di-segno di Sacrilegio Tempesta

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pARTICOLARE DI "Autunno", quadro di Diogene senza l'anima?. Foto di Sacrilegio Tempesta.
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domenica 10 febbraio 2013

UN AFORISMA DI NIETZSCHE CONTRO IL FASCISMO ONTOLOGICO.


"Solo quando l'uomo si distoglierà da sè stesso, salterà al di là della sua stessa ombra e, davvero, nel suo sole." (F. Nietzsche)











Un frammento mi pare quasi induista.

Non certo in un senso dogmatico-religioso-moralistico sicuramente, ma un invito al superamento dell'ego e dei suoi attaccamenti in un senso più viscerale, radicale, ontologico.

Un'esortazione al superamento di quello che io chiamerei fascismo ontologico.




Come già accennato nel post contro il fascismo musicale, fascismo non è solo un'ideologia politica ben determinata, autoritaria e violenta. Fascismo è anche l'impostazione filosofica, ideologica di tutta la nostra maniera di pensare, di essere.

Definisco fascismo ontologico tutta l'impostazione di pensiero fondata sul principio di non-contraddizione, che da Aristotele ha dominato la filosofia e il pensiero occidentali, e che forse non è stato ancora superato, nonostante le innumerevoli critiche a questo principio che a partire da Nietzsche sono state fatte da numerosissimi filosofi.


Il principio di non-contraddizione si può riassumere così: una cosa o è oppure non è in una determinata maniera. Le due cose si escludono. Oppure: una cosa o è sè stessa o è il suo contrario. O ancora: è impossibile che un cosa sia al contempo sè stessa e il suo contrario. Oppure ancora: il soggetto A ha la proprietà X, oppure non ce l'ha. O infine: A per definizione non può essere non-A. In tutti i casi in cui è vera la sentenza K, è falsa la sentenza non-K (la sua negazione) e viceversa. La sentenza K, o è vera o è falsa. La somma dei casi in cui è vera e di quelli in cui è falsa, dà la totalità dei casi, e fra i due insiemi non esistono intersezioni. L'ambito in cui questo principio è più evidentemente falso, grottesco e assurdo, è l'ambito psicologico: o sei triste, o sei allegro. O anche: o sei introverso, o sei estroverso, o sei intelligente o sei stupido, o sei forte o sei debole, o sei razionale o sei emotivo, etc...

Altri aspetti del fascismo ontologico sono: la teoria gnoseologica fondata sull'immagine dello specchio, sempre di matrice aristotelica, e il riduzionismo incasellante cartesiano che riduce tutto l'esistente a due categorie rigidamente separate e distinte: la res cogitans, o anima, e la res extensa, o materia. Il materialismo è poi un'ulteriore degradamento riduzionistico di questa teoria.

Il primo aspetto afferma che le facoltà conoscitive non fanno altro che rispecchiare oggettivamente la realtà.

Il secondo aspetto, strettamente correlato al primo, afferma che qualsiasi cosa esista può essere classificata, in maniera rigidamente esclusiva, nelle due categorie di mente e materia, categorie nettamente contrapposte e non interscambiabili, mai sfocianti una nell'altra, mai contaminantesi, mai mescolate, mai interrelate se non sulla base del principio rigido di causa e effetto.

La conseguenza più immediatamente criticabile di quest'ultimo principio è la - innumerevoli volte criticata da moltissimi filosofi del '900 - separazione netta fra soggetto e oggetto, messi l'uno di fronte all'altro come due campi distinti e connessi esclusivamente da una forma di conoscenza oggettivante.

Infine, altri due aspetti: il principio di ragion sufficiente, alla base per esempio di tutta la filosofia di Schopenhauer, in base al quale tutto è connesso solo in base a precisi nessi di causa ed effetto; e di nuovo il cartesiano cogito ergo sum, criticatissimo dai filosofi del '900 sia perchè afferma la dipendenza dell'esistere dal pensiero (mentre a partire da Nietzsche, poi per esempio anche da Freud, l'esistere precede il pensiero) sia perchè afferma la sostanzialità, una, indivisibile e nettamente separata dal resto del mondo e degli altri soggetti, del soggetto.




Ma torniamo al frammento di Nietzsche.


Distogliersi da sè stessi.

