di-segno di Sacrilegio Tempesta

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pARTICOLARE DI "Autunno", quadro di Diogene senza l'anima?. Foto di Sacrilegio Tempesta.

giovedì 29 maggio 2014

LASCIAR SCOMPARIRE L'ARTE PER LASCIAR RIEMERGERE LA REALTA', LA VITA, IL GIOCO, LA LIBERTA', LA NATURA, IL SELVATICO


(disegno di Dem Dem, riprodotto qui con il suo consenso, da me richiesto. Il sito di Dem Dem )


Ritrarsi, dissolversi, spaccare la scatola dell'ordine simbolico dato, la rete del linguaggio stesso, gli inganni dell'arte, la Maya ammaliante e perfida della fanfara multimediale, per lasciare spazio al gioco, alla vita libera istante per istante, alla creatività senza opere, all'azione per il piacere dell'azione, per tornare alla natura, alla realtà caotica vitale e indecifrabile oltre questa Matrix subdola, al selvatico ignoto, al nostro esistere reale come corpi liberi istintivi in uno spazio aperto senza determinazioni, risultati, scopi, oggetti reificati, codici convenzionali, e senza tempo. "Un punto di incredibile densità. Bisogna imparare a rallentare il tempo, a vivere la passione permanente dell'esperienza immediata."



 Due articoli di John Zerzan, filosofo anarchico primitivista.


Il primo è contro l'arte:


Critica primitivista all'arte e al mondo dei simboli


Il secondo è contro il tempo:


Critica anarchica alla costruzione sociale del tempo



Nel primo articolo, Zerzan sostiene che nel Paleolitico, all'epoca in cui eravamo nomadi cacciatori-raccoglitori, non c'era nè religione nè arte, e neanche un linguaggio inteso come lo intendiamo noi, una rete di simboli codificati e condivisi. E non c'era la divisione del lavoro, erano piccole bande nomadi egualitarie.

Non c'erano i simboli, l'uomo era un animale immerso nella vita della natura, libero, reale, istintivo, immediato, senza mediazioni artificiali.

Col Neolitico, e il passaggio a una società stanziale, basata sull'agricoltura e su un'organizzazione sociale più complessa nasce la gerarchia sociale, la divisione del lavoro, la religione e il linguaggio. E con tutto questo l'alienazione.

E la separazione dalla natura, l'unità perduta con la quale - dopo questa caduta - è surrogata dai paradisi artificiali della religione, dell'arte e del linguaggio simbolico.

Già gli sciamani delle religioni più antiche erano legati a una struttura sociale differenziata, con ruoli assegnati, gerarchia definita e un mondo mitologico-simbolico sostituto dell'originaria indifferenziazione nella natura, perduta.

Poi, in estrema sintesi, col cristianesimo antropocentrico prima, e quindi con la società moderna, le cose sono andate sempre peggio, fino all'attuale società completamente alienata, separata ermeticamente dalla natura, asettica, mortuaria, virtuale, sempre più distruttiva e irrispettosa verso la natura e verso il selvatico l'autentico e il genuinamente istintuale e creativo, unico, libero, originale, singolare, singolo, non-conformato in noi.

In tutto questo, l'arte ha sempre avuto la stessa funzione della religione: legittimare l'ordine sociale alienato e permettere fugaci ascese a attimi di pace estasi o bellezza, surrogati della felicità naturale permanente. L'estetica è anestetica: anestetizza e intorpidisce, obnubila i nostri sensi, e estetizza la nostra percezione e interazione col mondo, comprimendola in una scatola simbolica sintetica, principalmente visuale, astratta, artificiale, deformante, selettiva, sostitutiva, basata su una presa di distanza, una separazione dal mondo, dal corpo, dal selvatico, dalla natura, dall'istinto: abitiamo il mondo della rappresentazione, invece di abitare il mondo, la terra, le foreste, in un rapporto spontaneo, immediato, istintivo, cinestesico, ricco di scambi attivi, con esso, una percezione e una comunicazione con la realtà nuda, vuota, sgombra, diretta, un gioco creativo libero in cui tutti i nostri sensi potrebbero essere realmente risvegliati e messi in gioco radicalmente e felicemente.


                                               (Renée Magritte, La condizione umana)

DADA ha messo oggetti qualunque in un museo con l'intenzione di scardinare tutto questo: rompere il muro tra arte - collezione di oggetti reificati e idolatrati da spettatori passivi - e vita, realtà, mondo: una ruota di bicicletta è fonte di percezione e gioco liberi quanto un quadro di Van Gogh.

Il surrealismo voleva far irrompere il Sogno e l'inconscio nella vita, nella società, gli esperimenti più coraggiosi degli anni 70, performances, happenings, etc., come il surrealismo volevano anche violentemente cercare di rivoluzionare la società attraverso l'arte, precipitare un vortice di libertà creazione gioco follia nelle strade, nella vita.

Ma tutto questo per Zerzan ha fallito perchè l'arte è strutturalmente parte del sistema sociale alienato e gerarchico, e del suo appartarsi dalla natura in un iperuranio sintetico di simboli, segni, linguaggi, finzioni.


