di-segno di Sacrilegio Tempesta

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pARTICOLARE DI "Autunno", quadro di Diogene senza l'anima?. Foto di Sacrilegio Tempesta.
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martedì 8 aprile 2014

IL PENSIERO E' FASCISTA. IL CORPO SA TUTTO QUELLO CHE DEVE SAPERE. LASCIARE FARE AL CORPO.





"Il corpo sa tutto quello che deve sapere" (U.G. Krishnamurti)

Leggiamo oggi per l'ultima volta qualche brano tratto da L'inganno dell'illuminazione di U.G. Krishnamurti:
"Il corpo è capace di percezioni e sensazioni straordinarie. Non so chi l'ha creato. Ma è una meraviglia. [...]
Quando l'organismo si è liberato dalla stretta mortale del pensiero, ogni vostro tentativo di creare pace e armonia produce soltanto confusione e violenza. Sarebbe come ricorrere alla guerra per portare pace in un mondo che è già pacifico per conto suo. [...]
Il controllo sul corpo, esercitato dal pensiero, ha distrutto negli esseri umani la possibilità di diventare completi in se stessi. [...]
Il pensiero non è lo strumento idoneo per vivere in armonia con la vita che ci circonda. [...]
Il nostro nemico è il pensiero. Nella lunga corsa, il nostro credo, la nostra speranza, la nostra fede che il pensiero potesse aiutarci nel risolvere i problemi che ha creato è un'idiozia.
Anche l'idea che voi dobbiate controllare il vostro pensiero per raggiungere uno stato di pace senza pensieri è stato creato dalla mente, affinché essa possa mantenere la sua continuità mediante qualche piccola esperienza, qualche stato privo di pensieri creato dalla stessa mente.
Non è con la mente che potete sbarazzarvi della mente.
Noi pensiamo di sapere molte più cose di quante ne sappia il nostro corpo, e questo è il motivo per cui gli abbiamo creato tanti problemi. Il corpo sa tutto quello che deve sapere. Non ha bisogno di imparare niente da noi. Se potessimo capire questa semplice relazione che esiste tra il pensiero e il corpo, allora probabilmente lasceremo il corpo funzionare da solo. Il pensiero può soltanto creare problemi, non può aiutare a risolvere problemi. Nella sua essenza il pensiero è fascista. È un meccanismo che vuole controllare tutto ed è interessato principalmente alla sua sopravvivenza, ma è fondamentalmente in opposizione con il funzionamento di questo organismo vivente.
L'intelligenza straordinaria dell'organismo biologico è tutto quello che serve per vivere, ma noi usiamo continuamente il pensiero per interferire in ogni momento col naturale funzionamento dell'organismo.
L'organismo vivente è come un computer dotato di un'intelligenza straordinaria, che funziona un po' come un registratore. Il registratore non si chiede mai: «Com'è che funziono?». [...] Ma voi state a porvi domande in continuazione.
Perché vi occupate di tutte queste cose? - «Chi ha creato questo mondo?», «Perché viviamo?». Lasciate tutte queste domande ai metafisici e agli scienziati.
- Probabilmente abbiamo paura di morire.
Abbiamo paura di giungere a una fine.
- Sì, io non voglio arrivare a una fine. Lei non ha paura di arrivare alla fine?
Non c'è niente qui che possa arrivare a una fine.
Niente giunge a una fine tranne quel qualcosa che non vuole arrivare a una fine.
[...] Se noi usiamo lo strumento del pensiero per cercare di raggiungere l'impossibile meta di una felicità permanente, la sensitività del corpo viene compromessa.
[...] La funzione del cervello in questo corpo consiste semplicemente nel prendersi cura delle necessità dell'organismo fisico e nel mantenere la sua sensitività, mentre il pensiero, con la sua continua interferenza con l'attività sensoriale, distrugge la sensitività del corpo. Qui sta il conflitto.
Al corpo non interessano le esperienze che la mente cerca. Non interessano neanche le cosiddette esperienze spirituali. Tutto ciò che è necessario per la sopravvivenza di questo organismo vivente è già qui. [...]
Dovete togliere di mezzo tutto per scoprire qualcosa [...]. Nulla potrà esservi d'aiuto, né la cultura, né l'umiltà, né il coraggio. Non c'è proprio nulla che possiate fare [...].
... Allora bisogna proprio buttare via tutto?
No, non c'è niente da buttare via. Quello che gettate via e l'atto stesso di rifiutare qualcosa non influiscono minimamente sull'effettivo funzionamento del vostro organismo. Quando vi rendete chiaramente conto di questo fatto, capite che non c'è nulla da buttare via, nulla a cui si debba rinunciare.
Quando, per un qualche strano caso o miracolo, vi viene mostrato che lo strumento che state usando per cercare di capire ogni cosa non è uno strumento di conoscenza, e che non esistono strumenti di conoscenza, la cosa vi investe come un fulmine. [...]
Il cuore non sa che sta pompando il sangue. Non si chiede mai: «Mi sto comportando bene?». Funziona e basta. Non si domanda: «C'è un qualche senso in quello che faccio?».
La domanda: «Qual è lo scopo della vita?» per me non ha nessun significato. Voi vivete in un mondo di idee. Non siete in contatto vivo con nulla" (pp. 100-106, 109-110).


domenica 2 marzo 2014

Neil Gaiman, la decreazione e "Obediah il disinventore"


Neil Gaiman dà - in un certo senso - la sua personale interpretazione, ironica e fantascientifica, del concetto simoneweiliano di decreazione - o discreazione - in un singolare, bizzarro racconto brevissimo tra il fantastico puro e l'umoristico assurdo, fugace visione elettrica che appartiene in tutto e per tutto al genere del mini-racconto di fantascienza, genere tradizionalmente molto basato su colpi di scena, paradossi e imprevisti inaspettati, shockanti o comunque cortocircuiti che ribaltano le prospettive, nell'arco di poche righe o poche pagine.

Qui - in una versione eterea, leggera, ludica di questo genere - divertente nonsense fantastico fine (forse) a sè stesso - un tizio dall'aria stravolta e scarmigliata entra in un pub, ordina un whisky e dichiara di essere un "disinventore". La maggior parte della gente si allontana giudicandolo un matto, qualcuno forse per ammazzare la noia abbocca all'amo e chiede spiegazioni. Mentre lo strano individuo parla, un discreto capannello di gente gli si forma attorno, continuando ad ingrossarsi.

