Stare attaccati a Facebook o ad un telefonino è solo la versione più evidente, letterale dello "stare attaccati alla Macchina".
Ma si può essere "connessi alla Macchina" in molte maniere diverse.
Guardando il telegiornale (o leggendo un giornale) e accalorandoci nel nostro scandalizzarci o fare il tifo, in base a luoghi comuni pre-pensati da qualcun altro.
Leggendo un libro e appassionandoci alle idee lì sostenute con un'adesione acritica (anche qui, entriamo in un "meccanismo", e una volta che questo è "acceso", funzioniamo in maniera automatica).
Fissandoci su idee sclerotizzate, oppure su dubbi-brusio-di-folla della mente.
Scattando in reazioni irriflesse.
Pensando di poter "acquisire" definitivamente certezze, risultati, identità-definizione, accumulare e confermare in maniera definitiva, rigida, possessiva, eterna soluzioni e risposte, bramare e stringere strette "proprietà" psichiche, cristallizzate, raggelate "verità" esistenziali.
Aderendo a un qualsiasi "-ismo", e perciò stesso delegando ad esso la libertà ed il rischio di pensare, sentire, scegliere, vivere liberamente, essere.
La Macchina è sempre esistita. Oggi c'è certo un'ipertrofizzazione e un'apoteosi paradossale, universale, totalizzante, assolutizzante della Macchina, ma il problema non sono tanto gli strumenti tecnici, quanto un processo interiore.
Disconnettersi dalla Macchina è staccare la spina alla continuità della realtà virtuale ottundente del Già-Tutto-Noto, strappare gli ormeggi e fluire sull'apertura-Oceano della vita, della realtà Ogni-Volta-Diversa, ogni volta sorprendente, priva di etichette e direzioni, senza risposte, senza soluzioni aprirsi all'esplorazione del reale, dell'essere, del Grande Ignoto-
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