di-segno di Sacrilegio Tempesta

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pARTICOLARE DI "Autunno", quadro di Diogene senza l'anima?. Foto di Sacrilegio Tempesta.

mercoledì 17 luglio 2013

Ecologia profonda e animali-


Sulle tanto concitatamente dibattute diatribe tra vegetarianismo/veganismo/onnivorismo rurale/onnivorismo tout court devo ammettere che non ho per niente le idee chiare, anzi ce le ho parecchio confuse, e perciò sospendo ogni giudizio, almeno temporaneamente.

(Mi capita, mio malgrado, di non riuscire ad avere un'opinione sulla maggior parte delle questioni più dibattute e "opinionate" - e questo non nasce da uno snobismo fine a sè stesso, ma da una sincera incapacità di orientarmi in un mare di opinioni argomentate spesso con una visceralità passionale che è proporzionale alla parzialità non approfondente delle informazioni e dei ragionamenti)-

Mi interessa invece affrontare un altro nodo, più sottile, ma secondo me importantissimo, del nostro relazionarci agli animali.

Si potrebbe sintetizzare questo nodo, intricato, profondo, radicale, difficile da sciogliere, con questo slogan:

"Lasciar essere gli animali."

Lasciar essere: e cioè, innanzitutto: ritirarsi. Ritrarsi. Scappare in ritirata. Arrendersi, e decolonizzare, lasciare che sia come voglia essere.

Ridurre al minimo ogni possibile interferenza.

L'ecologia e l'animalsimo militanti si occupano, innanzitutto, di: "salvare" le specie in via di estinzione, "proteggerle", "salvare" i cani e i gatti randagi, "salvare" animali selvatici in difficoltà, "prendersi cura", "amare", "occuparsi di", diffondere informazioni, aiutare, attivarsi per, difendere, prendersi carico di, etc...

Io dico (senza negare la necessità delle cose elencate qui sopra, nella situazione in cui siamo) che forse invece un'ecologia profonda e un animalismo profondo, radicale dovrebbero mirare al ritiro, alla disfatta, alla debacle totale: ritirarsi il più possibile e interferire il meno possibile con la Natura e con gli Animali, in particolare con quelli selvatici.

Non: salvare, proteggere, prendersi cura, ma: lasciar liberi, lasciar essere, lasciar fare, lasciare che le cose accadano come vogliono accadere, rinunciando consapevolmente all'idea tecnocratica di dominare Natura e animali, ma quindi anche a quella di controllare, intervenire, alterare, aiutare, modificare, direzionare.

 Ritirare il più possibile la nostra colonizzazione e lasciar essere, lasciare che sia, lasciare che Natura e animali facciano ciò che vogliono, separati, lasciati autonomi, lasciati ininfluenzati, Altri, Enigmatici, lontani.

Estranei selvatici quali sono, non antropomorfizzate caricature da ecologismo buonista.



Il discorso è più complesso e delicato per gli animali domestici, ma anche lì il principio non cambia:

"Lasciar essere gli animali."

Il che non vuole dire che non sia possibile un rapporto di amore profondo con i nostri amati cani e gatti (o altri) ma significa fare questa presa di coscienza e assumerci questa responsabilità:

"Io sono consapevole che questo Essere, discendente di un lupo o di un felino selvatico, è un Essere selvatico radicalmente estraneo, una Alterità assoluta, radicale, un Enigma che appartiene ai regni della Natura selvaggia e che io ho portato in casa mia."

Va bene, è così e va bene così.

Ma bisogna avere la consapevolezza, il rispetto e l'ampiezza di vedute per capire che avere un animale in casa significa accogliere in casa l'Enigma, il non-familiare, il Selvatico (per quanto addomesticato da millenni) un Essere che appartiene ad un universo radicalmente altro, separato, misterioso, inaddomesticabile, incomprensibile, inappropriabile, Altero, Altro, misterioso, silenzioso, incomunicante con noi.

L'ultima espressione, in particolare, può sembrare un po' forte, e disturbante forse, forse addirittura traumatica, per chiunque ami profondamente il suo cane o il suo gatto (e sono uno di questi!).

E infatti è una provocazione: la comunicazione, l'amore, l'Incontro tra uomo e animale (anche eventualmente selvatico, se capita, quando capita) sono sicuramente possibili, ma per far sì che questi incontri siano reali ed autentici, dobbiamo ripristinare lo spazio, la distanza dell'Alterità siderale, assoluta, selvaggia, enigmatica, geroglifica tra noi e gli animali.