Saltare al di là della propria ombra.








Cioè, a me sembra: voltarsi rispetto alla propria immagine, rispetto allo sguardo incentrato, concentrato in sè stessi. Voltarsi e andare oltre. Nel mondo così com'è. Nel proprio sole.




Voltarsi verso il mondo, lasciandosi dietro di sè tutte le fissazioni, le ossessioni, i tic, le nevrosi, i pensieri continuamente rimuginati, le idee fisse, le opinioni, le lamentele, gli auto-vittimismi, le auto-narrazioni di grandezza e di superiorità, i mentalismi iper-analitici sterili, gli abbattimenti svuotati, gli auto-eccitamenti di esaltazioni narcisistiche, le definizioni, gli attaccamenti ideologici, pessimismi lamentosi, ottimismi forzati - tutto quello che si potrebbe chiamare un'ontologia, una maniera di esistere definita, una personalità definita, un essere statico, stagnante, auto-oppresso perchè continuamente auto-rivolto su sè stesso e sui propri pensieri-caselle attraverso cui si filtra il mondo, sè stessi, gli altri, tutte cose che così se ne restano in realtà lontane, distanti anni-luce, indifferenti, oggettificate, irrigidite, agghiacciate, conosciute solo attraverso lenti deformanti, attraverso filtri di schemi ideologici iper-mentali, pre-esperienziali, e mai vissuti direttamente, così come sono, così come si presentano al nostro esistere, parte stessa co-originaria di noi stessi, del nostro essere, pre-esistenti al nostro pensiero, co-sostanziali in uno stesso processo di vita-vite-spirito-spiriti-cose-desiderio-desideri-passione-passioni-azioni-emozioni-pensieri-storie-cuore-progetti-corpo-muscoli-nervi-corpi-percezioni-sentimenti-sensazioni-associazioni-simboli-segni-frammenti-intuizioni-nessi-esperienze-immagini-atomi-parole-interpretazioni-frammenti-sentieri-attimi in cui tutto è strettamente intrecciato e co-ontologico.




Distogliersi da qualsiasi scacco logico, qualsiasi loop cerebrale, corto-circuito esperienziale-vitale.


Lasciare perdere tutto e inoltrarsi nella vita, così com'è, inoggettivo flusso aperto, indeterminato essere in divenire.


Lasciare perdere tutte le cazzate in cui ci perdiamo, gli specchietti per le allodole che ci fabbrichiamo da soli per auto-immolarci, auto-ingabbiarci in templi-prigioni sacri alla negazione della vita, alla celebrazione del nulla, di simulacri, di inutili fissazioni mentali, ripetizioni inerti dell'eternamente identico per sottrarci alla Vita nella sua assurda, contradittoria, regale, lussureggiante, fragorosa, inquietante, strabordante, fitta, selvaggia, espansiva, meravigliosa, spaventosa ricchezza: infinito divenire sempre imprevedibile, magico, eruttante, infinito oceano in tempesta di pienezza contraddittoria e ridente, mai definibile.


Un esempio pratico: qualcuno è convinto di essere stonato.


Pensiero non-contraddittorio depresso-pessimista: "Sono stonato. Non c'è niente da fare."


Il positive-thinking proporrebbe a questa persona: mettiti davanti allo specchio, guardati bene negli occhi, e dì ad alta voce: "IO SONO UN GRANDISSIMO CANTANTE!!!!!!! IO SONO IL PIU' GRANDE CANTANTE DI TUTTI I TEMPI!!!!!!! IO SONO UN CANTANTE ECCEZIONALE, HO UNA VOCE ECCEZIONALE, SPLENDIDA, E TUTTI MI AMMIRANO PER QUESTO!!!!!!!!!"


Ora, non nego che questo tipo di esercizio possa, in certi casi, anche funzionare e dare dei risultati.



Tuttavia, il punto non è questo.

Facendo così, rimani nel principio di non-contraddizione.

Rimani sempre ingabbiato in un essere definito, una casella.


Pensiero non contraddittorio-positive thinking: "Io sono intonato." O meglio: "Io sono intonato!!!!!!"