Obediah Polkinghorn - così c'è scritto sul suo biglietto da visita - spiega: il suo lavoro, non facile, estremamente faticoso, è "dis-inventare" tutte le invenzioni che a suo giudizio hanno avuto conseguenze nefaste sulla vita degli esseri umani, a cominciare dagli zaini volanti per andarsene in giro per aria, e dalle macchine volanti, ovviamente. Naturalmente, la "dis-invenzione" è una reale decreazione: "Discreazione: far passare qualcosa di creato nell'increato." (Simone Weil): l'oggetto, tecnica, gadget, servizio, chincaglieria, macchina, apparecchio o mercanzia semplicemente smette di essere mai esistito, e naturalmente ne sparisce anche il ricordo, o meglio forse anche il suo ricordo non è mai esistito. Paradossalmente, il dis-inventore ricorda invece tutto ciò che ha dis-inventato.

Non aggiungo maggiori dettagli perchè vale la pena di andarsi a cercare la raccolta di racconti fs di autori diversi Il fantasma di Laika (tradotto in Italia in Urania Millemondi 64, uscito quest'estate) in cui è contenuto "Obediah il disinventore" e leggerselo (ci sono molti altri bei racconti nella raccolta).



Obediah Polkinghorn si sente molto utile al mondo.



In effetti avrei una lunga lista personale di invenzioni da disinventare da proporgli, se lo incontrassi....... ....per risalire la corrente del divenire fino a un attimo di inconcepibile, magico, atemporale disfarsi dell'irreversibile, dissolvenza comica del necessario in cui ripensare, creare altri mondi possibili, ricreandosi, rilassandosi, liberandosi nel fluire di possibilità d'essere, strutture mentali, possibilità emotive de-rigidificate, de-raggelate, de-create... tornate alla possibilità dell'apertura, dell'invenzione, della creatività, della possibilità di scelta: all'orizzonte verticale, trapezista, imprendibile, insondabile, ignoto, peripeziante, avventuroso, immaginifico, funambolico, aviatore, aliante, deltaplanista, aereo, solare, sognatore, artistico, audace della libertà.







mercoledì 27 novembre 2013

Assenza



Nell'Attenzione. Le pulsioni e le illusioni, gli impeti e le chiusure, le frane, le esplosioni e le fughe, le paralisi, gli assensi, gli entusiasmi e i rifiuti, non hanno più bisogno di urlare affannarsi affrettarsi, smaniare oppure reprimersi.

Senza più nè affermazione nè negazione.

Stanno.

Immobili, increduli, tremanti, tranquilli, profondi, stupefatti, de-costruiti, semplicemente presenti, s'ammutoliscono.

Fiamma di candela. Oscilla, con ritmo vario irregolare alterno.

Luci.

Ombre.

Rappresentazioni.

Teatro d'ombre.

Caverna platonica.

Maschere.

Curiosità, consapevole ignoranza diventa la pienezza - il senso - la verità - la certa determinazione.

Per non-sapere, occorre una con-versione.

Convertirsi al silenzio senza risposte.

All'attenzione senza un centro.

Al Tao senza dottrina.

Al grande vuoto senza teorie sul grande vuoto.

Alla Grande Disperazione.

Alla completa assenza di risposte.

Alla paura della morte.

Di fronte alla quale tutto sparisce, s'annulla, perde senso.

L'ipocrisia della Luce.

La falsità della musica.

Scomposti rumori appaiono e scompaiono senza nessuna logica o ordine.

L'anima grida.

Poi ammutolisce.

Quale anima?

Quale silenzio?

Polifonia di rumori casuali sovrapposti.

C'è un'armonia?

Contraddizioni, assurdità, rumore, non senso. Casualità insensata.

Non senso che invade ogni cosa.

Ogni barlume di senso è falso e contraddittorio.

Contraddizione/crocifissione.

Attenzione.

Anche di fronte a questo, Attenzione.

Non decidere, non commentare: osservare.

Attenzione in ogni direzione, verso ogni possibilità, ogni opzione, ogni scelta, ogni interpretazione.

Abbracciare la morte e la vita, contemporaneamente.



"Il mondo è fatto di sostanze grossolane e di sostanze sottili e fa da velo a sè stesso, di modo che non può vedere Iddio proprio perchè si vede. Dio resta sempre sconosciuto, così all'intuizione come alla contemplazione, poichè l'effimero non ha presa sull'eterno. Non è possibile avvicinare la divinità sicchè abbia accesso ai nostri occhi. Non è corredata di umana testa sulle membra, nè di piedi, nè di agili ginocchia, nè di vergogne pelose, ma è Intelletto, sacro ed ineffabile, che con rapidi pensieri, per l'universo intero si squaderna." (Ibn-Arabi)


Immotivati asimmetrici tonfi aritmici.

Ritmo spezzato.

Ritmo.

Cecità casuale.

Note/tessere/atomi/molecole/rapporti geometrici.

Scale.

Arpeggi.

Melodie, non prive di una loro dolcezza.

Armonie, non pre-costituite.

Assenza completa di risposte, di senso,

vuoto spinto siderale,

e, tra gli atomi dell'universo casuale,

un segreto immenso di Silenzio,

una melodia sconosciuta,

una nota imprevista che ci fa scuotere

il cuore verso l'Alto,

scoperchiare il cervello verso l'Altro,

verso l'inconoscibilità

della Divinità Ignota.






https://www.youtube.com/watch?v=xOltVjIR1yE







Post scriptum: ho steso questo testo durante l'ascolto dell'opera di Battiato "Gilgamesh" (vedi link). Si tratta delle sensazioni, impressioni e riflessioni generate dall'incontro con questa composizione sonora.




lunedì 12 agosto 2013

-sganciando-/2

Com'è futile proiettare nozioni di essere e non essere sulla realtà continua, informe e inconcepibile !
Che miseria aggrapparsi a illusioni circa una sostanza irreale !
Ripara dunque nello spazio del piacere senza concetti e senza forme.
Scaccia dalla mente ogni dualità e contrapposizione di puro e impuro, bene e male, sé e altri, successo e fallimento, vita presente e dopo la morte, nascita e decesso... Giungerai a comprendere a fondo che tutto è creato dal proprio pensiero, il quale è insussistente.
A quel punto ci si ritroverà avvolti di beatitudine, vuoti e limpidi si raggiungerà quel nulla che non ha né passato né futuro né presente, il quale appare, ma si sottrae all'espressione verbale.