Incontrare l'altro è possibile solo se la radicale, fondamentale estraneità dell'essere-Altro è l'orizzonte di consapevolezza in cui ci muoviamo.

Incontrare è possibile, se accade, quando accade, ma non accade se pensiamo di muoverci in un orizzonte continuo di iper-familiarità snaturante in cui siamo convinti che l'incontro sia un già dato, scontato, che succede sempre.

Siamo noi a doverci adattare, noi abbiamo portato l'Estraneo in casa nostra: se il nostro cane ci cerca, cerchiamo di dargli tutto l'amore di cui siamo capaci, e insieme all'amore le cure, il divertimento, il gioco, etc...




Quando il nostro cane se ne sta per conto suo, lasciamolo per conto suo, nel Suo Regno.


Senza consapevolezza dell'Alterità Radicale dell'Estraneo Selvatico che abbiamo in casa, senza coscienza del fatto che appartiene e abita una Dimensione e un Linguaggio completamente estranei e separati da noi, per noi incomprensibili, rimaniamo nella dimensione antropocentrica, ego-centrica, antropomorfizzante e iper-affettivizzante in cui l'animale domestico è ridotto a oggetto, strumento per non sentirci soli.


Quando parlo di incomprensibilità e incomunicabilità, non sto dicendo che sia inutile leggere libri di etologia, fare corsi per esempio di educazione cinofila o simili (anzi, libri e corsi, se ben fatti, per esempio se si muovono nell'orizzonte teorico-pratico della Zooantropologia, danno molte spallate al nostro antropocentrismo e antropomorfismo): tuttavia la consapevolezza dell'Alterità Radicale è la base: noi possiamo imparare tantissimo sui nostri cani e gatti, imparare a relazionarci meglio a loro, capire i loro segnali, i loro bisogni, eccetera, e tuttavia il loro sguardo silenzioso, misterioso, istintivo e selvatico rimarrà in fin dei conti pur sempre un Enigma per noi: un Essere che appartiene a un'altra Dimensione, a un'altro Linguaggio.


Ma questo non ci deve scoraggiare, è secondo me anzi la base per incontrare, con più autenticità e più libertà reciproca l'Estraneo selvatico che abbiamo di fronte, quando l'abbiamo di fronte.

Questo è il punto di partenza per incontri ravvicinati con i "nostri" ("nostri"?????????") Selvatici-in-Casa rispettosi e consapevoli della Differenza, e quindi più liberi, più veri, con meno pretese, meno proiezioni, meno idealizzazioni forzate in cui costringerli, più autonomia, più distanza, più vero amore.


Qualsiasi forma di amore autentico ha uno stretto rapporto con il Mistero.


Infine un ultimo significato dello slogan.


"Lasciar essere gli animali."


Può, forse, avere un significato anche nel nostro relazionarci a noi stessi: lasciare che l'Estraneo Selvatico, l'Enigma silenzioso, il terrigno animale naturale corporeo istintivo intuitivo inaddomesticabile che vive dentro di noi, sia, respiri, pulsi, vibri, si esprima, dia segni, segnali, versi, parli, ma con il suo linguaggio, sia come sia, lontano e Altro rispetto al nostro ego iper-civilizzato.










12 commenti:

  1. Durante la lettura che pure mi pareva di condividere, ho sentito uno strano formicolio di fondo che non mi dava pace e non riuscivo a decifrarlo. Ho riflettuto e sono arrivata a questa conclusione (che non conclude nulla, in realtà, ma che anzi allarga le proporzioni del dibattito). Questo "lasciar essere" arriva troppo tardi. Questo lodevole intento di ritirarsi, di essere meno intrusivi, di fare un passo indietro nella colonizzazione che abbiamo intrapreso e condotto per millenni arriva intempestivo. Ormai ci siamo impadroniti del fuoco (e abbiamo addomesticato i "selvatici") e è nostra responsabilità governare la fauna e la flora che abbiamo domato, modificato, alterato. Il senso dell'articolo mi è chiaro e, ripeto, lo condivido, ma non vorrei che suggerisse un improbabile anzi impossibile ritorno a un equilibrio primigenio: quell'equilibrio non c'è più, siamo tenuti a lavorare per altri equilibri, mai gli stessi, mai scontati.

