LASCIA TUTTO, E SEGUITI! (F. Battiato) Dove tutto è enigma (storia, natura, cosmo) la certezza dell'insolubilità pone un invisibile seme di speranza. (Guido Ceronetti)

di-segno di Sacrilegio Tempesta
?
pARTICOLARE DI "Autunno", quadro di Diogene senza l'anima?. Foto di Sacrilegio Tempesta.
Visualizzazione post con etichetta credenze. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta credenze. Mostra tutti i post
domenica 2 marzo 2014
Neil Gaiman, la decreazione e "Obediah il disinventore"
Neil Gaiman dà - in un certo senso - la sua personale interpretazione, ironica e fantascientifica, del concetto simoneweiliano di decreazione - o discreazione - in un singolare, bizzarro racconto brevissimo tra il fantastico puro e l'umoristico assurdo, fugace visione elettrica che appartiene in tutto e per tutto al genere del mini-racconto di fantascienza, genere tradizionalmente molto basato su colpi di scena, paradossi e imprevisti inaspettati, shockanti o comunque cortocircuiti che ribaltano le prospettive, nell'arco di poche righe o poche pagine.
Qui - in una versione eterea, leggera, ludica di questo genere - divertente nonsense fantastico fine (forse) a sè stesso - un tizio dall'aria stravolta e scarmigliata entra in un pub, ordina un whisky e dichiara di essere un "disinventore". La maggior parte della gente si allontana giudicandolo un matto, qualcuno forse per ammazzare la noia abbocca all'amo e chiede spiegazioni. Mentre lo strano individuo parla, un discreto capannello di gente gli si forma attorno, continuando ad ingrossarsi.
Obediah Polkinghorn - così c'è scritto sul suo biglietto da visita - spiega: il suo lavoro, non facile, estremamente faticoso, è "dis-inventare" tutte le invenzioni che a suo giudizio hanno avuto conseguenze nefaste sulla vita degli esseri umani, a cominciare dagli zaini volanti per andarsene in giro per aria, e dalle macchine volanti, ovviamente. Naturalmente, la "dis-invenzione" è una reale decreazione: "Discreazione: far passare qualcosa di creato nell'increato." (Simone Weil): l'oggetto, tecnica, gadget, servizio, chincaglieria, macchina, apparecchio o mercanzia semplicemente smette di essere mai esistito, e naturalmente ne sparisce anche il ricordo, o meglio forse anche il suo ricordo non è mai esistito. Paradossalmente, il dis-inventore ricorda invece tutto ciò che ha dis-inventato.
Non aggiungo maggiori dettagli perchè vale la pena di andarsi a cercare la raccolta di racconti fs di autori diversi Il fantasma di Laika (tradotto in Italia in Urania Millemondi 64, uscito quest'estate) in cui è contenuto "Obediah il disinventore" e leggerselo (ci sono molti altri bei racconti nella raccolta).
Obediah Polkinghorn si sente molto utile al mondo.
In effetti avrei una lunga lista personale di invenzioni da disinventare da proporgli, se lo incontrassi....... ....per risalire la corrente del divenire fino a un attimo di inconcepibile, magico, atemporale disfarsi dell'irreversibile, dissolvenza comica del necessario in cui ripensare, creare altri mondi possibili, ricreandosi, rilassandosi, liberandosi nel fluire di possibilità d'essere, strutture mentali, possibilità emotive de-rigidificate, de-raggelate, de-create... tornate alla possibilità dell'apertura, dell'invenzione, della creatività, della possibilità di scelta: all'orizzonte verticale, trapezista, imprendibile, insondabile, ignoto, peripeziante, avventuroso, immaginifico, funambolico, aviatore, aliante, deltaplanista, aereo, solare, sognatore, artistico, audace della libertà.
Etichette:
alternative,
cervello destro,
creazione,
credenze,
de-creazione,
decondizionamento,
decrescita,
devastazione ambientale,
fantascienza,
Il pianeta verde,
letteratura e filosofia,
libertà,
Neil Gaiman,
possibilità
lunedì 13 maggio 2013
percepire senza credere-
"Posso pretendere di avere una percezione chiara ?
Sto deformando ciò che percepisco ?
Sto interpretando ciò che percepisco ?
Attraverso il mio immaginario, ovvero attraverso le mie credenze, il mio sapere, i miei a priori, i miei giudizi
Non c’è per caso un filtro permanente, che mi vela il reale e snatura la mia percezione ?
Sono capace di vedere gli esseri, ciò che mi circonda, gli eventi e il mondo come se fosse la prima volta ?
Sono capace di vivere una percezione sensoriale o emotiva come se la ricevessi per la prima volta ?
Senza sapere, senza memorie, senza a priori, senza giudizi.
Sono capace di vedere gli esseri, ciò che mi circonda, gli eventi e il mondo come se fosse la prima volta ?
Sono capace di vivere una percezione sensoriale o emotiva come se la ricevessi per la prima volta ?
Senza sapere, senza memorie, senza a priori, senza giudizi.
Il filtro della mia memoria, del mio
sapere, delle mie abitudini, del mio bisogno di sicurezza, ricopre il
reale rendendolo inaccessibile ?
Sto percependo solo il mio immaginario, la mia proiezione ?"
Sto percependo solo il mio immaginario, la mia proiezione ?"
Nathalie Delay, dall'articolo:
Etichette:
Anima,
attimo,
autenticità,
condizionamento,
credenze,
de-creazione,
ego,
emisfero destro,
empirismo eretico,
laprimaedultimalibertà,
larealtàdellarealtà,
N. Delay,
non sapere,
realtà,
spontaneità,
Tao,
verità
credere che non si sta credendo-
"La credenza che la realtà che ognuno vede sia l'unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni."
Paul Watzlawick
Paul Watzlawick
Etichette:
?,
condizionamento,
contraddizione,
credenze,
danzadellarealtà,
ego,
emisfero destro,
flussodicoscienza,
ingranaggi,
labirinti,
P. Watzlawick,
pensieri associativi,
pensiero laterale,
simulacri,
specchi,
verità
mercoledì 20 febbraio 2013
Da "Psicologia di massa del fascismo" di Wilhelm Reich.