Invece, distogliersi da sè stessi e saltare al di là della propria ombra significa: Dimentica di essere stonato! Dimentica di essere intonato! Dimentica ogni maniera pre-definita di essere, e comincia a VIVERE, ad inoltrarti nello spazio aperto della vita! Cioè: CREA!!!!! Emetti suoni, rumori, versi, sussurri, grida, vocalizzazioni, nenie, mantra, parole, bestemmie, canzoni, poesie, rantoli, ansimi, strepiti, note, gorgheggi, quello che ti viene!!!!! Se ti muovi al di fuori delle costrizioni dell'essere precostituito, definito, e ti inoltri nel mare aperto del non-essere, o essere libero, spontaneo, assurdo, creatore, affermativo, se affermi la vita senza nessun contenuto e crei cose mai viste sulla faccia della terra perchè semplicemente sgorganti spontaneamente dall'attimo libero in divenire inedito che vivi, quella è già Arte!!!! E' già Musica, nel suo senso più sublime, al di là dei risultati, al di là delle tecniche, al di là dell'essere musicale costituito coi suoi stereotipi!!!!!

L'arte nasce dove cessa di esistere il principio di non-contraddizione. Il resto è tecnica, ripetizione, esecuzioni ammaestrate.

L'arte è l'atteggiamento di chi invece di descrivere, ripetere, lamentarsi, elencare, inveire, reagire, puntualizzare, recriminare, incolpare, ribattere, sottolineare, indottrinare, affermare, ribadire, convertirsi, aizzare, discutere, battibeccare, attaccare, azzannare, perdersi in chiacchere, analizzare, pensare, criticare, giudicare, soppesare, valutare, conoscere, definire, esitare, sapere, CREA inedite, inesistenti, irripetibili, inesatte, imprecise, menefreghiste, allegre, affermative esperienze inclassificabili secondo i già noti dualismi contrappositivi: o così - oppure - così - principio di non contraddizione: il creatore - non certo semplice "creativo" - s'inventa invece una logica radicalmente diversa grazie alla quale vengono alla luce sulla Terra alternative nuove, mai pensate, non previste nè etichettabili - in questa maniera decreando l'esistente e aprendolo a nuove possibilità, che lui/lei afferma con gioia fregandosene delle caselline interpretative precostituite, delle credenze, superstizioni, definizioni logiche -




" "Mi sembra che tu abbia cattive intenzioni, si potrebbe credere che tu voglia rovinare l'uomo" - dissi una volta al dio Dioniso. "Forse" rispose il dio "ma solo in modo che ne venga fuori qualcosa per lui." - "E cosa mai?" domandai io curioso. - "Chi mai, dovresti chiedere". Così parlò Dioniso, tacendo poi al modo che gli è proprio, ossia con aria tentatrice. Avreste dovuto vederlo! - Era primavera e tutti gli alberi erano gonfi di giovane linfa. " (F. Nietzsche, Frammenti postumi)












sabato 12 gennaio 2013

Ritorneranno le quattro stagioni!

http://www.youtube.com/watch?v=Ia7CNAte3Dw&feature=youtu.be

ps: il titolo è preso a prestito dall'omonimo libro di Mauro Corona, che niente ha a che vedere con l'argomento del video... a parte un comune sentimento di rispetto, amore e venerazione verso la natura, e un sottile filo di speranza (nel caso del video invece un torrente in pienadi speranza) ancorato alla fiducia nell'antica alleanza fra gli uomini e la loro Madre...

martedì 8 gennaio 2013

"La Bottega dei Suicidi" e l'eresia dell'entusiasmo di vivere.






"La bottega dei suicidi", ultimo film di Patrice Leconte - e suo primo film d'animazione - è chiaramente un film jodorowskyano.

Non certo perché assomigli ai film di Alejandro Jodorowsky, ma perché è una chiara, superba esemplificazione delle sue teorie psicologiche.

In una metropoli contemporanea (Parigi? Milano?) tutto ormai è grigio, spento, senza senso: i suoi abitanti, tristi larve svuotate di esseri umani, si trascinano stancamente per le sue strade buie senza un reale motivo, senza uno straccio di sogno o entusiasmo, senza nessuna voglia di vivere o respirare, i volti incavati segnati da paure prive ormai di un oggetto, esili fantocci sconfitti schiacciati da fantasmi senza nome, trafitti da una rassegnazione esausta, oltre il nichilismo verso il semplice incenerimento di qualsiasi desiderio o slancio o sussulto anche casuale di vita, verso la putrefazione dell'anima, il completo oblio di un qualsiasi ricordo di un lontano senso.