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    1. Nulla è realmente impossibile se lo si vuole davvero. Guardando alla storia, l'uomo ha realizzato cose incredibili... ha innalzato piramidi, ha spostato montagne ha plasmato l'ambiente in cui vive. Il problema è che l'uomo non rinuncerà a tutto ciò che ha conquistato in millenni di storia perché è troppo egoista e superbo. L'antropocentrismo è una bestia dura a morire, e finché ve ne sarà traccia il ritorno ad un equilibrio perduto sarà veramente impossibile da attuarsi su scala globale. L'uomo è un essere molto efficiente, se si impegnerebbe a difendere il pianeta nello stesso modo in cui fin'ora si è impegnato a distruggerlo sarebbe in grado davvero di compiere miracoli(a questo proposito vi invito a leggere/guardare "l'uomo che piantava alberi"). Io credo che la nostra responsabilità sia quella di difendere, proteggere e ripristinare per quanto possibile i danni, non quella di governare. La Natura sa già governarsi benissimo da sola, purtroppo tendiamo a dimenticarci che anche noi siamo parte di essa (in poche parole non siamo i padroni, siamo solo dei dipendenti al pari di tutte le altre forme di vita).

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  2. Ciao Nadia, hai ragione: gli equilibri ormai li abbiamo cambiati. Non possiamo far finta di niente e cercare di tornare semplicemente a com'era prima. Dobbiamo rimediare ai danni, gestire ciò che abbiamo alterato, gestire gli equilibri, che sono cambiati, che cambiano.

    Soprattutto, sono d'accordo sul fatto che gli equilibri son cambiati e cambiano.

    Tuttavia, il principio secondo me resta valido e inalterabile: non siamo noi a dover "gestire", controllare, direzionare, decidere.

    La Natura ha una sua autonomia e una sua Anima che hanno una loro vita, un loro equilibrio, una loro volontà, un loro processo.

    Gli equilibri sono cambiati: noi dobbiamo "gestire" la nostra ritirata, compensare ai danni fatti, ritornare non a ciò che c'era prima nè a una situazione di primitivismo puro atecnologico "innocente" ma ad una civiltà e ad una tecnologia, certo nuove non ripetizioni del passato, che abbiano ritirato le proprie smanie di dominio sulla natura e abbiano ritrovato un equilibrio (nuovo, inedito, diverso) tra umanità e equilibrio autonomo, indipendente della Natura.

    Dobbiamo "gestire" tutto questo: hai ragione, non si tratta semlicemente di stare a braccia conserte e ritirarsi nelle caverne, ma è un processo difficile, delicato, complesso, complicato, estremamente sofisticato.

    E tuttavia il principio-guida di questo processo secondo me deve essere questo: la Natura, e gli esseri viventi, sono un tutto organico con un suo processo intelligente autonomo, misterioso, che noi non possiamo comprendere appieno: l'Anima del Mondo, se vogliamo esprimerci in termini spirituali, oppure l'essere vivente Gaia, rganismo planetario, hanno una loro Vita e Intelligenza autonome. In un certo senso un'Intelligenza superiore alla nostra. Sicuramente diversa e non omologabile, non assimilabile.

    Noi dobbiamo badare a "gestire" la nostra civiltà, modificandola nel senso di una civiltà capace di trovare un'idea di limite e di "interferenza solo dove strettamente necessario" con la Natura: o meglio, ritrovare un equilibrio, nuovo con la Natura nelle zone più "addomesticate": campagne, città.

    E poi però abbandonare veramente a sè stessa (attraverso un processo forse anche lungo e complesso) la Wilderness, la Natura Selvatica, nella certezza che il Selvatico ha una sua intelligenza che noi non possiamo giudicare nè tantomeno modificare, nella certezza, insomma, che alla fine pur nei cambiamenti degli equilibri che avvengono e che sono sempre avvenuti, esista qualcosa nella Terra e nella sua Anima che è eterno, immodificabile, inalterabile, inaddomesticabile, inappropriabile.

    E che perciò, solo in apparenza noi l'abbiamo dominato e modificato.

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  3. Cioè, in sintesi: non intendevo tanto dare delle indicazioni pratiche sul da farsi (anche perchè probabilmente non ne ho le competenze).

    Sicuramente penso, in termini generali, che anche se gli equilibri naturali e tra uomo e Natura sono per sempre cambiati, se dobbiamo pensare a una nuova civiltà, nuova e inedita, che possa evitare la nostra autodistruzione - penso che questa inedita nuova civiltà dovrà necessariamente incorporare nei propri principi-guida un'idea forte e netta di limite, di misura, di "interferenza minima".

    Tutte le società umane hanno sempre modificato l'ambiente naturale attraverso la tecnica.