"Secondo il significato caratteriale "il fascismo" è l'atteggiamento emozionale fondamentale dell'uomo autoritariamente represso dalla civiltà delle macchine e dalla sua concezione meccanistico-mistica della vita. Il carattere meccanicistico-mistico degli uomini del nostro tempo crea i partiti fascisti e non viceversa. (...) Le mie esperienze analitico-caratteriali mi convinsero invece che oggi non esiste assolutamente nessuno che non porti in sè gli elementi del modo di pensare e sentire fascista. Il fascismo come movimento politico si differenzia da altri partiti reazionari per il fatto che viene sostenuto e diffuso dalle masse umane. Mi rendo perfettamente conto dell'enorme responsabilità che deriva da simili affermazioni. Augurerei, nell'interesse del nostro mondo tormentato, che le masse lavoratrici si rendessero conto con altrettanta chiarezza della loro responsabilità per quanto riguarda il fascismo. (...) Poichè il fascismo si manifesta sempre e ovunque come un movimento sorretto dalle masse umane, tradisce tutti i tratti e tutte le contraddizioni della struttura caratteriale delle masse umane: non è, come si crede generalmente, un movimento puramente reazionario, ma costituisce un amalgama tra emozioni ribelli e idee sociali reazionarie.
Se per rivoluzione si intende la ribellione razionale contro condizioni insopportabili nella società umana, la volontà razionale di "andare a fondo a tutte le cose" ("radicale" - "radix" - "radice") e di migliorarle, allora il fascismo non è mai rivoluzionario. Non vi è dubbio che esso può fare la sua comparsa ammantato di sentimenti rivoluzionari. Ma non si chiamerà rivoluzionario quel medico che combatte con sfrenate imprecazioni una malattia, ma al contrario quello che con calma, coraggiosamente e coscienziosamente, cerca e combatte le cause della malattia. La ribellione fascista nasce sempre laddove una emozione rivoluzionaria viene trasformata in illusione per paura della verità.
Il fascismo, nella sua forma più pura, è la somma di tutte le reazioni irrazionali del carattere umano medio. (...)
L'ideologia razziale è una tipica espressione caratteriale biopatica dell'uomo orgasticamente impotente.
Il carattere sadico-pervertito dell'ideologia razziale tradisce la sua natura anche nel suo atteggiamento di fronte alla religione. (...)
La mentalità fascista è la mentalità dell'"uomo della strada" mediocre, soggiogato, smanioso di sottomettersi ad un'autorità e allo stesso tempo ribelle. Non è casuale che tutti i dittatori fascisti escano dalla sfera sociale del piccolo uomo della strada reazionario. Il grande industriale e il militarista feudale approfittano di questa circostanza sociale per i propri scopi, dopo che questi si sono sviluppati nell'ambito della generale repressione vitale. La civiltà meccanicistica ed autoritaria raccoglie, sotto la forma del fascismo, solo dal piccolo borghese represso ciò che da secoli ha seminato, come mistica mentalità del caporale di giornata e automatismo fra le masse degli uomini mediocri e repressi. Questo piccolo borghese ha copiato fin troppo bene il comportamento del grande e lo riproduce in modo deformato e ingigantito. (...)
Ciò che è vivo può esistere senza il fascismo, ma il fascismo non può vivere senza ciò che è vivo. Il fascismo è il vampiro avvinghiato al corpo dei viventi che sfoga i suoi impulsi omicidi quando l'amore si ridesta in primavera invocando la naturale realizzazione.
(...)
Ciò che è vivo non può "prendere il potere con la violenza" perchè non saprebbe che farsene del potere. Forse questa conclusione significa che la vita sarà per sempre vittima e martire del gangsterismo politico e che il politicante continuerà a succhiare per sempre il suo sangue?
Questa conclusione sarebbe errata."
(Wilhelm Reich, "Psicologia di massa del fascismo - Come nasce e perchè si diffonde il misticismo organizzato", evidenziazioni in corsivo mie)
Se per rivoluzione si intende la ribellione razionale contro condizioni insopportabili nella società umana, la volontà razionale di "andare a fondo a tutte le cose" ("radicale" - "radix" - "radice") e di migliorarle, allora il fascismo non è mai rivoluzionario. Non vi è dubbio che esso può fare la sua comparsa ammantato di sentimenti rivoluzionari. Ma non si chiamerà rivoluzionario quel medico che combatte con sfrenate imprecazioni una malattia, ma al contrario quello che con calma, coraggiosamente e coscienziosamente, cerca e combatte le cause della malattia. La ribellione fascista nasce sempre laddove una emozione rivoluzionaria viene trasformata in illusione per paura della verità.
Il fascismo, nella sua forma più pura, è la somma di tutte le reazioni irrazionali del carattere umano medio. (...)
L'ideologia razziale è una tipica espressione caratteriale biopatica dell'uomo orgasticamente impotente.
Il carattere sadico-pervertito dell'ideologia razziale tradisce la sua natura anche nel suo atteggiamento di fronte alla religione. (...)
La mentalità fascista è la mentalità dell'"uomo della strada" mediocre, soggiogato, smanioso di sottomettersi ad un'autorità e allo stesso tempo ribelle. Non è casuale che tutti i dittatori fascisti escano dalla sfera sociale del piccolo uomo della strada reazionario. Il grande industriale e il militarista feudale approfittano di questa circostanza sociale per i propri scopi, dopo che questi si sono sviluppati nell'ambito della generale repressione vitale. La civiltà meccanicistica ed autoritaria raccoglie, sotto la forma del fascismo, solo dal piccolo borghese represso ciò che da secoli ha seminato, come mistica mentalità del caporale di giornata e automatismo fra le masse degli uomini mediocri e repressi. Questo piccolo borghese ha copiato fin troppo bene il comportamento del grande e lo riproduce in modo deformato e ingigantito. (...)
Ciò che è vivo può esistere senza il fascismo, ma il fascismo non può vivere senza ciò che è vivo. Il fascismo è il vampiro avvinghiato al corpo dei viventi che sfoga i suoi impulsi omicidi quando l'amore si ridesta in primavera invocando la naturale realizzazione.
(...)
Ciò che è vivo non può "prendere il potere con la violenza" perchè non saprebbe che farsene del potere. Forse questa conclusione significa che la vita sarà per sempre vittima e martire del gangsterismo politico e che il politicante continuerà a succhiare per sempre il suo sangue?
Questa conclusione sarebbe errata."