Da qui la morte dell'arte, le sue forme sempre più svuotate, provocatorie in maniera fine a sè stessa, le tele nere, le tele bianche, le tele squarciate di Fontana e la loro angoscia desertica, la merda d'artista, la musica contemporanea colta sempre più incomprensibile fino a teorizzare il silenzio o i rumori casuali, i romanzi con pagine da comporre a piacimento, libri con pagine bianche, la Pop Art che fa equivalere arte e prodotti industriali o immagini pubblicitarie, poesia sempre più sperimentale fino a includere equazioni matematiche nel testo, e infine una stanchezza sempre maggiore e quindi il nostro presente, in cui una multimedialità spettacolare quanto sterile, ripetitiva, ma onnipotente, onnipervasiva e onnipresente fa schizzare immagini suoni e slogan ovunque, caos babelico in cui tutto equivale a tutto, ogni input è buono in quanto input, può essere Pessoa o la Coca Cola, non importa. "Mi piace". Un perfetto mondo di segni che richiamano segni in una Matrix autoreferenziale che rimanda continuamente a sè stessa, la perfetta realizzazione di arte e religione, secondo Zerzan, una bolla che ci esclude dalla realtà, dalla natura, e ci riduce a pedine di un gioco preordinato in cui è sottratta la libertà singolare e la libera creatività del singolo.



La tesi di Zerzan può essere forse eccessiva.

Tuttavia è esperienza penso di tutti, in particolare di chi crea arte, poesia, musica, etc... la sensazione di tradimento e nientificazione che si prova di fronte all'opera d'arte reificata in qualcosa di concluso.

Leggo o scrivo una poesia: è un frammento di eternità, un particolare non contestualizzabile, una scheggia che mi apre una scintilla non mediabile nè paragonabile, che potrebbe essere forse la chiave d'accesso a un intero universo. Un'emozione unica e irripetibile, indicibile, singolare, un differire imprevisto, incatalogabile, dalla continuità dell'obsoleto automatico, situata nell'attimo. Un salto.

Poi resta il cadavere, sua farsesca caricatura.

Ogni opera è la maschera mortuaria dell'idea, scriveva Benjamin.

Di fronte alla nascita di un universo di Alterità, all'iniziazione a una foresta sperduta immensa incommensurabile e intricata in cui si potrebbero trovare sentieri che conducono a tesori di mistero o a templi dimenticati ermetici di illuminazione numinosa da decifrare, resta "E' bello", il giudizio, il corpo morto.



E allora lasciamo scomparire l'arte, per aprire le porte al libero gioco continuo, alla libera creatività permanente, senza steccati. Posso continuare a disegnare o a scrivere, ma è qualcosa di equivalente (di "egualmente artistico", se volete) a guardare una nuvola che passa, pigiare dei bottoni su un computer mentre lavoro, dormire, giocare con dei sassi, far fischiare un filo d'erba, buttare un legnetto in un torrente, stare a vedere dove va, interrogare l'essenza metafisica di un lichene, parlare con le roccie, invocare il vento, prendere il sole, correre, arrampicarmi su un albero, fare castelli di sabbia, tentare ritmi percussivi su un tronco o su un tavolo, accorgermi di una foglia che cade, di un corvo che passa, di un'aquila in alto nel cielo, appena visibile, disporre foglie a caso o non a caso su un prato, grattarmi la schiena, accarezzare un gatto, giocare con un cane, creare strane forme di fango e poi distruggerle, fare un caos di foglie fiori legni sassi  terra erba ossa peli di scoiattolo ghiande pezzi di corteccia e poi fotografarlo, oppure non fotografarlo, disfarlo, oppure lasciarlo lì nel bosco, e tornare a vedere com'è dopo due anni, o non tornarci più, o tornarci e costruire con ciò che è rimasto un totem-fauno talismano che sorvegli la foresta, fischiettare, danzare liberamente e selvaggiamente con gli elementi, stare fermi, chiudere gli occhi e ascoltare cosa c'è, con curiosità, senza aspettative, riaprirli, osservare, osservare le cose, tutte le cose come qualcosa di bizzarro, inedito, singolare, irripetibile - giocare con questo, giocarci da soli, insieme ad altri, cantare o fare suoni o versi, o preghiere senza nome e senza parole, o invocazioni a spiriti inconoscibili, sperimentare maniere diverse di fare le cose, divertirsi a fare cose inutili, fare anche le cose utili come se fossero gratuite e imprevedibili, osservare ancora, quanto tutto questo è strano e singolare e magico, anche la noia, anche la sofferenza, anche l'angoscia.

Allora ogni attimo può sfuggire al gigantesco mostruoso abnorme Orologio Digitale Cosmico che misura il tempo, che crea il tempo e che divora livella e schiaccia le nostre vite, le nostre libertà, le nostre libere capacità di gioco libero, ognuna diversa e irriducibile - e divenire un frammento non omologabile, un istante di libertà indomita e selvatica in cui siamo chi siamo e non un fantoccio costruito dagli specchi deformanti della società.







(Opera di Andy Goldsworthy)






Liber Pater: un cortometraggio sul selvatico dionisiaco









(Dreaming of yesterday, di blue-a - immagine riprodotta con il consenso dell'autrice - vedi questo link per altre sue opere )



suoni singolari



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