    Tuttavia le società pre-moderne e quel poco che resta delle civiltà extra-occidentali hanno "addomesticato" porzioni di Natura ma lasciando intatta l'indipendenza del processo d'insieme, dell'autonomia della Natura. Hanno creato forme di convivenza in cui sia le necessità umane che la Libertà e autonomia dello Spazio Selvatico erano rispettate.

    La nuova civiltà dovrà reinventare un nuovo, inedito modo di creare un equilibrio di questo tipo. Diverso, nuovo, ma pur sempre, inevitabilmente, capace di rispettare e non alterare l'Alterità autonoma della Natura.

    E quindi:

    - nuove maniere di addomesticare alcuni spazi in maniera armonica (tutto l'ambito della permacultura è un eccellente campo di sperimentazione in questo senso);

    - abbandonare, anche attraverso un processo progressivo attento e cauto, tutto il resto a sè stesso: il Selvatico al Selvatico: boschi, montagne, etc...

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    1. Io ritengo che non si dovrebbe fare differenza fra "selvatico" e "addomesticato". Lo stesso atto di addomesticare è un qualcosa di eticamente discutibile. Se noi ci riteniamo al pari degli altri esseri viventi (eticamente parlando) non dovrebbero esistere atti di prevaricazione o nessuna azione che rivendichi "il possesso" su altre forme di vita. Semplicemente ritengo che la soluzione consista nella fusione fra l'uomo e il selvatico. Non ritengo che l'uomo dovrebbe stare da una parte e tutto il resto abbandonato a se stesso dall'altra. Noi siamo o non siamo parte di tutto questo? Quindi perché dovremmo stare separati? Tu hai parlato di addomesticamento armonico, ma come può l'atto di addomesticare definirsi armonico? E' un controsenso. Forse bisognerebbe inventare una nuova parola per descrivere tutto ciò. Io credo che il problema non sia "l'interferire" ma il vero problema è che l'uomo non ha imparato ancora a farlo nel modo giusto.

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    2. Non saprei. Sono questioni enormi, complesse intricate, in gran parte enigmatiche e difficilmente determinabili. Stiamo parlando niente di meno che di come affrontare, concepire e progettare il futuro degli esseri umani, nei loro rapporti con la Natura. C'è dentro tutto: dall'architettura alla filosofia, dall'agronomia all'ingegneria, dalla scienza alla mistica alla storia delle religioni, dagli studi sugli archetipi dell'inconscio collettivo alle teorie critiche (molte e diversissime, anche contrapposte) verso la società capitalista, e le riflessioni su possibili modelli alternativi di società; dalle teorie e pratiche che rivalutano la società e la cultura rurale, alla permacultura, alle diversissime forme di ecologia, fino anche a temi meno immediatamente attinenti ma che comunque c'entrano, eccome, visto che stiamo parlando di come concepire, progettare e concepire la società degli esseri umani nel prossimo futuro: per citarne alcuni: le riflessioni femministe sull'identità femminile, gli studi sulle società pre-patriarcali, la storia della scienza, l'epistemologia, la poesia, l'arte, qualsiasi riflessione in ambito politico, le utopie e le critiche alle utopie, la storia del colonialismo, la globalizzazione, le riflessioni sulle migrazioni in tutto il mondo, le critiche filosofiche alla legittimità del pensiero scientifico moderno, la musica, le infinite forme diverse di ricerca spirituale, le infinite forme diverse di sperimentazione di forme alternative di vita, di convivialità e di vita comunitaria, le diatribe su onnivorismo rurale/vegetarianesimo/veganismo/onnivorismo tout court............. E' un campo infinito, complesso. Difficile affermare alcunchè, così su due piedi. Questo non vuole dire rinuniciare a farsi la propria opinione e comunicarla e difenderla: è semplicemente un invito a considerare la vastità e la complessità di queste questioni. Per esempio, anch'io penso che "siamo parte di tutto questo". Anch'io sono stato per molti anni dal primitivismo: indios in Amazzonia - pellerossa liberi al galoppo nelle praterie - bon sauvages che danzano liberi. Mi affascinava anche il modello del nomade cacciatore/raccoglitore, per esempio. Però adesso questo primitivismo mi sembra un po' ingenuo: qualsiasi cultura ha la sua Tecnica, la sua cultura e le sue forme di addomesticamento della Natura. Il punto è quale Tecnica, quale addomesticamento. La società rurale pre-moderna, per esempio, sicuramente addomesticava, con l'agricoltura e l'allevamento, alcune parti di natura, ma questa relazione era una relazione basata su una profonda conoscenza tradizionale degli equilibri naturali, su un profondo rispetto di questi, e anzi su una forma di reverenza verso la Natura, dispensatrice di Vita e di Morte, Madre che può essere anche terribile, Mistero che può essere conosciuto accostandovi con cautela, con l'intuizione, con l'accumulo della saggezza popolare attraverso i secoli. Quindi c'era una Tecnica e una forma di "addomesticamento", che tuttavia non hanno niente a che vedere con lo spirito di Dominio e distruzione dell'età moderna. Era un addomesticamento nel senso di mutua conoscenza, mutuo rispetto e mutuo adattamento, un "fare casa" che rispettava tuttavia l'Alterità, la sostanziale inaddomesticabilità della Natura.