(Wilhelm Reich, "Psicologia di massa del fascismo - Come nasce e perchè si diffonde il misticismo organizzato", evidenziazioni in corsivo mie)
Etichette:
autoritarismo,
caos,
condizionamento,
conformismo,
contraddizione,
credenze,
crisi,
fascismo,
ideologie,
ingranaggi,
lavaggio del cervello,
maschere,
massa,
nevrosi,
nichilismo,
repressione,
ritmi,
simulacri,
violenza
martedì 8 gennaio 2013
"La Bottega dei Suicidi" e l'eresia dell'entusiasmo di vivere.
"La bottega dei suicidi", ultimo film di Patrice Leconte - e suo primo film d'animazione - è chiaramente un film jodorowskyano.
Non certo perché assomigli ai film di Alejandro Jodorowsky, ma perché è una chiara, superba esemplificazione delle sue teorie psicologiche.
In una metropoli contemporanea (Parigi? Milano?) tutto ormai è grigio, spento, senza senso: i suoi abitanti, tristi larve svuotate di esseri umani, si trascinano stancamente per le sue strade buie senza un reale motivo, senza uno straccio di sogno o entusiasmo, senza nessuna voglia di vivere o respirare, i volti incavati segnati da paure prive ormai di un oggetto, esili fantocci sconfitti schiacciati da fantasmi senza nome, trafitti da una rassegnazione esausta, oltre il nichilismo verso il semplice incenerimento di qualsiasi desiderio o slancio o sussulto anche casuale di vita, verso la putrefazione dell'anima, il completo oblio di un qualsiasi ricordo di un lontano senso.
I suicidi aumentano ogni giorno.
Ma perfino suicidarsi, in questa cupa Metropoli del Dover-Essere, del Vietato Essere, è vietato.
O, perlomeno, suicidarsi in pubblico. L'Apparenza - Ciò Conta - dev'essere salvaguardata, e chi si suicida per strada - molti, moltissimi - ricevono come unica reazione dell'apparato pubblico una multa ficcata a forza nella bocca del suicida da una volante subito accorsa - e che subito si dilegua.
Per risolvere i problemi di questi cittadini stanchi di vivere ma che giustamente preferirebbero evitare multe postume, né certo vorrebbero intralciare il traffico, c'è la Bottega dei Suicidi: un negozio fornitissimo, assolutamente legale, anzi fornito di regolare licenza, dove si può trovare qualsiasi strumento - dai più ordinari ai più originali - per liberarsi definitivamente di una vita percepita ormai come un peso inutile - ma rispettando pur sempre doverosamente il comune senso del pudore, ponendo fine ai propri giorni nel proprio privato alveo, nascosto agli occhi di chi, pur condividendo magari l'assunto filosofico di base del suicida, potrebbe trovare sconveniente una morte violenta in pubblico, sotto un'auto o giù da un ponte. La vita non ha senso, ma le forme, almeno quelle, per Dio! - non vanno assolutamente dimenticate - siamo o non siamo pur sempre un continente civile???!?
I clienti si aggirano attoniti, incuriositi, affascinati fra le moltissime chincaglierie letali del fortunatissimo esercizio, molto alla moda. Alcuni acquistano la prima cosa che gli viene proposta dai gestori, tutto gli sembra indifferente - altri invece sembrano affascinati dall'abilità dialettico-commerciale della coppia proprietaria dell'attività, e seguono con interesse e quasi con occhi che brillano i loro discorsi sul "veleno, che è una scelta molto femminile - tutto sommato assomiglia a un profumo, no?" o sulla katana giapponese che "è molto virile", sull'estetica dei prodotti, alcuni incisi a mano, sull'essere "all'ultima moda" di alcune soluzioni. L'apparenza e il consumismo seguono le persone fino al loro salto nel buio. Tutti poi si preoccupano del prezzo: "Mah, mi sembra un po' caro..." ma sono rincuorati dallo slogan "Trapassati o rimborsati!".
Ma ecco l'elemento psicogenalogico, o jodorowskyano.
Cosa meglio di una famiglia, una coppia che, anche con l'aiuto dei figli, un bambino e una bambina, gestisce un'attività il cui core-business è la negazione della vita, la disperazione, e fa questo perché segue una tradizione familiare inaugurata da un bisnonno che aprì il negozio nell'ottocento, venerato come una specie di santo - una famiglia che ha fatto dell'assioma che la vita è triste, disperata, senza senso non solo il fulcro, il centro dell'ideologia familiare, della religione familiare - ma addirittura lo scopo di tutta la vita, anche professionale, un assunto da promuovere e difendere nel mondo, alla cui fortuna è legata la stessa fortuna materiale della famiglia; cosa, dunque, più di questo, può rappresentare il concetto jodorowskyano di albero genealogico, cioè il fatto che ogni individuo eredita molto di più che non semplicemente geni e influenza ambientale dalla famiglia, ma un'intero intreccio di malattie, nevrosi, sogni imposti, demoni nel sangue, superstizioni, blocchi, follie, paure, angosce, imposizioni, ammonizioni, plagi, false ambizioni, paranoie immaginarie, mostri psichici di vario tipo, divieti, sabotaggi, valori da venerare, idoli, pesi millenari, millenarie sconfitte che si ripetono sempre identiche nella storia dell'albero genealogico, oppressioni, ceppi, catene psichiche, ragnatele psichiche, offuscamenti, credenze obbligatorie, incapacità compiaciute, miserie ereditarie che vanno al di là dell'influenza di genitori e altri parenti effettivamente conosciuti, ma si ereditano misteriosamente anche da antenati vissuti secoli prima?
La stessa Bottega mi sembra una magnifica rappresentazione dell'albero genealogico: una casa/negozio molto grande, e piena zeppa di ogni sorta di orrore, paccottiglia mortifera di ogni tipo, catalogata, messa in bella mostra su scaffali immensi, un Museo degli Orrori ricchissimo e estremamente vario, di cui però andare fieri, messo come diaframma fra la casa e il mondo.
Bellissima anche la scena in cui una rapida carrellata mostra una parete infinita con le foto grottesche e disperate dei clienti già trapassati. Ad un livello simbolico profondo, mi sembra che invece questa parete rappresenti proprio gli antenati dell'albero.
