportare tutto l’infinito di tutti i linguaggi.

     L’angoscia di leggere: è che ogni testo, per quanto importante, gradevole e interessante che sia (e più dà l’impressione di esserlo), è vuoto – non esiste nel fondo; bisogna varcare un abisso, e se non lo si salta non si comprende.

     Non pensare: senza ritegno, con eccesso, nella fuga panica del pensiero.

     Non c’è origine, se l’origine suppone una presenza originaria.
Sempre passata, fin d’ora passata, qualche cosa che è accaduta senza essere presente, ecco l’immemorabile che ci procura l’oblio, dicendo: ogni inizio è un nuovo inizio.

     La sofferenza del nostro tempo: “un uomo scarno, la testa reclinata, le spalle curve, senza pensiero, senza sguardo”.
“I nostri sguardi erano volti verso il suolo”.

     L’inconveniente necessario (o il vantaggio) di ogni scetticismo è di elevare sempre più in alto la barra della certezza o della verità o della credenza.
Non si crede a nulla per bisogno di troppo credere e perché si crede ancora troppo quando non si crede a nulla.

     Il disegno della legge: che i prigionieri costruiscano essi stessi la loro prigione. E’ il momento del concetto, l’impronta del sistema.

     Impara a pensare con dolore.

     “Io” muoio prima di essere nato.

     Sempre di ritorno sui cammini del tempo, noi non avanzeremo né ritarderemo: tardi è presto, vicino lontano.

     Frammento: al di là di ogni frattura, di ogni luminosità, la pazienza di pura impazienza, il poco a poco dell’improvvisamente.

     La rinuncia al me-soggetto non è una rinuncia volontaria, dunque nemmeno una abdicazione involontaria; quando il soggetto si fa assenza, l’assenza di soggetto o il morire come soggetto sovverte tutta la frase dell’esistenza, fa uscire il tempo dal suo ordine, apre la vita alla sua passività, esponendola all’ignoto dell’amicizia che mai si dichiara.

     La morte dell’Altro: una doppia morte, poiché l’altro è già la morte e pesa su di me come l’ossessione della morte.

     Allorché l’altro si rapporta a me in maniera tale che l’ignoto in me gli risponde al mio posto, questa risposta è l’amicizia immemorabile che non si lascia scegliere, né si lascia vivere nell’attuale: la parte offerta della passività senza soggetto, il morire fuori di sé, il corpo che non appartiene a nessuno, nella sofferenza, nel godimento non narcisistici.

     Rispondere: c’è la risposta alla domanda -, la risposta che rende la domanda possibile -, quella che la raddoppia, la fa durare e non la placa, al contrario le accorda una nuova luminosità, le assicura una perentorietà , c’è la risposta interrogativa; infine, distanziata dall’assoluto, ci sarebbe questa risposta senza interrogazione alla quale nessuna domanda converrà, risposta di cui noi non sappiamo che fare, se solo può riceverla l’amicizia che la dona. L’enigma (il segreto), è precisamente l’assenza di domanda – laddove non c’è neanche il posto per introdurre una domanda, senza che tuttavia questa assenza costituisca risposta. (La parola criptica).

     Quando tutto si è oscurato, regna l’illuminazione senza luce che certe parole annunciano.



(da La scrittura del disastro di Maurice Blanchot, traduzione di Franco Facchini e Giorgio Marcon)