I suicidi aumentano ogni giorno. 

Ma perfino suicidarsi, in questa cupa Metropoli del Dover-Essere, del Vietato Essere, è vietato.

O, perlomeno, suicidarsi in pubblico. L'Apparenza - Ciò Conta - dev'essere salvaguardata, e chi si suicida per strada - molti, moltissimi - ricevono come unica reazione dell'apparato pubblico una multa ficcata a forza nella bocca del suicida da una volante subito accorsa - e che subito si dilegua.

Per risolvere i problemi di questi cittadini stanchi di vivere ma che giustamente preferirebbero evitare multe postume, né certo vorrebbero intralciare il traffico, c'è la Bottega dei Suicidi: un negozio fornitissimo, assolutamente legale, anzi fornito di regolare licenza, dove si può trovare qualsiasi strumento - dai più ordinari ai più originali - per liberarsi definitivamente di una vita percepita ormai come un peso inutile - ma rispettando pur sempre doverosamente il comune senso del pudore, ponendo fine ai propri giorni nel proprio privato alveo, nascosto agli occhi di chi, pur condividendo magari l'assunto filosofico di base del suicida, potrebbe trovare sconveniente una morte violenta in pubblico, sotto un'auto o giù da un ponte. La vita non ha senso, ma le forme, almeno quelle, per Dio! - non vanno assolutamente dimenticate - siamo o non siamo pur sempre un continente civile???!?

I clienti si aggirano attoniti, incuriositi, affascinati fra le moltissime chincaglierie letali del fortunatissimo esercizio, molto alla moda. Alcuni acquistano la prima cosa che gli viene proposta dai gestori, tutto gli sembra indifferente - altri invece sembrano affascinati dall'abilità dialettico-commerciale della coppia proprietaria dell'attività, e seguono con interesse e quasi con occhi che brillano  i loro discorsi sul "veleno, che è una scelta molto femminile - tutto sommato assomiglia a un profumo, no?" o sulla katana giapponese che "è molto virile", sull'estetica dei prodotti, alcuni incisi a mano, sull'essere "all'ultima moda" di alcune soluzioni. L'apparenza e il consumismo seguono le persone fino al loro salto nel buio. Tutti poi si preoccupano del prezzo: "Mah, mi sembra un po' caro..." ma sono rincuorati dallo slogan "Trapassati o rimborsati!".

Ma ecco l'elemento psicogenalogico, o jodorowskyano.

Cosa meglio di una famiglia, una coppia che, anche con l'aiuto dei figli, un bambino e una bambina, gestisce un'attività il cui core-business è la negazione della vita, la disperazione, e fa questo perché segue una tradizione familiare inaugurata da un bisnonno che aprì il negozio nell'ottocento, venerato come una specie di santo - una famiglia che ha fatto dell'assioma che la vita è triste, disperata, senza senso non solo il fulcro, il centro dell'ideologia familiare, della religione familiare - ma addirittura lo scopo di tutta la vita, anche professionale, un assunto da promuovere e difendere nel mondo, alla cui fortuna è legata la stessa fortuna materiale della famiglia; cosa, dunque, più di questo, può rappresentare il concetto jodorowskyano di albero genealogico, cioè il fatto che ogni individuo eredita molto di più che non semplicemente geni e influenza ambientale dalla famiglia, ma un'intero intreccio di malattie, nevrosi, sogni imposti, demoni nel sangue, superstizioni, blocchi, follie, paure, angosce, imposizioni, ammonizioni, plagi, false ambizioni, paranoie immaginarie, mostri psichici di vario tipo, divieti, sabotaggi, valori da venerare, idoli, pesi millenari, millenarie sconfitte che si ripetono sempre identiche nella storia dell'albero genealogico, oppressioni, ceppi, catene psichiche, ragnatele psichiche, offuscamenti, credenze obbligatorie, incapacità compiaciute, miserie ereditarie che vanno al di là dell'influenza di genitori e altri parenti effettivamente conosciuti, ma si ereditano misteriosamente anche da antenati vissuti secoli prima?