E anche qui - in questa famiglia così ortodossamente ligia ai suoi doveri di disperazione - arriva la pecora nera: che è come dice Jodorowsky, la persona che nasce in un albero genealogico ma è diversa: non si allinea, non accetta i dogmi familiari, si ribella, e lo fa perché qualcosa di più forte, e non minimizzabile, incoercibile, incontenibile, lo divora e gli impedisce di conformarsi: un artista in una famiglia di ragionieri o di banchieri, un rockettaro in una famiglia di benpensanti che hanno la musica classica e l'opera come culto, un filosofo radicale in una famiglia estremamente cattolica, o chessò, un genio della boxe in una famiglia di intellettuali sedentari che detestano attività fisica e qualsiasi cosa che richiami anche di lontano una forma di lotta e di violenza, o un poeta in una famiglia di fisici teorici, o un fisico teorico in una famiglia di letterati.
Nel caso del film, nasce un bambino felice. Un tipo allegro, che ride sempre, ha sempre voglia di giocare e divertirsi, vede sempre tutto in positivo, nonostante l'ambiente in cui è nato.
I genitori sono sconsolati: non sopportano l'allegria e l'ottimismo di questo bambino "disobbediente alle leggi del branco" (De Andrè) e lo rimproverano e mortificano continuamente, creando spesso una forte delusione nel bambino, che però non si arrende e ogni volta si tira su, pensa a qualcosa di bello e continua a cercare di portare allegria in questa famiglia di venditori-di-morte.
Il bambino cresce e la sua vergognosa diversità non accenna a diminuire: è sempre più allegro, anche se ha dei momenti di profondo sconforto per la immodificabile, rassegnata tristezza della sua famiglia (e della sua città).
Ma non si arrende, non vuole, non si può arrendere. Il suo dàimon, direbbe James Hillman, glie lo impedisce.
Anche questo mi sembra molto jodoroskyano: la pecora nera non sceglie semplicemente la via della ribellione, del seguire un'altra strada (via che rischia di finire per riprodurre semplicemente le stesse identiche cose in un altro paese, o in un'altra veste ideologica) ma sceglie una via molto più impegnativa e risolutiva: quella dell'affrontare i problemi nella famiglia, non allontanandosi dalla famiglia.
Il bambino, coraggioso e determinato, non vuole arrendersi all'evidenza, e decide che, insieme ai suoi amici, deve assolutamente far qualcosa per cambiare la sua famiglia e la sua città.
La soluzione è semplice ma efficacissima: insieme ai suoi amici, e con l'aiuto dello zio di uno di loro, che fa il meccanico, portano davanti al negozio un'auto dotata di un impianto stereo ultra-professionale con casse esterne potentissime: molto semplicemente, le nostre teppe ribelli accendono un'assordante musica da discoteca, fragorosa vitale ma con chitarre elettriche arrabbiatissime, di fronte al negozio, a tutto volume.
Questa è la scena più geniale del film, dal punto di vista simbolico, psicogenealogico: la casa trema, a ritmo, sembra poter crollare da un momento all'altro, i clienti assordati non capiscono cosa succede, la madre urla impazzita, la sorella adolescente prima sbalordita poi invece comincia a ballare con un ragazzo sconosciuto, di cui si innamora. Le boccette di veleno, gli acquari con i piranas e tutte le altre preziosissime chincaglierie nichiliste cadono da tutte le parti, sfracellandosi a terra. Alla fine, il negozio è ancora in piedi, ma tutta la merce è completamente distrutta.
Il finale: la Bottega viene trasformata in una creperia "Au Bons Vivants"! La persone della famiglia cambiano, cominciano a ridere di più, ad avere voglia di vivere, a non vedere tutto nero. La figlia sposa il ragazzo conosciuto durante il "crollo", che è bravissimo a fare le crepes.
Il nostro eroe è più felice che mai.
Anche la conclusione è jodorowskyana.
Si tratta del tema dell'albero luminoso.
Cioè del fatto che nell'albero genealogico, oltre agli spettri, malattie, blocchi, etc... di cui sopra, vengono tramandate anche capacità, talenti, forme di genio, di creatività, di amore, segreti positivi appannaggio dell'albero in base ai quali è possibile avere successo, sogni, utopie, luce, speranza, coraggio, passioni, saggezza, determinazione, sapienza, sostegno per la realizzazione di sé stessi e della propria unicità.
Mi viene da dire: la maniera per neutralizzare l'albero dell'oppressione millenaria e far emergere invece l'albero luminoso non può che essere - e qui mi richiamo a Jodorowsky ma soprattutto a Hillman - una sola: ascoltare quello che Hillman chiama il proprio dàimon: e cioè la propria diversità, la propria irriducibile, non-omologabile, unica, irripetibile forma specifica di ispirazione, di sogno, di visione, di talento, di scopo dello stare al mondo. E' uno scopo che - direbbe Hillman - è già contenuto nella ghianda della tua anima fin da prima della tua nascita.
Mi sembra probabile.
Jodorowsky penso aggiungerebbe: se ascolti e segui il tuo dàimon, in maniera inesorabile, mai arresa, inarrestabile, viscerale, se ti affidi a lui completamente, allora i tuoi antenati da nemici diventeranno misteriosamente i tuoi più potenti alleati.
p.s.: splendide le canzoncine!!!! In puro stile Nightmare before Christmas!!!! Direi dello stesso livello. E ottimamente tradotte e cantate anche in italiano!!!!!!!!
P.s.: In realtà Jodorowsky, da quello che ho capito, non consiglia necessariamente la soluzione dei problemi nella famiglia, ma dice che - nella famiglia o per conto proprio - bisogna affrontare e risolvere blocchi e nodi irrisolti andando alla radice: invece il semplice scegliere una "ideologia", un "gusto", un insieme di opinioni o di abitudini contrapposte a quelle della famiglia di origine non è risolutivo. Traduco in termini miei, filo-Hillmaniani: non è necessario neanche fare chissà quali strani e costosi seminari di terapia psicogenealogica: basta ascoltare il proprio dàimon - e non la semplice contrapposizione a tutti i costi allo "stile" familiare: il proprio dàimon ha uno "stile" suo, unico nella storia dell'universo, segue la sua via, inesorabile e incondizionato: che poi questa via sia più o meno - in apparenza - lontana o vicina allo stile della famiglia, è completamente irrilevante.
Etichette:
Alejandro Jodorowsky,
allegria,
cinema,
credenze,
crisi,
Il codice dell'anima,
James Hillman,
nichilismo,
non-senso,
passioni,
Patrice Leconte,
rilassamento,
riso,
SCEGLIERE,
senso,
sogni,
spontaneità,
utopia
Werner Herzog: Ognuno per sé e Dio contro tutti.