Questo stato naturale di quiete è sempre con noi, ma non può provenire da niente di tangibile: è simile ad un vento che arrivi improvviso da nessuna parte.
Non ha materia né colore, non è oggetto né soggetto, non si lascia afferrare essendo una vacua limpidezza che non si ghermisce con alcun senso, ma si intuisce. Non c'è niente da afferrare né fuori né dentro di noi e non si deve desiderare niente, ci si trova in questo stato spontaneo in un lampo che sarà ineffabile a parole. Tutto è vacuità e consapevolezza. Basta coglierle senza agire, senza ricorrere a formalismi e contorsionismi verbali.

- G. Chowong



P.s.: grazie ad Anima Libera per la segnalazione.


domenica 4 agosto 2013

-

Affermare. Cioè, contraddirsi, creare paradossi, assurdità. Contraddirsi: cioè, creare spazio vuoto. Creare spazio vuoto: e cioè, pregare, invocare, chiamare qualcosa di insperato, invisibile, sconosciuto, inconcepibile, inesistente. Altro, alieno, straniero, inimmaginabile, puro, completamente inedito, incondizionato, immacolatamente selvatico, Enigma, Mistero, Silenzio, incomprensibile, imprevedibile, inspiegabile, non-enunciabile, non-affermabile, non-definibile, non-determinabile, vuoto, oscuro, paradossale, miracoloso. De-creare il noto per attirare il Portento. (Diogene senza l'anima?)

lunedì 24 giugno 2013

REPORTAGE FOTOGRAFICO DA VIA DELL'IRONIA, MILANO./1




Prima puntata del reportage fotografico da Via dell'Ironia, Milano.

Tutte le foto di Diogene senza l'anima?, tranne quelle (dove indicato) di Sacrilegio Tempesta.

Tutti i diritti riservati.

























P.s.: tutti i volantini con poesie sono firmati con sigle. In tutti è indicato questo sito di riferimento:









(La foto qui sopra è di Sacrilegio Tempesta)






(La foto qui sopra è di Sacrilegio Tempesta)






















lunedì 13 maggio 2013

percepire senza credere-

"Posso pretendere di avere una percezione chiara ?
Sto deformando ciò che percepisco ?
Sto interpretando ciò che percepisco ?
Attraverso il mio immaginario, ovvero attraverso le mie credenze, il mio sapere, i miei a priori, i miei giudizi
Non c’è per caso un filtro permanente, che mi vela il reale e snatura la mia percezione ?
Sono capace di vedere gli esseri, ciò che mi circonda, gli eventi e il mondo come se fosse la prima volta ?
Sono capace di vivere una percezione sensoriale o emotiva come se la ricevessi per la prima volta ?
Senza sapere, senza memorie, senza a priori, senza giudizi.
Il filtro della mia memoria, del mio sapere, delle mie abitudini, del mio bisogno di sicurezza, ricopre il reale rendendolo inaccessibile ?
Sto percependo solo il mio immaginario, la mia proiezione ?"

        Nathalie Delay, dall'articolo:



domenica 12 maggio 2013

José Angelo Gaiarsa: FAME D'ARIA!!!!


"Nessuna costituzione
E nessuna rivoluzione
Mai hanno pensato di garantire agli uomini
Il Diritto di Respirare.



Nessun diritto è più necessario,
in quanto viviamo tutto il tempo soffocandoci gli uni con gli altri,

Tu mi soffochi:


  • Ogni volta che non posso dire a te quel che faccio quel che sento e quel che penso.

  • Ogni volta che devo controllare la mia voce e i miei gesti, per far sì che tu non percepisca le mie intenzioni.

  • Ogni volta che devo giustificare ciò che faccio dinanzi al mio Giudice  interiore – che sei tu.

  • Ogni volta che reprimo i miei desideri perché tutti vigilano su tutti, perché nessuno faccia quel che tutti vorrebbero fare e che sarebbe bene che tutti facessero: amare, cantare, ballare…
La mia vendetta è fare lo stesso con te.

Per questo viviamo tutti soffocandoci,
   e mai si è pensato di garantire a tutti il diritto di respirare.
            Noi ci neghiamo il più fondamentale dei diritti: il diritto di vivere.
            Per questo viviamo soffocati, angosciati, infelici.


            È necessario rinascere, è possibile rinascere."








(dalla quarta di copertina di “Respirazione angoscia e rinascita” di José Angelo Gaiarsa, psichiatra e psicoanalista decisamente eretico, che ha messo a punto una psicologia che è una sintesi tra psicologia simbolica del profondo Junghiana e analisi corporea Reichiana.


Le seguenti citazioni sono tratte dall'eccellente articolo di Virginia Salles su Gaiarsa al link:



http://www.artiterapielecce.it/index.php?option=com_content&task=view&id=298&Itemid=155




(p.s.: l'articolo a questo link non è firmato, ma si vede che è un articolo di Virginia Salles a questi due altri link, con estratti più brevi, firmati:



 http://www.virginiasalles.it/pag_estr_fame.php


http://www.centrostudipsicologiaeletteratura.org/arsal1.html 








"Nelle sue opere Gaiarsa compie una sintesi, una vera e propria congiunzione di opposti tra la “psicologia del profondo” di C. G. Jung e quella “del corpo” di W. Reich offrendo una visione dell’uomo più completa. I libri di Gaiarsa sono allo stesso tempo l’esposizione di una teoria e la storia di questa teoria. In essi l’autore, con un linguaggio molto spontaneo, frasi scherzose, racconta fatti personali, peculiarità della propria vita, le sue battaglie esistenziali lungo un difficile e travagliato percorso evolutivo. Nel capitolo intitolato“Io e il mio cuore” Gaiarsa si racconta: “Prima di approfondire lo studio della respirazione, parlo di me e del mio cuore. Sono stato un angosciato cronico durante la metà della mia vita, e tutto ciò che è scritto qui  proviene dal mio sentire e dal mio soffrire…”. “Ho vissuto con questa oppressione per molti anni, sembrava una ferita aperta dolente e sempre sanguinante, ed io tiravo la spalla sinistra sul corpo nell’intenzione di proteggere il cuore. Non percepivo che nel proteggerlo lo stringevo ancora di più. Ma io dovevo trattenere quello che nel mio petto voleva espandersi… La mia vita, l’aria respirata che si diffondeva dentro di me, il sangue che si espandeva nel mio corpo. Questo è ciò che si può sentire come vita. Questo io lo so adesso che ho 70 anni…Allora non stavo vivendo, stavo morendo…”.   “Ma la paura continuava, di morire di cuore. Era profonda. Era quasi desiderio. Vivere male fa venire la voglia di morire…”. “Molti, molti anni fa, quasi morii il giorno in cui mi sentii felice. Il petto ha iniziato a espandersi tanto che ho avuto paura che quella cosa, la felicità, il mio petto non la contenesse. Erano sentimenti, sensazioni nel petto, e li ho trattenuti, è chiaro…è molto difficile imparare a lasciarsi andare. È molto difficile sentirsi felice, non ci è permesso, non siamo abituati, è proibito…voler espandere il petto, sentire il cuore che galoppa come il cavallo del cavaliere errante di desiderio, di ricerca, di eroismo, di fuoco, di vita piena, densa, forte…voler amare è questo…”."