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    3. Beh forse in tal caso il termine più corretto non è "addomesticare", poiché il significato stesso della parola impone un controllo e un dominio su un qualcosa/qualcuno.
      Un conto è imparare a sfruttare i legami e le leggi della Natura già esistenti, un conto è pretendere di prenderne il controllo.
      Ad esempio Nadia prima parlava di "controllo del fuoco"... ma noi non abbiamo affatto il controllo del fuoco, altrimenti placare un incendio dovrebbe esser una sciocchezza, basterebbe dire al fuoco "fermati" e quello si fermerebbe. Un conto è sfruttare un principio già esistente (ad esempio se sfrego due bastoncini o delle pietre in un certo modo creo una scintilla o calore, e un materiale secco prende fuoco) un conto è "addomesticare" il fuoco (che significa che il fuoco deve comportarsi come diciamo noi e "ubbidire"). Questa secondo me è la sostanziale differenza.

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    4. "ADDOMESTICARE", significato etimologico:

      Rendere domestico, togliere da uno stato selvatico

      da [domestico], a sua volta dal latino: [domus] casa.

      È un'azione molto lontana dalla nostra vita quotidiana. Almeno così parrebbe. Le grandi ere delle domesticazioni sono passati remoti.
      La storia antropologica ci racconta di come un uomo scoprì delle mandorle come le altre ma delle altre un po' meno amare e le piantò, riprendendo il suo viaggio, forse riproponendosi di tornare a vedere come sarebbero cresciuti quei mandorli, o istruendo altri uomini su dove li avesse piantati. I mandorli che dettero alla luce mandorle più dolci furono fatti ancora riprodurre, e di generazione in generazione il mandorlo, amaro, velenoso, fu addomesticato nell'albero benedetto che oggi conosciamo.
      Alcune madri riconobbero nei figlioletti del lupo ucciso i tratti dei propri cuccioli, e li presero con sé. Gli uomini scoprirono che quei lupi potevano essere d'aiuto per loro, e che con loro vivevano bene.
      Così un lentissimo flusso di flora e fauna iniziò a muovere dalla foresta forestiera avvicinandosi, trasformandosi, entrando in casa. E questo movimento è ancora oggi addomesticare - azione concorrente di chi ti fa entrare in casa e di chi decide di entrare.

      ( http://unaparolaalgiorno.it/significato/A/addomesticare )

      Per noi contemporanei troppo inciviliti dall'assoggettamento barbarico di qualsiasi cosa ai nostri desideri, "addomesticare" significa in effetti quello che dici tu: "OBBEDISCI!" diciamo al cane domestico, all'elettrodomestico, alla pianta di pomodoro nell'orto sottratta ai suoi ritmi ed equilibri naturali e forzata artificialmente, chimicamente ad una performatività perfetta e disanimata, plastificata, senza sapore, senza profumo naturale, senza vita.

      Ma originariamente la parola indica semplicemente appunto questo "entrare in casa", "condurre in casa", non necessariamente obbligando, ma in origine invitando, trovando un mutuo equilibrio in cui io, essere umano, e tu, cucciolo di lupo, possiamo vivere bene insieme, adattandoci l'uno all'altro.

      Potrebbe essere addirittura il selvatico straniero che irrompe in casa, e che io accetto, e mi adatto a lui cercando un equilibrio armonico e saggio per me e per lui.

      Anticamente "addomesticare" era questo: "fare una casa", invitare in casa il selvatico, creando equlibri in cui nè lo straniero selvatico viene strappato alla sua essenza selvatica in un'iper-familiarizzazione antropomorfica (come invece succede oggi), nè il selvatico straniero ed estraneo ci impedisce di avere quel minimo di "familiare" e di "casa" necessari per vivere, per coabitare, per avere una cultura e una società umane in armonia con la Natura.