"La meraviglia è il sentimento filosofico per eccellenza." (Platone)
"Ma ciò che distingue il filosofo vero dal falso, è questo: nel primo
il dubbio si risveglia fin dalla prima vista del mondo reale, nell'altro
invece non sorge che dalla lettura di un libro, di un sistema già bell'e
fatto." (Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e
rappresentazione)
"E non riesco a immaginare che Dio abbia creato tutto dal niente come voi mi dite!"
(Kaspar Hauser)
In Italia gli hanno dato il titolo "L'enigma di Kaspar Hauser", ma il titolo originale è "Jeder fur sich und Gott gegen alle", cioè appunto: ognuno per sé e Dio contro tutti.
Storia della mente-tabula rasa di un uomo che è stato tenuto prigioniero in una cantina fino a venti-venticinque anni, e che perciò, una volta liberato, vede il mondo come un enigma incomprensibile, con gli occhi stupefatti, dubitanti, scettici, interrogativi di uno straniero che non capisce gli usi e costumi degli esseri umani, le loro strane abitudini e credenze e certezze, e non capisce lo stesso mondo della natura, sebbene gli sembri più amico, ospitale e in un certo senso più sincero, perché è sgombro da pregiudizi e categorie prefissate: confrontandosi con esso lo sguardo è libero, e la mente anche, il campo è sgombro da interpretazioni rigide e codificate, per gli altri ovvie, per lui assurde.
La natura gli sembra anche meno malvagia, si sente più a suo agio con gli animali, che si avvicinano a lui senza paura, mentre, con i suoi occhi non schermati di straniero al mondo, gli appaiono senza nessuna velatura o ottundimento sociale la malvagità degli uomini e la brutalità delle sue istituzioni, la Chiesa, le norme sociali, la condizione di asservimento delle donne per esempio (il film è ambientato nell'ottocento).
Non solo Kaspar, non abituato al mondo, non riesce a capire: ma si rifiuta anche di far finta di capire, si rifiuta categoricamente di accettare ciò che non capisce.
Questo tipo di sguardo, al di là del fatto che Kaspar abbia o meno mai letto in vita sua un solo libro di filosofia, è l'autentico sguardo filosofico: che precede e va al di là di qualsiasi discorso tecnico-filosofico, è la filosofia prima della filosofia, dello studio della filosofia, della storia della filosofia, della filosofia come branca del sapere, accademica e dotata di un suo specifico linguaggio, che molto spesso rischia di finire per ridurre i filosofi in mestieranti, saccenti e autocompiaciuti, aristocratici operai del sapere.
Ma invece ciò che veramente conta, per riflettere filosoficamente (cioè criticamente) sul mondo, ciò che è alla base di tutta la filosofia e che è alla fine l'unica cosa veramente importante di tutto il pensiero filosofico - sta tutto nello sguardo "alieno" e incapace di comprendere, ma anche di adattarsi senza comprendere, e desideroso in maniera smaniosa di comprendere, di Kaspar Hauser, della sua mente tabula-rasa che vede tutto per la prima volta e si domanda di tutto: perchè? che senso ha? e: ma sarà veramente così come lo spiegano tutti?
Uno sguardo di meraviglia irriducibile - che è il luogo della riflessione filosofica - ma anche il luogo della poesia, della profezia, dell'intuizione, dell'artista, del mistico, del visionario, del canto spontaneo, della distrazione rapita - di un rapporto con l'universo certamente condizionato, ma non addomesticato, dalle convenzioni sociali - un rapporto in cui l'individuo è libero, il suo sguardo è a diretto contatto con la natura, gli altri, le grandi questioni esistenziali - senza la mediazione di rassicuranti certezze convenzionali - il suo sguardo è puro - perché non parte dalle risposte già concluse - il suo cuore, la sua mente e la sua anima comunicano con il grande spazio aperto dell'universo alla deriva, indeterminato, indefinito - popolato di vita, sogni, emozioni e domande - e in cui le risposte dogmatiche rivelano il loro volto di spettri agghiaccianti.
"Ma ciò che distingue il filosofo vero dal falso, è questo: nel primo
il dubbio si risveglia fin dalla prima vista del mondo reale, nell'altro
invece non sorge che dalla lettura di un libro, di un sistema già bell'e
fatto." (Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e
rappresentazione)
"E non riesco a immaginare che Dio abbia creato tutto dal niente come voi mi dite!"
(Kaspar Hauser)
In Italia gli hanno dato il titolo "L'enigma di Kaspar Hauser", ma il titolo originale è "Jeder fur sich und Gott gegen alle", cioè appunto: ognuno per sé e Dio contro tutti.
Storia della mente-tabula rasa di un uomo che è stato tenuto prigioniero in una cantina fino a venti-venticinque anni, e che perciò, una volta liberato, vede il mondo come un enigma incomprensibile, con gli occhi stupefatti, dubitanti, scettici, interrogativi di uno straniero che non capisce gli usi e costumi degli esseri umani, le loro strane abitudini e credenze e certezze, e non capisce lo stesso mondo della natura, sebbene gli sembri più amico, ospitale e in un certo senso più sincero, perché è sgombro da pregiudizi e categorie prefissate: confrontandosi con esso lo sguardo è libero, e la mente anche, il campo è sgombro da interpretazioni rigide e codificate, per gli altri ovvie, per lui assurde.
La natura gli sembra anche meno malvagia, si sente più a suo agio con gli animali, che si avvicinano a lui senza paura, mentre, con i suoi occhi non schermati di straniero al mondo, gli appaiono senza nessuna velatura o ottundimento sociale la malvagità degli uomini e la brutalità delle sue istituzioni, la Chiesa, le norme sociali, la condizione di asservimento delle donne per esempio (il film è ambientato nell'ottocento).
Non solo Kaspar, non abituato al mondo, non riesce a capire: ma si rifiuta anche di far finta di capire, si rifiuta categoricamente di accettare ciò che non capisce.
Questo tipo di sguardo, al di là del fatto che Kaspar abbia o meno mai letto in vita sua un solo libro di filosofia, è l'autentico sguardo filosofico: che precede e va al di là di qualsiasi discorso tecnico-filosofico, è la filosofia prima della filosofia, dello studio della filosofia, della storia della filosofia, della filosofia come branca del sapere, accademica e dotata di un suo specifico linguaggio, che molto spesso rischia di finire per ridurre i filosofi in mestieranti, saccenti e autocompiaciuti, aristocratici operai del sapere.