"Già dai tempi più remoti le parole relazionate con l’aria, l’atmosfera, o la   “respirazione” sono le stesse usate per descrivere concetti religiosi. Per esempio, in alcune lingue antiche come il greco o il latino le parole aria, vento, soffio, sono le stesse che esprimono idee come Vita, Spirito, Dio… Gaiarsa ci propone alcune analogie: l’atmosfera come Dio è infinita, l’aria, così come Dio sta misteriosamente in tutti i posti allo stesso tempo, è onnipresente. Dio vede tutto, è il Trasparente e il Luminoso per eccellenza: è luce. Le parole camminano nell’aria che le contiene tutte: è onnisciente. Gli uomini hanno sempre fatto la guerra per tutto ciò che esiste di concreto, immaginario o simbolico che sia… Ma non hanno mai lottato tra loro per l’aria che respirano, aria che esiste in abbondanza per tutti: i buoni e i cattivi. Quindi l’aria come Dio è amore."


"Le parole di Durckheim: "Nella respirazione partecipiamo inconsciamente alla Vita più grande",  e quelle di Lowen: "Attraverso la respirazione diveniamo consapevoli della pulsante vitalità del nostro corpo e sentiamo di essere una sola cosa con tutte le creature pulsanti in un universo pulsante"  ci ricordano la visione orientale secondo la quale l'Atman, l'individualità, il piccolo spirito contenuto nel profondo del nostro petto è lo stesso Grande Spirito che soffia la vita nell'universo. Quest'universalizzazione del singolo si avvicina ad alcune riflessioni di Jung che sottolinea l'aspetto terapeutico dell'allargamento della prospettiva individuale verso una dimensione più ampia e universale. I buddisti esprimono l’idea che la realtà ultima, Sunyata (vuoto o vacuo), è un vuoto vivo che genera tutte le forme del mondo dei fenomeni. Lao Tse utilizza varie metafore per illustrare questo vuoto, comparando il Tao a un vaso permanentemente vuoto che contiene un’infinità di cose. Quindi per gli orientali la Divinità è un Vuoto Creatore, il che ci fa pensare al vuoto polmonare, senza il quale non esisterebbero né vita né parola.Il polmone non è un organo in senso attivo, cioè nel senso che fa qualcosa, è piuttosto un luogo o un vuoto. I polmoni non “fanno” la respirazione, appena permettono che questa avvenga (un passaggio dell’ossigeno attraverso le membrane dell’alveolo polmonare). La sua funzione respiratoria è quindi quella di essere un vuoto e niente più, ed è da questo vuoto che nascono tutti i processi vitali! Da questo punto di vista, secondo Gaiarsa, il vuoto creatore sono i polmoni. La respirazione non è soltanto una funzione interna all’organismo; è soprattutto un atto di “relazione”: relazione con il mondo, con l’atmosfera, relazione  con gli altri attraverso la voce/parola, relazione con se stessi."



"Tutti noi soffriamo una dissociazione più o meno grave tra quello che abbiamo appreso dall’esterno, dagli altri, e quello che percepiamo interiormente, quello che in un certo senso “apprendiamo” dalla nostra esperienza non verbale di vita. È verbale quasi tutto l’“insegnamento” che riceviamo dal mondo. Da piccoli ascoltiamo dalle autorità una serie di regole e “verità” a volte molto discutibili, che ci vengono presentate come verità sacre. Queste “verità” hanno a loro favore l’adesione di quasi tutti, che in coro ripetono sempre le stesse cose (Gaiarsa parla di “voce del coro”); essere plasmati da questo insegnamento trasmesso tramite parole, significa perdersi nel collettivo, cioè “vivere secondo i precetti del super-io”. Nello stesso tempo noi viviamo le nostre esperienze di vita, sentiamo, vediamo, sperimentiamo, godiamo e soffriamo sulla nostra pelle, particolari sensazioni, stati d’animo, percezioni corporee alle quali spesso non viene data voce e che quindi rimangono la maggior parte delle volte inconsce. Infatti “cosciente” vuole dire soprattutto verbale; “inconscio” significa principalmente non verbale: sensazioni fisiche, smorfie o contrazioni viscerali, suoni vocali, relazioni e forme che non hanno un nome. Tutti noi abbiamo tratto, da questa esperienza vissuta non verbale, una certa personale filosofia di vita, più o meno inconscia, che si esprime attraverso la nostra voce interiore. Abbiamo però paura di ascoltarla, perché questa voce della nostra esperienza molto spesso  contraddice la “voce del coro” che sentiamo tutti i giorni,  non solo intorno a noi ma anche dentro di noi (interiorizzata), e che è più rassicurante. Abbiamo paura della nostra voce, della nostra intima verità perché diverge dalla opinione collettiva: seguirla ci potrebbe portare alla solitudine o ad essere vittime del pettegolezzo, dell’ostracismo. Le vittime dello Spirito del Coro trascorrono la vita nella continua e penosa sensazione che qualcosa li soffoca, tutta la vita aspettando un momento di respirazione libera, con l’anelito di espandersi e con la paura di farlo; respirare sino in fondo significa abbandonare lo Spirito del Coro e rimanere soli. Nella pratica psicoterapeutica è importante riconoscere la voce dello Spirito del Coro (lo spirito di tutti), secondo Gaiarsa il più pericoloso di tutti i demoni che possono possedere un essere umano. Una volta interiorizzato esso ci “parla” da dentro”, la sua musica è diversa dalla musica della voce autentica. Secondo le differenti intonazioni, modulazioni, inflessioni e ritmo della voce si può percepire “chi” o “cosa” sta parlando in ogni momento."





