di-segno di Sacrilegio Tempesta

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pARTICOLARE DI "Autunno", quadro di Diogene senza l'anima?. Foto di Sacrilegio Tempesta.

lunedì 24 dicembre 2012

Natale e Deserto.

http://ettorefobo.blogspot.it/2012/12/il-natale-oggi-secondo-umberto.html


Questo il mio commento alle parole di Galimberti sul Natale nella società post-cristiana citate da Ettore Fobo:




Più di tutto mi ha interessato questo aspetto del Natale come catalizzatore, condensatore, provocazione, inceppo, spiazzamento, deragliamento dai soliti binari, che ci riporta volenti o nolenti di fronte a noi stessi, al di fuori della frenesia quotidiana e dalla vita di tutti i giorni, normalmente spesso percepita come ovvia, scontata, come l'orizzonte nel quale ci muoviamo, quotidianità consumistica rassicurante. Il Natale ci porta via dal tran tran quotidiano e ci sposta, ci trasla verso la via della ricerca del senso, quindi anche della consapevolezza dell'assenza di senso, del paesaggio deserto, del vuoto in cui ci ritroviamo senza più niente da dire o da pensare ("Or as, when an underground train, in the tube, stops too long between stations
And the conversation rises and slowly fades into silence
And you see behind every face the mental emptiness deepen
Leaving only the growing terror of nothing to think about", T.S. Eliot, Four Quartets) e degli interrogativi esistenziali a questa connessi. E in questo deserto ci scontriamo anche con l'assenza di nascite miracolose, cioè col tradimento, la totale scomparsa della civiltà cristiana, divorata dal Moloch della civiltà consumistica, alla prima contrapposta. E se proviamo a pensare ale antiche feste pagane del solstizio e della rinascita del Sole (la festa del solstizio di Yule per i Celti, per esempio) può essere certo molto suggestivo, ma ci lascia ancora più distanti da un orizzonte di senso applicabile al nostro presente privo di sogni, al nostro deserto privo di quella che Leopardi definiva la "poesia degli antichi", cioè la poesia fatta di incanto, magia, innocenza. Restiamo qui, fra una cena con parenti che non conosciamo e con cui abbiamo poco da spartire, una corsa all'acquisto ai regali, un panettone, una cena fra amici con più silenzio del solito, una messa per alcuni, un programma natalizio insulso in televisione, il rito ormai automatizzato degli auguri, le preoccupazioni per il lavoro che non c'è o che è precario, un presepe con vecchie statuette mezze rotte, oppure con ciarpame di plastica, un albero di Natale striminzito mezzo rinsecchito, oppure tristemente sintetico. E Babbo Natale? E la magia che doveva esserci nella notte di Natale in una qualsiasi famiglia contadina allargata secoli fa, magia densa di mistero, di silenzio, di enigma, di sacralità, di riti condivisi e ricchissimi di intenso, poetico, visceralmente vissuto significato simbolico, di mito che riviveva ogni anno, realmente si reincarnava nella percezione di tutti, portando gioia, amore, consolazione? "O dark dark dark. They all go into the dark,
The vacant interstellar spaces, the vacant into the vacant,
The captains, merchant bankers, eminent men of letters,
The generous patrons of art, the statesmen and the rulers,
Distinguished civil servants, chairmen of many committees,
Industrial lords and petty contractors, all go into the dark,
And dark the Sun and Moon, and the Almanach de Gotha
And the Stock Exchange Gazette, the Directory of Directors,
And cold the sense and lost the motive of action.
And we all go with them, into the silent funeral,
Nobody's funeral, for there is no one to bury.
I said to my soul, be still, and let the dark come upon you
Which shall be the darkness of God. As, in a theatre,
The lights are extinguished, for the scene to be changed
With a hollow rumble of wings, with a movement of darkness on darkness,
And we know that the hills and the trees, the distant panorama
And the bold imposing facade are all being rolled away-" (T.S. Eliot, Four Quartets).


Ma forse proprio il deserto della crisi, religiosa, esistenziale, filosofica, metafisica, sociale, politica, ora anche economica, è lo scenario in cui possiamo spogliarci di decrepite incrostazioni/simulacri/maschere/corazze da società della finzione e dello spettacolo, e ritrovare, una semplicità e un umano silenzio, e valori di mutuo sostegno e amore, che credevamo uccisi per sempre. Il deserto della crisi è, forse, una nuova mangiatoia, di povertà, mistero, nuda semplicità e umanità, Bellezza.




https://www.youtube.com/watch?v=7b4QY1JWs7I

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