Ma invece ciò che veramente conta, per riflettere filosoficamente (cioè criticamente) sul mondo, ciò che è alla base di tutta la filosofia e che è alla fine l'unica cosa veramente importante di tutto il pensiero filosofico - sta tutto nello sguardo "alieno" e incapace di comprendere, ma anche di adattarsi senza comprendere, e desideroso in maniera smaniosa di comprendere, di Kaspar Hauser, della sua mente tabula-rasa che vede tutto per la prima volta e si domanda di tutto: perchè? che senso ha? e: ma sarà veramente così come lo spiegano tutti?
Uno sguardo di meraviglia irriducibile - che è il luogo della riflessione filosofica - ma anche il luogo della poesia, della profezia, dell'intuizione, dell'artista, del mistico, del visionario, del canto spontaneo, della distrazione rapita - di un rapporto con l'universo certamente condizionato, ma non addomesticato, dalle convenzioni sociali - un rapporto in cui l'individuo è libero, il suo sguardo è a diretto contatto con la natura, gli altri, le grandi questioni esistenziali - senza la mediazione di rassicuranti certezze convenzionali - il suo sguardo è puro - perché non parte dalle risposte già concluse - il suo cuore, la sua mente e la sua anima comunicano con il grande spazio aperto dell'universo alla deriva, indeterminato, indefinito - popolato di vita, sogni, emozioni e domande - e in cui le risposte dogmatiche rivelano il loro volto di spettri agghiaccianti.
Etichette:
acondizionamento,
amore,
animali,
cinema,
contraddizione,
credenze,
Diogene il Cane,
dubbio,
filosofia,
Herzog,
meraviglia,
misticismo,
non-senso,
Platone,
poesia,
scetticismo,
Schopenhauer,
spontaneità,
viandanti
lunedì 24 dicembre 2012
Esercizi di scollegamento e connessione/3.
"Esci dallo stagnamento cerebrale. Evoca pensieri
differenti. Altera il tuo stato di coscienza. Provocati.
Porta la tua mente a nuovi livelli di pensiero."
(Yamada Takumi)
Aggiungo: allenati a scardinare le abitudini.
Se sei un inguaribile ottimista, forse un po' ingenuo secondo alcuni, studiati il Mondo come volontà e rappresentazione di Schopenauer, o almeno leggiti la Genealogia della morale di Nietszche, o, se non sei un gran lettore, leggiti almeno qualche aforisma di Cioran. Potrebbe essere divertente e liberatorio.
Se sei un filosofo del pessimismo cosmico, leggi Louise Hay, obbligandoti a sospendere il giudizio per un tempo che ti appaia al limite delle tue possibilità.
Se sei un sedentario, obbligati ad andare a correre una volta alla settimana, o qualsiasi altra attività fisica che impegni veramente il corpo e faccia sudare.
Se sei un tipo concreto e atletico, legati alla sedia e leggi un libro intellettualmente impegnativo per almeno tre ore.
Se sei un intellettuale, se ti occupi per gran parte del tuo tempo mentale di filosofia o fisica quantistica, costringiti a riparare ogni tanto qualcosa in casa con le tue mani, o ancora meglio: costruisci qualcosa con le tue mani.
Se sei un tipo pragmatico, leggi Novalis o Rilke, studia Platone o Heidegger, vai a una conferenza di storia della matematica o epistemologia dell'astronomia.
Se sei un poeta, vai ogni tanto in discoteca. Potrebbe essere dura, ma magari ti dà del materiale preziosisimo su cui lavorare.
Se sei un discotecaro, vai a fare da solo una passeggiata in alta montagna.
Se pensi che sia giusto "affermare/che l'intelletto ha la colpa di tutto" (Wislawa Szymborska) prova a riflettere su quanti conformismi dagli esiti nefasti ha prodotto nella storia e produce anche oggi la scarsità di un'attenta, cauta, lucida analisi critica.
Se sei un iper-mentale, fai almeno una volta in vita tua un seminario con gli allievi di Osho. Impegnativo, ma salutare sperimentare.
Ovviamente, sono solo esempi.
L'obiettivo non è arrivare a chissà quale equilibrio super-partes, omnicomprensivo, capace di superare idiosincrasie, gusti, preferenze, punti di vista. Questo è non solo impossibile, ma anche assurdo, grottesco, disumano, mostruoso. Ognuno ha il carattere che ha. Ognuno trova le sue maniere, ed è giusto che le segua.
Il punto non è questo.
Il punto è semplicemente il fatto che seguire sempre le stesse rotte, mappe, tragitti, consuetudini neurali fa ammuffire il cervello. Ogni tanto, è necessario capovolgere le cose.
Ogni giorno, pensa almeno due cose mai pensate.
Ogni giorno, fai almeno tre cose mai fatte.
Valgono anche cose banali, non per forza grandi cose. Fare una strada che non hai mai fatto per tornare a casa. Mangiare con la sinistra (o con la destra se sei mancino). Lavarsi i denti senza dentifricio, o senza spazzolino. Pensare a come può vedere il mondo una coccinella.
basta una cosa minima, banale, ma inusuale, e i neuroni si riattivano, il cervello respira, il corpo si risveglia, il cuore batte si sveglia, e noi riscopriamo la meraviglia semplice e divertita dell' abitare in questo misterioso, complessissimo, enigmatico, multisfaccettato universo.
"Dall'avvento della meccanica quantistica, gli scienziati ci hanno detto che poche cose sono come sembrano e nulla è certo. pensa alle possibilità straordinarie che questo comporta: quando nulla è certo, tutto è possibile." (Paul Wilson)
Etichette:
?,
attimo,
azione,
condizionamento,
contraddizione,
coraggio,
credenze,
dadaismo,
decondizionamento,
ignoto,
libertà,
mancanza,
mente,
mentitore (paradosso del),
meraviglia,
non-mente,
sperimentazione
giovedì 20 dicembre 2012
le tele dell'Universo.
"Praticamente tutti gli uomini hanno la sensazione che la realtà sia più vasta di ciò che appare a prima vista.