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    5. P.s.: bello "La Natura sa già governarsi benissimo da sola".

      Invece la "casa" dell'essere umano penso andrebbe governata da una saggia, mutua relazione di adattamento e rispetto e conoscenza tra umano e Selvatico.

      Anch'io penso che siamo parte della Natura, tuttavia questo non significa appunto che possiamo vivere come dei bon sauvages fusi nella Natura, senza una cultura, un insieme di tradizioni, abitudini, interpretazioni simboliche, riti, usi, maniere di "addomesticare", "fare casa", in mezzo alla Natura e in armonia e dialogo con essa, ma pur sempre costituendo uno spazio abitabile, riconoscibile, governabile, leggibile, "parlabile", familiare anche se sempre aperto all'estraneo Selvatico, uno spazio delimitato, al di fuori del quale resta la Natura Selvatica, comunicante con la nostra delimitata polis, o villaggio, o comunque "casa" umana.

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    6. Bellissimo anche "Forse bisognerebbe inventare una nuova parola per descrivere tutto ciò.".

      Anch'io penso che il nostro futuro e le soluzioni per una vita nuovamente saggia, ecologica, non folle e non distruttiva siano tutte da pensare, inventare, concepire, e quindi anche denominare con nuove invenzioni linguistiche.

      Tuttavia penso anche che sia fondamentale ispirarsi anche alle tradizioni dei nostri antenati (o magari in parte anche a culture extra-europee, come quelle animiste) per elaborare questo nuovo pensiero, questa inedita civiltà, necessaria in questo deserto in cui è stato tutto (o quasi) distrutto.

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  4. Ma tutte queste indicazioni di tipo pratico, che ripeto non mi sento di precisare più di tanto perchè non sento di averne le competenze, non sono il punto centrale del mio ragionamento.

    Quando parlo di "ritirarsi", "decolonizzare" e "non interferire" non parlo nè di indicazioni assolute da intendersi alla lettera, nè in primo luogo di programmi d'azione.

    La nuova civiltà dovrà gestire molte difficili cose, modificherà l'ambiente naturale come tutte le civiltà, e in una maniera inedità; sperimenterà; dovrà rimediare ai danni fatti dalle precedenti generazioni.

    Ma tutto questo - e questo è il nodo che mi premeva affermare - dovrà farlo sulla base di un saldo principio teorico, filosofico, spirituale.

    Tutte le civiltà pre-moderne, e tutte le extra-occidentali, hanno sempre considerato la Natura non come un oggetto, un parametro da gestire, ma come una Potenza, misteriosa, enigmatica, non pienamente comprensibile, temibile e molto più vasta e profonda di noi, di cui noi siamo solo un frammento, in gran parte in sua balìa.

    Quando parlo di Alterità Radicale, di Estraneo Selvatico, della Natura e degli animali, parlo di questo.

    Ed è un nodo profondo, abissale, traumatico, difficilissimo da sciogliere, perchè tutta la civiltà moderna occidentale si è andata costituendo, affermando e poi diffondendosi e trinfando in tutto il mondo esattamente sulla negazione di questo principio, ben saldo in tutte le altre culture. La Natura non è più un Enigma oscuro e temibile, da rispettare, pregare, cantare, da contattare con riti, danze, formule, etc... ma è un oggetto da gestire, sia nella versione predatrice tecnocratica che vede nella Natura una miniera di risorse, sia nella versione ecologista buonista del salvare, proteggere, prendersi cura.

    Ma noi non siamo nessuno per proteggere, decidere, gestire, salvare.

    Noi non dobbiamo proteggere, dobbiamo chiedere protezione semmai.

    Viviamo in un Universo dominato da forze molto più grandi di noi, insondabili, infinite, e l'illusione moderna di essere i protagonisti e i custodi di una specie di giardino fatto per noi ci sta portando all'autoannullamento.

    La nuova civiltà sarà sì nuova e completamente inedita, ma sarà vivificata e ispirata da una cultura che avrà fatto i suoi conti con forme di saggezza antiche, preservandone gli aspetti più preziosi, essenziali, non contingenti, irrinunciabili (e in un certo senso fuori del tempo) e integrandoli con le migliori intuizioni libertarie della sensibilità moderna.

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  5. http://www.youtube.com/watch?v=0cT37Pn3T5M

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Pensate...? E allora parlate!