"Il pensiero come la respirazione può essere volontario, ma generalmente non lo è. Come ci “vengono” i pensieri in testa? Sembra che i nostri antenati, ignorando da dove arrivassero la parola e il pensiero, attribuissero all’aria la proprietà di portarli fino a loro. I nostri pensieri allora “ci arrivano” come la respirazione. “Ci arrivano” attraverso l’aria che inaliamo, generando in noi idee, immagini, poemi… È un processo molto somigliante all’invisibile a cui aspiriamo e che in noi si concretizza in vita. In questo caso si potrebbe dire, con Gaiarsa, che quello che ispira il poeta sia l’aria che lui inspira.Così il nostro vuoto creatore sembra contenere idee, messaggi, trasportati dalla respirazione. Idee, messaggi e pensieri che “ci vengono” in mente dall’aria che inaliamo e che poi escono, tramutate in parole, formate dallo stesso invisibile che ci ha ispirato.  Il “pensiero” quindi galleggia nell’aria, sta nell’invisibile che mi dà vita, se io me ne approprio. È come se ci fosse un grande spirito fuori di noi e un equivalente di questo grande spirito dentro di noi (Jung lo chiama inconscio collettivo) che ci trascende e in un certo senso ci governa, indipendente dalla nostra volontà e dalle nostre intenzioni. Analogamente esistono tante parole dentro di noi quante ne esistono fuori di noi, molte dalle quali aleggiano nell’aria…in attesa di essere pronunciate. Nell’“inspirazione” il polmone viene assimilato alla testa, dove “le idee arrivano” misteriosamente, così come misterioso è lo spirito."


"Per il neonato espirare tutta l’aria è morire, quindi è costantemente minacciato di asfissia e riesce ad evitarla attraverso uno sforzo continuo contro il “collasso dei polmoni” che significa soffocamento e morte. È questo movimento espansivo della muscolatura toracica che in un certo senso “fabbrica” i polmoni. Il movimento respiratorio è eseguito da muscoli obbedienti alle nostre intenzioni e, nel realizzarsi, provoca sensazioni sia nella muscolatura sia nei propri polmoni. È attraverso questo movimento che secondo Gaiarsa, il neonato indifferenziato “si fa ego”.  Il proto-ego del neonato quindi si fa e si disfa a ogni movimento respiratorio. Le sensazioni più fondamentali dell’ego sarebbero quindi quelle di formarsi e fondersi, integrarsi e disintegrarsi. Il timore di lasciare andare l’espirazione “fino in fondo” e quindi “morire” sussiste, secondo Reich, in tutte le nevrosi. L’espirazione è un fenomeno passivo, significa “lasciarsi andare”, è il momento della resa, del “non io”, dell’abbandono,   dell’incoscienza, non viene fatta, ma semplicemente “accade”, mentre l’ispirazione è attiva, è espansione, autoaffermazione, è un “darsi la vita”. Per questo la definizione fondamentale di nevrosi è il controllo, la rigidezza di comportamento, il non lasciarsi mai andare. Il contrario della nevrosi, in termini positivi, sarebbe allora “arrendersi” e “pulsare”, vivere in quanto trasformazione, oscillare sempre tra ispirazione e espirazione, tra creazione e distruzione. Ogni volta che ci vogliamo “controllare”, che non vogliamo fare emergere un’emozione, respiriamo in modo insufficiente fino all’apnea. È trattenendo la respirazione che, già da molto piccoli, iniziamo a controllare le nostre emozioni e i nostri sentimenti.  Dalla libertà respiratoria nasce invece la sensazione di essere vivi, in comunione con il Tutto, e questo vissuto può essere talmente intenso e dilagante che può sfociare persino nel delirio di onnipotenza, nella sensazioni di magia e di potere eccezionale."


"Tutte le scuole di psicologia condividono il valore e l’importanza di vivere e sentire il presente, il “qui e ora” che scaturisce dal contatto profondo con se stessi, con le proprie emozioni. Un’emozione è sempre accompagnata da un’alterazione viscerale e motoria che avviene spontaneamente e molto rapidamente ogni volta che ci troviamo dinanzi ad un ostacolo, una minaccia o una promessa, dinanzi a qualsiasi situazione affettivamente significativa. I primi segnali di emozione/desiderio sono l’accelerazione cardiaca e la variazione respiratoria. Se tratteniamo il respiro, senza l’ossigeno, viene a mancare al desiderio la forza della passione. Le emozioni toraciche sono perciò i segnalatori più sensibili e più veloci della repressione o liberazione emotiva. “Non esiste”, afferma Reich, “repressione senza restrizione respiratoria”. Noi civilizzati respiriamo molto al di sotto delle nostre potenzialità respiratorie, e quindi sentiamo molto meno delle nostre potenzialità emotive. È come se avessimo  perso il contatto con la vita che pulsa dentro di noi. A volte non percepiamo ne’anche di essere vivi e che la  vita è emozione; preferiamo il controllo e la sicurezza. Preferiamo, come sostiene Gaiarsa, la routine, che è “l’incoscienza o la coscienza di ‘tutto uguale’ e ‘sempre uguale’. È la vita a livello automatico. È essere senza percepire. È stare con il cadavere qui e la mente non so dove. È trovarsi a reagire nei confronti delle persone come se fossero altre, o nate per rispondere ai miei desideri e timori… È  un passare senza guardare, un guardare senza vedere, un passare senza percepire e un vivere senza sentire…” . È bello il volto di una persona triste, è vivo e ha una sua pienezza. La tristezza è un’emozione e così come la rabbia ha la sua dignità e autenticità. Qualsiasi emozione (anche un’emozione “negativa”) in un modo o nell’altro ci rende più vivi, più che in quei momenti in cui “non sentiamo niente”. “Se sono vivo, sono quindi emozione, movimento, creazione continua, instabilità totale, incertezza permanente”.