Tra le nebbie dei nostri ricordi più ancestrali, sappiamo di avere dentro di noi poteri magici e miracolosi; l’ambiente intorno a noi ce lo ricorda costantemente. La scienza moderna ha dimostrato, al di là di ogni dubbio, che la “materia” quantistica di cui siamo fatti si comporta in modi apparentemente miracolosi. Se le particelle di cui siamo composti possono comunicare istantaneamente tra loro, essere in due luoghi allo stesso tempo, guarire spontaneamente e perfino cambiare il passato attraverso scelte operate nel presente, anche noi possiamo le stesse cose. L’unica differenza tra noi e quelle singole particelle è che noi siamo composti da molte particelle tenute insieme dal potere della consapevolezza.
I mistici antichi ricordavano al nostro cuore (e la scienza moderna lo ha dimostrato alla nostra mente) che la forza più potente dell’universo sono le emozioni presenti all’interno di ciascuno di noi. E questo è il grande segreto della creazione stessa: il potere di creare nel mondo ciò di cui nella nostra immaginazione siamo convinti. Forse sembra troppo semplice per essere vero, ma sono convinto che l’universo funziona precisamente così.
(...)
Come gli antichi iniziati avevano scoperto che tutto ciò che occorreva loro per vedere il mondo in modo diverso era una piccola spinta, forse tutto ciò di cui noi abbiamo bisogno è un leggero spostamento per vedere che siamo gli architetti del nostro mondo e del nostro destino, architetti cosmici che esprimono le proprie convinzioni interiori sulle tele dell’universo." (Gregg Braden, da un'articolo comparso in Italia sulla rivista Scienza e Conoscenza)
Prospettiva interessante.
Mi viene solo da aggiungere: se l'Universo è una tela su cui dipingiamo la Vita, la Morte, il Tempo, le Scelte, i Dissidi, le Contraddizioni, gli Enigmi, l'Ombra-Luce, la Vita-Morte-Vita, l'Amore, l'Odio, la Pace, la Guerra, la Felicità, la Disperazione, i Sogni, l'assenza di sogni, paesaggi apocalittici piuttosto che mari aperti con un buon sole caldo e un buon vento nella giusta direzione, in rotta verso isole di sconosciuto benessere, allora l'Arte, in tutti i suoi aspetti, è davvero il linguaggio magico dell'Esistenza.
Tra le nebbie dei nostri ricordi più ancestrali, sappiamo di avere dentro di noi poteri magici e miracolosi; l’ambiente intorno a noi ce lo ricorda costantemente. La scienza moderna ha dimostrato, al di là di ogni dubbio, che la “materia” quantistica di cui siamo fatti si comporta in modi apparentemente miracolosi. Se le particelle di cui siamo composti possono comunicare istantaneamente tra loro, essere in due luoghi allo stesso tempo, guarire spontaneamente e perfino cambiare il passato attraverso scelte operate nel presente, anche noi possiamo le stesse cose. L’unica differenza tra noi e quelle singole particelle è che noi siamo composti da molte particelle tenute insieme dal potere della consapevolezza.
I mistici antichi ricordavano al nostro cuore (e la scienza moderna lo ha dimostrato alla nostra mente) che la forza più potente dell’universo sono le emozioni presenti all’interno di ciascuno di noi. E questo è il grande segreto della creazione stessa: il potere di creare nel mondo ciò di cui nella nostra immaginazione siamo convinti. Forse sembra troppo semplice per essere vero, ma sono convinto che l’universo funziona precisamente così.
(...)
Come gli antichi iniziati avevano scoperto che tutto ciò che occorreva loro per vedere il mondo in modo diverso era una piccola spinta, forse tutto ciò di cui noi abbiamo bisogno è un leggero spostamento per vedere che siamo gli architetti del nostro mondo e del nostro destino, architetti cosmici che esprimono le proprie convinzioni interiori sulle tele dell’universo." (Gregg Braden, da un'articolo comparso in Italia sulla rivista Scienza e Conoscenza)
Prospettiva interessante.
Mi viene solo da aggiungere: se l'Universo è una tela su cui dipingiamo la Vita, la Morte, il Tempo, le Scelte, i Dissidi, le Contraddizioni, gli Enigmi, l'Ombra-Luce, la Vita-Morte-Vita, l'Amore, l'Odio, la Pace, la Guerra, la Felicità, la Disperazione, i Sogni, l'assenza di sogni, paesaggi apocalittici piuttosto che mari aperti con un buon sole caldo e un buon vento nella giusta direzione, in rotta verso isole di sconosciuto benessere, allora l'Arte, in tutti i suoi aspetti, è davvero il linguaggio magico dell'Esistenza.
Etichette:
arte,
coraggio,
credenze,
ecologia profonda,
fantascienza,
filosofia,
Fritjof Capra,
ignoto,
Il pianeta verde,
interdipendenza,
J.P.Sartre,
koan,
mancanza,
mare,
mente,
musica,
oceano,
panteismo,
poesia,
SCEGLIERE
giovedì 29 novembre 2012
smettere di avere scopi. compreso quello di smetterla di avere scopi.
smetterla di smettere.
http://www.youtube.com/watch?v=ki-INrfa3z8
http://www.youtube.com/watch?v=XzEFUfgJ6lU
http://www.youtube.com/watch?v=ILLZqmTfsNw&feature=watch-vrec
P.s.: rimane il problema - che non è cosa da poco, anzi forse è proprio il nodo della questione: può esistere qualcuno che insegni a non realizzare assolutamente niente, a non avere nessuna idea particolare di realizzazione da raggiungere: può qualcuno insegnare a non dipendere da nessuno scopo esistenziale-spirituale-ideologico particolare? E lo scopo di seguire quell'insegnamento? Più scopo, nel senso proprio di cui parlano i due video, di seguire un insegnamento spirituale preciso, insegnato e spiegato da qualcuno, non riesco a immaginare.
Del resto la stessa insegnante dei video accenna a questo tema: seguire un insegnamento, anche se questo insegnamento dichiara semplicemente l'accettazione di sé e della vita per come sono, senza aggiungere nessuna speranza o interpretazione particolari, è comunque un'ulteriore "speranza" trascendente, proiettante, di fuga - esattamente come sognare che un giorno quando si sarà ricchi si diventerà felici, o che un giorno quando ci si sarà abbastanza evoluti si raggiungerà il Nirvana.