La stessa Bottega mi sembra una magnifica rappresentazione dell'albero genealogico: una casa/negozio molto grande, e piena zeppa di ogni sorta di orrore, paccottiglia mortifera di ogni tipo, catalogata, messa in bella mostra su scaffali immensi, un Museo degli Orrori ricchissimo e estremamente vario, di cui però andare fieri, messo come diaframma fra la casa e il mondo.

Bellissima anche la scena in cui una rapida carrellata mostra una parete infinita con le foto grottesche e disperate dei clienti già trapassati. Ad un livello simbolico profondo, mi sembra che invece questa parete rappresenti proprio gli antenati dell'albero.

E anche qui - in questa famiglia così ortodossamente ligia ai suoi doveri di disperazione - arriva la pecora nera: che è come dice Jodorowsky, la persona che nasce in un albero genealogico ma è diversa: non si allinea, non accetta i dogmi familiari, si ribella, e lo fa perché qualcosa di più forte, e non minimizzabile, incoercibile, incontenibile, lo divora e gli impedisce di conformarsi: un artista in una famiglia di ragionieri o di banchieri, un rockettaro in una famiglia di benpensanti che hanno la musica classica e l'opera come culto, un filosofo radicale in una famiglia estremamente cattolica, o chessò, un genio della boxe in una famiglia di intellettuali sedentari che detestano attività fisica e qualsiasi cosa che richiami anche di lontano una forma di lotta e di violenza, o un poeta in una famiglia di fisici teorici, o un fisico teorico in una famiglia di letterati.

Nel caso del film, nasce un bambino felice. Un tipo allegro, che ride sempre, ha sempre voglia di giocare e divertirsi, vede sempre tutto in positivo, nonostante l'ambiente in cui è nato.

I genitori sono sconsolati: non sopportano l'allegria e l'ottimismo di questo bambino "disobbediente alle leggi del branco" (De Andrè) e lo rimproverano e mortificano continuamente, creando spesso una forte delusione nel bambino, che però non si arrende e ogni volta si tira su, pensa a qualcosa di bello e continua a cercare di portare allegria in questa famiglia di venditori-di-morte.

Il bambino cresce e la sua vergognosa diversità non accenna a diminuire: è sempre più allegro, anche se ha dei momenti di profondo sconforto per la immodificabile, rassegnata tristezza della sua famiglia (e della sua città).
Ma non si arrende, non vuole, non si può arrendere. Il suo dàimon, direbbe James Hillman, glie lo impedisce.

Anche questo mi sembra molto jodoroskyano: la pecora nera non sceglie semplicemente la via della ribellione, del seguire un'altra strada (via che rischia di finire per riprodurre semplicemente le stesse identiche cose in un altro paese, o in un'altra veste ideologica) ma sceglie una via molto più impegnativa e risolutiva: quella dell'affrontare i problemi nella famiglia, non allontanandosi dalla famiglia.

Il bambino, coraggioso e determinato, non vuole arrendersi all'evidenza, e decide che, insieme ai suoi amici, deve assolutamente far qualcosa per cambiare la sua famiglia e la sua città.

La soluzione è semplice ma efficacissima: insieme ai suoi amici, e con l'aiuto dello zio di uno di loro, che fa il meccanico, portano davanti al negozio un'auto dotata di un impianto stereo ultra-professionale con casse esterne potentissime: molto semplicemente, le nostre teppe ribelli accendono un'assordante musica da discoteca, fragorosa vitale ma con chitarre elettriche arrabbiatissime, di fronte al negozio, a tutto volume.

Questa è la scena più geniale del film, dal punto di vista simbolico, psicogenealogico: la casa trema, a ritmo, sembra poter crollare da un momento all'altro, i clienti assordati non capiscono cosa succede, la madre urla impazzita, la sorella adolescente prima sbalordita poi invece comincia a ballare con un ragazzo sconosciuto, di cui si innamora. Le boccette di veleno, gli acquari con i piranas e tutte le altre preziosissime chincaglierie nichiliste cadono da tutte le parti, sfracellandosi a terra. Alla fine, il negozio è ancora in piedi, ma tutta la merce è completamente distrutta.