"Qualcosa ci stringe e ci angoscia quando siamo limitati, stretti nelle nostre possibilità di espressione; quando ci vengono imposti modelli, formule o principi, quando è ristretta la libertà. Parole come anelito, struggimento, logorio…significano “un desiderio che non respira bene”, un desiderio “che stringe”, un desiderio imprigionato…un’ispirazione impedita. Come già diceva Freud tutte le aspirazioni contenute così come tutti i desideri che non si realizzano si trasformano in “una stretta”, cioè in ansietà o angoscia. Tutta l’angoscia nasce da un desiderio o da una necessità di compiere un’azione, prendere una decisione o assumere un atteggiamento, che io non compio, non prendo, non assumo; può essere comparata alla situazione di un automobilista che simultaneamente affonda i piedi nell’acceleratore e nel freno. Non posso (o non devo) fuggire, scappare via, piangere, esprimere la mia rabbia o il mio amore. La preparazione organica si blocca, e le contrazioni muscolari e viscerali che accompagnano questa preparazione dell’organismo all’azione si irrigidiscono. È così che nascono le corazze muscolari del carattere descritte da Reich…e il cuore rimane stretto, chiuso, oppresso…e accelera per alimentare una grande risposta organica che non avviene. È questo il fondamento di tutta la patologia psicosomatica. Non conosciamo la causa della maggior parte dell’ansietà e dell’angoscia che proviamo: essa viene rimossa dai pregiudizi."


(...)

"L’educazione diventa qualcosa di perverso quando, invece di controllare il comportamento, si controlla l’emozione: invece di un “non puoi fare…questo o quello”, un “non puoi sentire…”. Ci sono alcune emozioni che “non si debbono sentire”. Come sostiene Gaiarsa “tutti vigilano e controllano tutti…questa è l’ansietà del mondo, quella di tutti e di ognuno”.Esempi di alcune malattie interpretate da Gaiarsa dal punto di vista psicosomatico: ( un’ipotesi che  non esclude altre interpretazioni) Ulcera: (mordere dentro), dato che non posso mordere l’altro veramente.
Cancro: dopo anni di imprigionamento, la persona si fa, si trasforma in prigione. Rinuncia a vivere perché vivere non vale la pena.
Diarrea: “lasciami fare almeno qualcosa…”.
Vomito: “lasciami liberare di questa amarezza, disperazione, voler fare e non poter fare”.
Infiammazione della gola: “Non posso dire ciò che vorrei, né gridare”.
I casi clinici dimostrano che la respirazione può subire alterazioni considerevoli a causa di situazioni relazionali oppressive o esperienze infelici e traumatiche, molte disfunzioni respiratorie croniche hanno questa base. Queste esperienze il più delle volte sono vissute nell’ambito delle relazioni familiari, essendo la famiglia la più frequente e potente causa di stress e inibizioni respiratorie, ambito della “lunga durata” e dal quale molto spesso non si può fuggire. All’interno della famiglia alcuni si esprimono troppo, altri troppo poco e altri ancora non si esprimono mai e vivono in uno stato di apnea perenne.  Secondo Gaiarsa si può e si deve parlare di repressione respiratoria."



"Quando si respira più del solito, l’inconscio guadagna forza ed invade la muscolatura allo scopo di muovere la persona nella direzione del desiderio (anche se paradossalmente molto spesso, nella clinica, si osserva un’intensificazione dell’inibizione). Questa modalità respiratoria agisce in senso contrario a ciò che facciamo abitualmente con le nostre emozioni, provoca un decongelamento emozionale, apre le porte chiuse e libera i vissuti emotivi rimossi, facilitando così non solo il ricordo ma la “ri-esperienza” e il conseguente “scioglimento” delle esperienze traumatiche, l’emergenza degli archetipi, la riattivazione di forme istintive di comportamento. Possiamo dire che, in un certo senso, ciò ci permette di attraversare il tunnel dell’angoscia viva ed uscirne fuori, appunto “rinati”. È impressionante, per chi non ha dimestichezza con certe manifestazioni, l’aspetto di “patio dei miracoli” o “terreiro de macumba” dell’insieme delle esteriorizzazioni dei vissuti che emergono durante questo tipo di esperienza. Alla metodologia iniziale di questo tipo di terapia sono stati aggiunti molti elementi importanti tratti dalla psicologia reichiana. La psicologia di Reich è quella che meglio ci permette di comprendere le manifestazioni osservate quando si respira volontariamente, più del necessario, durante molti minuti, così come il parallelo tra queste manifestazioni e i conflitti inconsci relazionati ai complessi familiari. La sintesi del pensiero reichiano sulla respirazione potrebbe essere così espressa: la più vitale delle repressioni è quella respiratoria e a questa si associano tutte le altre, come se questa fosse il fulcro del groviglio delle nostre catene. Quel che avviene in realtà durante questo tipo di esperienza è un’inibizione dell’inibitore: “é proibito proibire”. Da un lato inibisce tutte le esigenze sociali (la voce del coro, il collettivo) che ci sono impresse nell’anima dall’educazione, e dall’altro potenzia, dà forza al bambino interiore, al primitivo, alla nostra parte istintuale. Forse in certi momenti della vita la salvezza sta proprio nel ritornare bambini, come viene detto in un brano del vangelo. Quindi “disimparare”, liberarci di tutto ciò che ci è stato insegnato o imposto. Educazione nel nostro mondo a volte può significare repressione, controllo, restrizione del movimento, dell’affetto e persino dell’intelligenza. Riassumendo, possiamo dire che, attraverso il respiro, possiamo da una parte ridurre i nostri condizionamenti sociali, il nostro adulto (il normopata, il morto-vivo, come lo chiama Gaiarsa), attenuare la forza delle parole sulla coscienza, e la forza di tutti su ognuno, dall’altra possiamo sperimentare “l’esistere senza parole”, uno dei passi fondamentali della meditazione. Alcuni autori insistono sul raggiungimento dell’estasi o l’illuminazione,  esperienze definite da Grof “transpersonali”. Phil Laut e Jim Leonard, collaboratori di Orr e autori del libro Rinascimento, la scienza del Piacere Totale, affermano: “In verità solo il piacere e la felicità (l’estasi) sono repressi. Basta vedere animali salutari per capire che essere vivo è la felicità, il che rende comprensibile la leggenda del paradiso perduto”. È importante cogliere il significato delle varie posture e modalità respiratorie. Secondo Reich, A. Lowen, Gaiarsa, tutte le posture sono psicosomatiche e sono allo stesso tempo una posizione fisica e  psicologica, un “modo di stare nel mondo”, un “punto di vista”. Il male degli uomini è il “petto chiuso”, rigido, espressione, allo stesso tempo relativa sia alla postura sia ai sentimenti, che esprime, con forza, inaccessibilità emozionale, durezza, implacabilità. Diversamente il petto aperto e i polmoni pieni suggeriscono che “sono pronto per accogliere, espongo il mio cuore, mi abbandono, sono aperto, ho fiducia…”. È essenziale che la muscolatura respiratoria si mantenga elastica. La morbidezza e fluidità respiratoria favoriscono il sentire, il percepire e il vivere le emozioni, le più variate, le più forti e travolgenti e le più delicate.  Essere veramente vivi significa sperimentarsi, aprirsi, esporsi senza timore, interamente al flusso delle proprie emozioni. Siamo abituati a vivere a pezzi, separati dal fluire della vita; divisi dentro di noi e tra noi, siamo abituati alla paura di vivere e di sentire. Saper respirare, essere consapevole della propria respirazione, favorisce il collegamento con la vita interiore, produce un risveglio spirituale e una notevole vivacità dei sentimenti d’amore in senso ampio. Favorisce l’apertura del petto, nel  profondo significato umano di questa espressione."



