di-segno di Sacrilegio Tempesta

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pARTICOLARE DI "Autunno", quadro di Diogene senza l'anima?. Foto di Sacrilegio Tempesta.
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mercoledì 4 giugno 2014

Tre poesie di Jack Hirschman






Felicità 
 
C’è una felicità, una gioia
nell’anima che è stata
sepolta viva in ciascuno di noi
e dimenticata.

Non si tratta di uno scherzo da bar
né di tenero, intimo umorismo
né di amicizia affettuosa
né un grande, brillante gioco di parole.
Sono i superstiti sopravvissuti
a ciò che accadde quando la felicità
fu sepolta viva, quando essa
non guardò più
dagli occhi di oggi, e non si
manifesta neanche quando
uno di noi muore – semplicemente ci allontaniamo
da tutto, soli
con quello che resta di noi,
continuando ad essere esseri umani
senza essere umani,
senza quella felicità.




Devi avere il cuore infranto per accogliere la vita



Vai al tuo cuore infranto.
Se pensi di non averne uno, procuratelo.
Per procurartelo, sii sincero.
Impara la sincerità di intenti lasciando
entrare la vita, perché non puoi, davvero,
fare altrimenti.
Anche mentre cerchi di scappare, lascia che ti prenda
e ti laceri
come una lettera spedita
come una sentenza all’interno
che hai aspettato per tutta la vita
anche se non hai commesso nulla.
Lascia che ti spedisca.
Lascia che ti infranga, cuore.
L’avere il cuore infranto è l’inizio
di ogni vera accoglienza.
L’orecchio dell’umiltà ascolta oltre i cancelli.
Vedi i cancelli che si aprono.
Senti le tue mani sui tuoi fianchi,
la tua bocca che si apre come un utero
dando alla vita la tua voce per la prima volta.
Vai cantando volteggiando nella gloria
di essere estaticamente semplice.
Scrivi la poesia.














LA CASA DEL TRAMONTO

“ridiventa straccio e il più povero ti sventoli”
Pier Paolo Pasolini, “Bandiera rossa”

Poggio la mia bocca sulla tua miseria, New Orleans,
inondata e inzuppata di morte.
Qui giace: enormi mucchi di bugie sulla guerra, questa prigione
cimitero galleggiante grida di rabbia
al respiro finale. Qui, all’ultimo delta,
Desiderio disteso sul fianco, è derubato, e girato
sottosopra dal suo stesso governo, e soffocato.
L’estate è finita e la vita è morta,
e ‘round midnight tutte le speranze sono saccheggiate.
Nessuno verrà fuori pulito da Katrina
a New Orleans in questa
Casa del Tramonto che sta affondando.
Corpi così neri e così blu perché hanno amato
chi non gli avrebbe sputato sulle scarpe se avessero avuto
bisogno di una lucidata. Figuriamoci qualche spicciolo. O acqua.
America, sei sempre stata terra bruciata
nelle nostre bocche, sempre un battesimo di merda,
sempre una pioggia di disastro che scorre
lungo i vetri dei nostri occhi infranti.
Ora i nostri stracci sono i più laceri,
il nostro jazz il più triste, i nostri poveri i più poveri
che si possano portare al mercato delle pulci dell’anima.
Ora che tutto è perduto e c’è soltanto il nulla
da perdere… “Viva il coraggio
e il dolore e l’innocenza dei poveri!”
La vera bandiera è a brandelli.
Cominciamo a sventolarla.






Jack Hirschman
(nato a New York, 13 dicembre 1933)







(ho tratto i primi due testi di Hirschman dal blog: https://iraida2.wordpress.com/tag/jack-hirschman/ , l'ultimo da https://www.nazioneindiana.com/2005/11/21/poesie-civili-jack-hirschman-per-sud/  ) 

Traduzioni: l'ultima è tradotta da Raffaella Marzano, delle prime due non so chi sia il traduttore.




Reading poetico-musicale di Jack Hirschman 



Altro reading, più lungo e con traduzione:



mercoledì 17 luglio 2013

Un "haiku americano" di Jack Kerouac.



Useless, useless,

the heavy rain

Driving into the sea. 



Inutile, inutile,
la pioggia pesante
Che cade dentro al mare. 