Può esistere un insegnamento dell'inutilità di ogni insegnamento? Può esistere un anti-insegnamento?
Non saprei.
I due video restano in ogni caso estremamente interessanti, e a me hanno fatto provare un'indescrivibile pace - ma non una pace astratta, eterea, "spirituale", sognante, trascendente, ispirata, ma una pace derivante da un bellissimo fare la pace con sé stessi, così come si è, con il proprio brutto carattere, le proprie emozioni indisciplinate, la propria disarmonia, i propri limiti di ogni tipo, e la propria energia vitale che se ne frega di tutto questo e ride di sè, della vita, di quanto tutto questo sia comunque dannatamente bello.
http://www.youtube.com/watch?v=ki-INrfa3z8
http://www.youtube.com/watch?v=XzEFUfgJ6lU
http://www.youtube.com/watch?v=ILLZqmTfsNw&feature=watch-vrec
P.s.: rimane il problema - che non è cosa da poco, anzi forse è proprio il nodo della questione: può esistere qualcuno che insegni a non realizzare assolutamente niente, a non avere nessuna idea particolare di realizzazione da raggiungere: può qualcuno insegnare a non dipendere da nessuno scopo esistenziale-spirituale-ideologico particolare? E lo scopo di seguire quell'insegnamento? Più scopo, nel senso proprio di cui parlano i due video, di seguire un insegnamento spirituale preciso, insegnato e spiegato da qualcuno, non riesco a immaginare.
Del resto la stessa insegnante dei video accenna a questo tema: seguire un insegnamento, anche se questo insegnamento dichiara semplicemente l'accettazione di sé e della vita per come sono, senza aggiungere nessuna speranza o interpretazione particolari, è comunque un'ulteriore "speranza" trascendente, proiettante, di fuga - esattamente come sognare che un giorno quando si sarà ricchi si diventerà felici, o che un giorno quando ci si sarà abbastanza evoluti si raggiungerà il Nirvana.
Può esistere un insegnamento dell'inutilità di ogni insegnamento? Può esistere un anti-insegnamento?
Non saprei.
I due video restano in ogni caso estremamente interessanti, e a me hanno fatto provare un'indescrivibile pace - ma non una pace astratta, eterea, "spirituale", sognante, trascendente, ispirata, ma una pace derivante da un bellissimo fare la pace con sé stessi, così come si è, con il proprio brutto carattere, le proprie emozioni indisciplinate, la propria disarmonia, i propri limiti di ogni tipo, e la propria energia vitale che se ne frega di tutto questo e ride di sè, della vita, di quanto tutto questo sia comunque dannatamente bello.
Etichette:
acondizionamento,
credenze,
jiddu krishnamurti,
meditazione,
mente,
non-azione,
non-mente,
non-senso,
nonsempresonod'accordoconlamiaopinione,
Shivaismo Tantrico del Kashmir,
spontaneità,
u.g.krishnamurti,
yoga
mercoledì 27 giugno 2012
panteismo pànico.
"Rido di te, di me, di tutto ciò che di mortale c'è -
- e che mi piace!" (Jovannotti)
Mi piacciono tutte le razze, tutti i credo religiosi e tutte le loro infinite declinazioni opinionistico-personali; tutte le opinioni ideologiche, tutte, anche le più bizzarre, formulazioni esistenzial-spiritual-filosofico-ateo-agnostico-superstizioso-fideistico-radical-conservatore-qualunquistico-rivoluzionarie, come anche gli atteggiamenti personali più diversi che se ne possono trarre, e qualsiasi altra particolarissima forma di idiosincrasia nevrotica parziale e selettiva.
Indagare i meandri sottotraccia di tutte queste infinite coniugazioni, sintesi e costruzioni dell'animo umano, sempre mutevoli, imprevedibili, sorprendenti, inesauribili - voler comprendere con intelligenza emotiva partecipe, non con semplice sguardo di analisi intellettuale, tutti questi innumerevoli fantasmi, è l'avventura filosofica più incredibile e affascinante che si possa concepire.
E allo stesso tempo, anche la più grande, totale, colossale perdita di tempo.
Io rido di tutto questo, rido di ognuna di queste cose, della loro indefinibile somma, rido del mio ridere e della serietà con cui rido del mio ridere.
E, allo stesso tempo, riconosco in tutto ciò un germe di Vita.
- e che mi piace!" (Jovannotti)
Mi piacciono tutte le razze, tutti i credo religiosi e tutte le loro infinite declinazioni opinionistico-personali; tutte le opinioni ideologiche, tutte, anche le più bizzarre, formulazioni esistenzial-spiritual-filosofico-ateo-agnostico-superstizioso-fideistico-radical-conservatore-qualunquistico-rivoluzionarie, come anche gli atteggiamenti personali più diversi che se ne possono trarre, e qualsiasi altra particolarissima forma di idiosincrasia nevrotica parziale e selettiva.
Indagare i meandri sottotraccia di tutte queste infinite coniugazioni, sintesi e costruzioni dell'animo umano, sempre mutevoli, imprevedibili, sorprendenti, inesauribili - voler comprendere con intelligenza emotiva partecipe, non con semplice sguardo di analisi intellettuale, tutti questi innumerevoli fantasmi, è l'avventura filosofica più incredibile e affascinante che si possa concepire.
E allo stesso tempo, anche la più grande, totale, colossale perdita di tempo.
Io rido di tutto questo, rido di ognuna di queste cose, della loro indefinibile somma, rido del mio ridere e della serietà con cui rido del mio ridere.
E, allo stesso tempo, riconosco in tutto ciò un germe di Vita.
"Nessuno è perso, nell'infinito. Terribile è perdersi, sentire di essere persi, nel finito." Guido Ceronetti
"Quando conferiamo al comune un senso più elevato, all'ordinario un aspetto misterioso, al noto la dignità dell'ignoto, al finito un'apparenza infinita allora io lo romanticizzo." (Novalis
"Quando conferiamo al comune un senso più elevato, all'ordinario un aspetto misterioso, al noto la dignità dell'ignoto, al finito un'apparenza infinita allora io lo romanticizzo." (Novalis
Etichette:
condizionamento,
credenze,
Dioniso,
Guido Ceronetti,
ignoto,
Jovannotti,
nevrosi,
nichilismo,
non-senso,
Novalis,
panteismo,
simulacri,
sogni,
vita
Iscriviti a:
Post (Atom)