(dall'articolo di Virginia Salles  a questo link:

 http://www.rivistaartiterapie.it/anno-i-numero-7/82-fame-d%E2%80%99aria-la-psicologia-di-jos%C3%A9-angelo-gaiarsa-tra-il-corpo-e-lo-spirito.html

domenica 5 maggio 2013

libertà, dalla libertà dalla libertà!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!









"Se incontri Buddha per la strada, sparagli!"









Splendido aforisma, non mi ricordo più di chi, riguardante la necessità di liberarsi di ogni guru, ogni auctoritas, qualsiasi dipendenza - qualsiasi forma di dipendenza da qualsiasi tipo di maitre a penser.





Certo.






ma, propongo questo ulteriore quesito, ti dico:




e se tu incontrassi invece colui che ha scritto quest'aforisma, cosa faresti?




Gli stringeresti la mano entusiasta , passeresti oltre indifferente, o spareresti anche a lui???????????????????????




Cioè:

è vero che dobbiamo liberarci da ogni forma di dipendenza , e dai nostri condizionamenti,   in nome del libero pensiero , che è l'unica condizione di vita realmente autentica , e veramente dignitosa per qualsiasi spirito libero -



-  ma, e, come la mettiamo con la nostra dipendenza - che può essere estrema -

dai vari Messia della Liberazione da ogni condizionamento e dipendenza, da ogni Maestro o Guru o auctoritas????



 

I vari Nietszche, J. Krishnamurti, U.G. Krishnamurti, etc...

non sono -

 - in quanto promettono la Liberazione

da ogni schiavitù -


le Auctoritates, i Guru più dispotici, totalitari, dittatoriali, assoluti???????????







e allora, forse - non ci resta che accettarci così come siamo, con tutte le nostre dipendenze, condizionamenti, Guru, Maestri, maitres a penser, artisti ispiratori, filosofi di riferimento...... (spesso deliberatamente contraddittori tra di loro).







la Dipendenza da un solo Messia Liberatore che ci prometterebbe un'assoluta Libertà da tutto ciò - sarebbe forse la forma più radicale di alienazion e trascendente verso un'unica Auctoritas totalitaria, unico Filtro - nel nome della Libertà, dell'Incondizionatezza - attraverso cui leggere la Realtà in maniera veramente libera e autentica, "vera"-








ma, se accettiamo i nostri condizionamenti per come sono,

come potremmo non accettare anche questa ulteriore Illusione Salvifica di Liberazione da ogni Condizionamento??????????????????????






perciò:

l'acettazione delle dipendenze, ci espone, anche, alla possibilità della dipendenza da "maestri di libertà" o "spiriti liberi" che ci promettono la libertà da ogni dipendenza, e ci portano quindi a rifiutare ogni condizionamento.






- compresa lalibertà da loro stessi??????







(e si ritorna così all'accettazione dei condizionamenti)





E' un'eterno serpente che si morde la coda, un'eterna spirale contraddittoria senza soluzione nè assenza di soluzione, seguendo le spire della quale, nel frattempo, facciamo esperienza diretta, non-mediata, di quella "cosa che accade mentre siamo occupati in altri progetti" (J. Lennon), la Vita.




































giovedì 14 marzo 2013

14/03/2013 - L'inutilità del giocare con l'idiozia massmediatica.

La mia prima stroncatura: "Fratto X" di Antonio Rezza e Flavia Mastrella.

Mi piacerebbe poter scrivere che è uno spettacoletto comico da quattro soldi, che non fa molto ridere, accolto da un tripudio di risate e giubili estasiati, da risata televisiva programmata, a comando, automatica, a bacchetta, meccanica, acefala, servile, ubbidiente, isterica, da un pubblico di intellettuali di sinistra e di fighetti alternativi - con la coscienza a posto perchè "Uè, è Rezza!".

Mi piacerebbe scriverlo, e in effetti l'ho scritto. E, in effetti, lo spettacolo è in parte proprio questo.

Tuttavia non sarebbe onesto affermare che lo spettacolo sia solo questo.

Alcune parti dello spettacolo sono un potente, spiazzante delirio grottesco surrealista, felicemente senza senso, oppure una farsa amara dell'assurdo in cui personaggi folli, ma a cui l'essere umano di oggi assomiglia,  si muovono in scene disperate o esasperatamente violente, ma l'insieme dell'azione scenica restituisce una deflagrazione schizofrenica dell'identità e delle interazioni umane, in cui i registri collassano, e nel corso di una scena tremendamente drammatica viene involontariamente d'un tratto da scoppiare in uno sghignazzo disperato, amaro o assurdo.

Fin qui tutto bene.

La reazione del pubblico però è inquietante.

Le risate, forse per incapacità di tollerare l'assurdo in cui tragedia farsa e delirio convivono, sono continue, isteriche, iper-compiacenti, acclamatorie, automatiche, esagerate in maniera spropositata, osannanti, convulse - sembrano in tutto e per tutto le risate televisive programmate e ipertrofiche del pubblico di Zelig, Striscia la Notizia o Drive In - la gente ride come Rezza compare in scena, come apre bocca, qualsiasi cosa dica (per non parlare di quando ripete una semplice battuta) ride di cose tragiche, di cose senza senso che non hanno nessuna comicità ma un semplice aspetto di nonsenso dadaista, più inquietante che comico. Di più: ride quando viene insultata, contenta, quando viene trattata da pubblico coglione decerebrato, quando viene violentata, derisa, umiliata (su tutte la scena peggiore in questo senso è l'ultima) dall'attore-leader-showman-personaggio carismatico di turno - reagisce anzi con un ancora maggiore tripudio festante, inneggiante, una forma di masochismo autolesionista da veri e propri schiavi, scimmiette ammaestrate della società dello spettacolo di massa.