(Jack Kerouac, traduzione mia)

domenica 8 luglio 2012

RISVEGLI TELLURICI DAI VERSI DI FERRUCCIO BRUGNARO

Pur non avendo mai condiviso l'ideale comunista, trovo l'opera di Ferruccio Brugnaro - poeta operaio comunista - eccezionale.
Brugnaro, molto attivo nel movimento operaio negli anni settanta, ha cominciato a scrivere poesie in quel periodo, come strumento di comunicazione politica e umana, affiggendo ciclostilati con i suoi versi in fabbrica. Questi ciclostilati hanno presto una diffusione nazionale nelle fabbriche, essendo di un'intensità e di una bellezza straordinarie. Poi negli anni '80 lo scopre Jack Hirschman, poeta beat del giro di Ginsberg, Kerouac & c., che lo traduce in inglese. Da quel momento ha una certa fama.

Ho sentito Brugnaro leggere delle sue poesie poche sere fa.

Più che leggere, declamare, urlare - quasi un Allen Ginsberg operaio italiano che grida la sofferenza, l'angoscia, la solitudine, l'alienazione, la spietatezza, la corrosiva distruttività della nostra società; la rabbia tellurica che travalica o tenta di travalicare questo orizzonte schiacciato; e, più di tutto, un sovrumano, umanissimo sentimento d'amore, che trabocca dalla solitudine ferita dell'individuo inscatolato, e vuole abbracciare, abbracciare una farfalla, il sole, il cielo, l'umanità intera, i gabbiani che volano sopra la fabbrica.

Questa voce tonante di questo ormai anziano operaio-poeta è stato un pugno nello stomaco, forte e centrato nel punto giusto per svegliarmi da una sorta di rassegnata sonnolenza, per svegliare speranze assopite ma vive.

A parte l'elemento ideologico, pure onnipresente, questi versi scuotono perchè sputano in faccia la realtà tremenda in cui viviamo, e la inzittibile sete di amore, fraternità, comunità, solidarietà, comunione mi viene quasi da dire, che cova, inascoltata ma pronta all'eruzione appena un qualsiasi minimo segnale si fa vivo, in ognuno di noi. E' stato un reading decisamente emozionante. Ma ciò che mi ha veramente commosso è stato quello che ha detto su come concepisce la poesia. Prima ha detto che la concepisce come strumento per lanciare messaggi politici, suscitare dibattiti. Poi però ha aggiunto un'altra cosa (parola più, parola meno): che la poesia è ciò che è rimasto nell'uomo di non schiacciato dalla meccanizzazione, dall'alienazione - e ha aggiunto: "il filo non è stato ancora reciso/il filo non può essere reciso" (sono versi di una sua poesia) - e questo perchè la poesia è parte integrante del cuore degli esseri umani.

Trascrivo tre delle sue poesie che preferisco.





MATTINA DI MARZO

                                 Gabbiani, schiere foltissime
                                                 di gabbiani
ora imbiancano gli acquitrini
            che circondano le fabbriche.
                                  Il vento li muove, li agita
                                                  come grossi fiori.
                                   Il nostro sangue, il nostro cuore
                                                   acceso
                                                  ora li segue attentamente.
                                   La nostra volontà, la nostra carne
                                                          tutta ferita
li guarda avida
ascolta intensamente il loro grido
                          il nostro grido
                           di amore, di vita
su questa terra
                   sempre più nera,
in questo silenzio di ferro.




MALVAGIO, SONO MALVAGIO E BESTIA


Mi accorgo ancora del biancospino
                                     che fiorisce
                                e della rondine che ritorna.
                   Malvagio, sono malvagio
                                  e bestia.
Non dimentico, non posso dimenticare
                             il crescere dell'erba
il tempo imbandierato di fiori
                                e di nidi
                            il profumo del mondo.
                      Malvagio e bestia
                                   selvaggio
                                            incorreggibile.
Mi batterò per sempre
                         per questa terra,
                      mi batterò per sempre
                       per questi pianeti
fino l'ultima ferita
fino l'ultimo abbandono
fino l'ultima
               angosciosa amputazione.
           Malvagio
           mille volte malvagio
           bestia senza briglie
                               selvaggio.
Dentro una storia di morte
                          dentro uno spazio
                                 di morte
                       il mio lavoro di sole
                      non avrà mai fine.


IL PIAZZALE E' ZEPPO, TUMULTUOSO


Il piazzale è zeppo, tumultuoso.
Il gelo non conta per niente.
Chi si scalda con una sigaretta
e chi si mette a diffondere coraggio
calandosi nei crocchi più sospetti, incerti.
Intanto giungono anche gli uccelli
con la povera figura del sole.
I padroni scrollano il capo indignati;
               col giorno che cresce
               un caro trasporto ci affratella nel fondo,
               uno strano vino bolle ora tra noi.