Il finale: la Bottega viene trasformata in una creperia "Au Bons Vivants"! La persone della famiglia cambiano, cominciano a ridere di più, ad avere voglia di vivere, a non vedere tutto nero. La figlia sposa il ragazzo conosciuto durante il "crollo", che è bravissimo a fare le crepes.

Il nostro eroe è più felice che mai.

Anche la conclusione è jodorowskyana.

Si tratta del tema dell'albero luminoso.

Cioè del fatto che nell'albero genealogico, oltre agli spettri, malattie, blocchi, etc... di cui sopra, vengono tramandate anche capacità, talenti, forme di genio, di creatività, di amore, segreti positivi appannaggio dell'albero in base ai quali è possibile avere successo, sogni, utopie, luce, speranza, coraggio, passioni, saggezza, determinazione, sapienza, sostegno per la realizzazione di sé stessi e della propria unicità.

Mi viene da dire: la maniera per neutralizzare l'albero dell'oppressione millenaria e far emergere invece l'albero luminoso non può che essere - e qui mi richiamo a Jodorowsky ma soprattutto a Hillman - una sola: ascoltare quello che Hillman chiama il proprio dàimon: e cioè la propria diversità, la propria irriducibile, non-omologabile, unica, irripetibile forma specifica di ispirazione, di sogno, di visione, di talento, di scopo dello stare al mondo. E' uno scopo che - direbbe Hillman - è già contenuto nella ghianda della tua anima fin da prima della tua nascita.

Mi sembra probabile. 

Jodorowsky penso aggiungerebbe: se ascolti e segui il tuo dàimon, in maniera inesorabile, mai arresa, inarrestabile, viscerale, se ti affidi a lui completamente, allora i tuoi antenati da nemici diventeranno misteriosamente i tuoi più potenti alleati.

p.s.: splendide le canzoncine!!!! In puro stile Nightmare before Christmas!!!! Direi dello stesso livello. E ottimamente tradotte e cantate anche in italiano!!!!!!!!









P.s.: In realtà Jodorowsky, da quello che ho capito, non consiglia necessariamente la soluzione dei problemi nella famiglia, ma dice che - nella famiglia o per conto proprio - bisogna affrontare e risolvere blocchi e nodi irrisolti andando alla radice: invece il semplice scegliere una "ideologia", un "gusto", un insieme di opinioni o di abitudini contrapposte a quelle della famiglia di origine non è risolutivo. Traduco in termini miei, filo-Hillmaniani: non è necessario neanche fare chissà quali strani e costosi seminari di terapia psicogenealogica: basta ascoltare il proprio dàimon - e non la semplice contrapposizione a tutti i costi allo "stile" familiare: il proprio dàimon ha uno "stile" suo, unico nella storia dell'universo, segue la sua via, inesorabile e incondizionato: che poi questa via sia più o meno - in apparenza - lontana o vicina allo stile della famiglia, è completamente irrilevante.

giovedì 21 giugno 2012

Grande tra gli uomini e di gran terrore è la potenza del riso: contro il quale nessuno nella sua coscienza trova sè munito da ogni parte. Chi ha coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire. (Leopardi)

venerdì 1 giugno 2012

prisma straniero

se riuscissimo ad avere verso noi stessi lo sguardo di uno sconosciuto, lo sguardo di un qualsiasi passante che ci vede dall'esterno esattamente come siamo, senza filtri dovuti all'accumulo di "conoscenza" o all'affetto - e riuscissimo a ridere di gusto, di pancia, dei nostri difetti, dei nostri limiti, delle nostre contraddizioni, dei nostri aspetti ridicoli, comici, caricaturali, o semplicemente insoliti, strani, buffi - allora probabilmente avremmo fatto un buon pezzo di cammino verso la guarigione dalla chiusura nevrotica nel nostro piccolissimo mondo individuale, tipica di tutti gli individui moderni; verso l'uscita dal guscio della nostra bolla mentale verso il mondo; verso la riconciliazione con l'umanità e la Terra.

Non parlo di uno sguardo di derisione, ma di uno sguardo canzonatorio, goliardico, ridanciano, spietatamente oggettivo, ma allo stesso tempo carico di pietas. Come quello di quegli amici che vedono tutti i tuoi difetti, magari te li dicono pure, ma ti accettano e ti vogliono bene esattamente così come sei.