E, fin qui, in un certo senso, si potrebbe accusare il pubblico e la sua idiozia, più che lo spettacolo in sè.

Tuttavia, se l'ultima volta che avevo visto uno spettacolo di Rezza/Mastrella mi era sembrato di trovarmi di fronte a una intelligente forma di riflessione meta-comunicativa sulla società dello spettacolo e la sua decerebratezza leader-centrica, questa volta l'impressione è stata di trovarmi di fronte, per molti versi, a uno dei tanti esempi di spettacolo da baraccone di massa in cui questa decerebratezza viene sfruttata, rafforzata, incoraggiata, inculcata, imposta, eccitata, esaltata.

Il confine fra meta-comunicazione sull'idiozia massmediatica e l'idiozia massmediatica stessa può essere sottile, può essere facile inciampare e scivolare dalla prima verso la seconda.

In questo caso, questo confine viene incurantemente divelto con una leggerezza che rende questo spettacolo identico, per molti versi, alla peggiore tv-spazzatura.

La ragione per cui dico questo, è che se nell'altro spettacolo questo porsi come personaggio carismatico in maniera grottesca, era percepibile chiaramente come una provocazione, e ben riuscita anche, in questo caso il continuo giocare con il pubblico e le sue reazioni isteriche/acclamatorie risulta eccessivo, ripetitivo, banale, scontato alla lunga, autocompiaciuto, la battuta contro il pubblico non serve più a far riflettere e a spiazzare, ma semplicemente a confermare questo gioco idiota al massacro - un gioco facile per il mattatore di turno, in cui ha facilmente il coltello dalla parte del manico, e in cui sembra tautologicamente sguazzare felice - sembra non più una provocazione ma una effettiva, semplice, banale, inutile affermazione dell'ego dell'attore, così come in politica fanno Berlusconi e Grillo o in televisione, chessò, Pippo Baudo (non so, esiste ancora Pippo Baudo?).

Mi chiedo che senso, anzi, che non-senso, abbia tutto questo, e rimpiango di non essere rimasto in casa a vedere per la seconda volta Dove sognano le Formiche Verdi, un film fatto sostanzialmente di silenzi.






 P.s.: Ho scritto questo articolo a caldo, sotto l'effetto di una reazione di notevole fastidio. A freddo, mi sento di dover ribadire quanto già detto verso inizio articolo: numerose scene dello spettacolo sono comunque d'un surrealismo molto efficace.

E non solo, anche ricco di spunti di riflessione.

Spunti che si potrebbero riassumere con queste domande:

Chi è chi?

Chi è cosa?

Noi siamo chi?

Cosa è noi?

Chi parla in noi quando parliamo?

Cosa afferma qualcosa quando affermiamo qualcosa?

Chi agisce quando agiamo?

Chi ride in noi quando ridiamo?

Chi, o che cosa, pensa?

Parliamo, agiamo, ridiamo e pensiamo in maniera libera, autentica, spontanea, autonoma, o per paura, conformismo, costrizione, un essere mossi meccanicamente da forze estranee manipolatorie più che un agire o un pensare o un dire?

Di più: il pensiero è possibile?

E' possibile, in assoluto, un pensiero realmente autonomo, libero, autentico, spontaneo - che non sia quindi semplicemente la copia di cose diverse prese a prestito qua e là?







Oppure, il vero, reale, autentico pensiero nasce dalla assurda, contraddittoria scoperta dell'impossibilità di sè stesso?





"Le contraddizioni contro cui urta lo spirito: sole realtà, criterio del reale. Nessuna contraddizione nell'immaginario. La contraddizione è la prova della necessità." (Simone Weil)




 

La contraddizione, insolubile, l'impossibilità di affermare una cosa qualsiasi, di formulare un pensiero credendoci, di avere un'opinione, una posizione su qualcosa, l'impossibilità di pensare, perchè pensare è fare da portavoce alla voce delle auctoritates, dei leader, dei geni, dei grandi, di chi ci sembra in grado di pensare, lui sì (mentre in realtà è nelle nostre stesse condizioni) - questa chiara e assoluta impasse, l'impossibilità di uscirne, l'impossibilità di costruire un pensiero che non sia solamente una parziale, relativa, soggettiva, presa a prestito, enfatizzazione di alcuni aspetti del reale rispetto ad altri, non percepiti - questa impossibilità, restare dentro questa impossibilità ci permette forse di sperimentare un pensiero libero, non schizofrenico, autentico e proprio perchè vuoto, senza centri di gravità, senza nessun appiglio, nel precipizio, nell'abisso. In questa lucida vertigine, qualcosa che possa essere un effettivo, reale pensiero non-appiccicato a simulacri pre-esistenti compare, nasce, vive, si espande.




A me rimane, dopo questo spettacolo, l'esigenza, la voglia, il bisogno di sottrarmi, abdicare al gioco al massacro degli scontri opinionistici, abdicare all'opinione, al gridare, all'affermare, al criticare, al giudicare, all'analizzare, all'esternare, all'attaccare, all'imporsi, sottrarsi al gioco folle del parlare l'uno sull'altro (con la voce dell'altro magari) e divorare prima di essere divorati tipico della nostra società liberista. Però sottrarmi anche al rumore di ogni polemica, anit-liberista, anti-politica, anti-anti-politica, anti-rezza, anti-qualsiasi cosa, anti-anti, etc....
sottrarsi, rinunciare, tacere, togliere, rilassarsi, lasciar stare, lasciar perdere, lasciare, lascia, lasciar perdere di ridere, entusiasmarsi, disperarsi, giubilare, fare il tifo, mutilarsi, inveire, insultare e obbedire ciecamente.

oscurarsi,











  (e abbassare il volume, mormorare, e sorridere di più, è primavera)



Figura antitetica, tratta da Hypnerotomachia Poliphili, libro del 1499.





P.p.s.: Chiedo scusa se nella prima parte dell'articolo posso essere risultato offensivo per qualcuno. Mi riferisco ai giudizi sul pubblico. Prendete ciò che ho scritto con le pinze. Sono semplicemente delle provocazioni, dallo stile estremamente virulento perché scritte in un momento di forte vis polemica. Alla fine, la reazione a uno spettacolo è la cosa più soggettiva di questo mondo, e io non sono nessuno per giudicare, attraverso la mia personale soggettività, la soggettività degli altri.