Nisargadatta Maharaj
"Accogliere l'ignoto vuol dire lasciar andare il bisogno di sapere cosa succederà e di avere una risposta per ogni domanda. Non c'è nulla che tu abbia bisogno di sapere. Non esistono idee che ti possano sminuire se non le conosci. Il tuo stato di conoscenza è sempre perfetto. Se ritieni che ci sia qualcosa la cui conoscenza ti conferirebbe maggior valore, sei imprigionato nell'illusione di essere inferiore in questo momento."
Simone Weil
nel mio stato di coscienza che è già perfetto qui e ora,
esiste però anche il divenire, il movimento, il divenire della coscienza, il
movimento della coscienza che assume sempre nuove forme e sempre è
visceralmente e-motivamente e-mosso da uno spasmodico desiderio di divenire, di
essere altro, di assumere nuove forme, di fare nuove esperienze, di conoscere,
vivere, realizzare, fare esperienza, conquistare, sperimentare, esplorare,
spiazzare, provocare, andare più in là, andare, volere, avere, ottenere, essere,
accrescere, spaziare, superare. Nel mio presente stato di coscienza che è già
perfetto esiste come dato empirico anche l'insoddisfazione, la contraddizione,
l'ansia di nuove conquiste e conoscenze, il desiderio di divenire e realizzare.
Fare finta che questo non esista nel mio presente stato di coscienza sarebbe
non accettare il mio presente stato di coscienza così come è, e perciò ritenere
che esso sia imperfetto. Ne consegue che per accettare la perfezione del
presente e la sua completezza devo accettare anche la sua imperfezione e la sua
incompletezza. Ne consegue, cioè: o che l'imperfezione e la non-completezza
fanno parte della perfezione di questo stato, in qualche maniera enigmatica, e
che accettare l'insoddisfazione, il desiderio di divenire e l'ansia vitale di
Altro è necessario a vivere pienamente e accettare pienamente la perfezione del
presente - sempre in maniera enigmatica - oppure che perfezione e imperfezione,
completezza e incompletezza, essere e divenire, non sono categorie adatte e
sufficenti a contenere la ricchezza e la vitale contraddizione e caoticità di
tutto questo complesso flusso/spirale di cose.
Per esempio: accetto la perfezione del mio presente stato di
coscienza. Perciò non accetto il desiderio di divenire che in esso è contenuto.
Perciò non accetto la perfezione del mio presente stato di coscienza. Contrappongo
un dover essere a un essere. Allora mi dico: la quiete non è un dover essere. Accetto
come sono e basta. Quindi vivo già il divenire e il desiderio di altro. Quindi
vivo nella non accettazione, ma almeno vivo.
Oppure: non accetto il mio attuale stato di coscienza,
perchè desidero divenire altro. Oppure perchè desidero la soppressione del
divenire altro, la quiete. Contrappongo un dover essere a un essere. Ma sono,
vivo l’insoddisfazione, la contraddizione viscerale e l’ansia vitale che sono. Quindi
in un certo senso accetto ciò che sono più che nel caso che io cerchi di
accettare la perfezione del mio presente. Quindi vivo il divenire e il
desiderio di altro. Quindi vivo nella non accettazione, ma almeno vivo.
Cioè: non cambia niente.
O meglio: l’accettazione del presente è parte integrante del
processo vitale/creativo che muove dall’imperfezione all’imperfezione, e dalla
contraddizione alla contradizione, dal divenire al divenire, e la non
accettazione e l’insoddisfazione sono parte integrante dell’accettazione della
perfezione del momento presente.
Quello che volevo dire è che le diverse filosofie dell'accettazione del presente come perfetto e autosufficiente sono molto interessanti, certo, ma di fronte alla "mente che mente" che continua a sfrigolare in noi, a sfuggire dalla nostra perfezione, di fronte all'ansia di divenire che è anche vitalità e non solo fuga, che atteggiamento prendere? Mi accetto come perfetto, qui e ora. ma allora devo accettare, e non solo accettare, anche vivere pienamente, anche l'imperfezione, la contraddizione, le molteplici pulsioni in diverse direzioni, l'insoddisfazione e il desiderio di divenire, di vivere, accrescere, esplorare, conoscere, realizzare. ma allora vivo, ma ricado molto spesso nella non-accettazione e nell'insoddisfazione. E' un serpente che si mangia la coda, un paradosso. ma in questa paradossalità sta forse la ricchezza e la pienezza enigmatiche e irriducibili del "panta rei", tutto scorre, del divenire vitale che siamo, vulcano in ebollizione di contraddizioni, di sofferenza ma anche di vita, desiderio, poesia, gioia, irriducibili a qualsiasi schema filosofico.
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